Gloria del romanico (2)




Carlo Martini



Nel secolo XII, quando la raggiunta tipologia del duomo bitontino sembrava avere esaurito l'energia dell'invenzione e della creatività, ecco un nuovo impulso verso altre manifestazioni artistiche, concretate in monumenti che, pur nello stesso clima formale, hanno una loro coerenza indipendente da quelli che non solo li avevano preceduti, ma ne avevano, "se non determinata, certo propiziata l'origine". Caratteristica rilevante: il maggiore slancio in altezza, e dunque l'accentuazione delle cuspidi, con profondi mutamenti nelle proporzioni. Dimenticata l'ampiezza grandiosa delle navate. Nasce, liricamente vigoroso, il prototipo: il duomo di Trani, con la stupenda facciata e con l'iperbolico campanile; in una parola, con un'eleganza decisamente inconsueta nei monumenti meridionali: un'eleganza che emerge dalla sobrietà, dallo spiccato senso delle proporzioni che vince anche il desiderio dell'ornato.
Il profilo della facciata "sembra disegnato con cristallina perfezione". Il rosone ha perduto la ghiera più esterna, ma insieme con le finestre e con la cuspide e, più giù, con il portale, segna un asse preciso, che conferisce un altissimo valore geometrico. Il campanile firmato da un "Nicolaus Sacerdos et Protomagister", trova la sua giusta proporzione nel verticalismo efficacemente composto, attuato ed espresso nella facciata. Sulla fronte del duomo, in quelle che potrebbero definirsi timidissime arcate e modanature (ecco la nobiltà dell'eleganza tranese), la qualità delle sculture - ancora tutta da "rileggere" - è forse la più preziosa di tutta la regione.
Il duomo tranese, dunque, rispecchia il -mutamento di gusto architettonico tra il secolo XI e quello seguente. Ecco infatti la cattedrale di Ruvo, con le cuspidi aguzze e con la navata centrale stretta e alta, ma con decorazione scultorea sempre più elaborata. (Esempi salentini: Santo Stefano di Soleto, Santa Marina di Muro Leccese e Santa Caterina di Galatina).
A Trani e a Ruvo le chiese sono coperte a capriate. Tuttavia, le volte saranno adottate ben presto, elaborate in quel singolare tema architettonico della "bottezoppa", chiamata anche "mezza botte", utilizzata in particolare nelle navate laterali. La navata centrale, talvolta, assume la copertura a cupola: così in San Francesco e in Sant'Andrea di Trani, nella chiesa dello Spirito Santo di Giovinazzo, nel notissimo San Corrado di Molfetta, a San Vito di Polignano, e nel perfetto esempio della chiesa di Ognissanti di Valenzano.
Nel Salento i Benedettini, probabilmente con l'appogio dei "latini", avevano tentato di costruire chiese e abbazie: Santa Maria a Cerrate, presso Squinzano, col suo splendido chiostro ancora in gran parte intatto (questo e gli altri recuperi, dovuti alla mano felicissima di chi ha diretto e attuato i restauri), con i suoi rari capitelli di sapore francese, e con le sue elegantissime colonnine binate; e poi, la grandiosa basilica presso Giurdignano ("Le Centoporte"), San Pietro di Giuliano, San Giovanni di Patù, la chiesa di Crepacore presso Mesagne.
La cattedrale di Troia, mirabile monumento, dominato dagli ornati, assume un tono pittorico per l'uso sapiente della pietra sobriamente colorata: la bionda pietra di fondo, impreziosita da tarsie verdi, il tutto splendente nella luce della Murgia. Mirabili le due porte di bronzo, opera di Oderisio da Benevento, che le ideò e fuse nel 1119.
E, infine, monumenti che non nelle singole parti, bensì nel loro assieme, anzi nella loro integrale consistenza lasciano serenamente constatare quella tipica osmosi tra apporti stranieri e linguaggio regionale che si risolve nella realtà di un'arte propria della Puglia. Ne citiamo due, tra i più significativi. Il San Giovanni al Sepolcro, di Brindisi, (secolo XI), che riproduce con sorprendente fedeltà il Santo Sepolcro di Gerusalemme, quale risultò dall'opera di Costantino Monomaco: e proprio per questo motivo costituisce un documento dell'attività dei Templari, cui appartenne la chiesa brindisina, i quali vollero, di ritorno dalla Terra Santa, riprodurre il monumento più sacro alla loro memoria. E l'altro, certamente assai più noto: la tomba di Boemondo, a Canosa. Forse per suggestione del luogo (Antiochia, anno 1111) che vide la fine del re normanno, e per quel clima orientaleggiante che accompagnò il movimento crociato, questa tomba, pur nell'uso di paraste e arcate tra romaniche e classiche, rivela nell'alta cupola una qualche nostalgia islamica. La porta, che ha la firma di "Rogerius Melfie Campanarum", trae anch'essa i temi dei suoi pannelli dal repertorio arabo.
Ma tanto il San Giovanni di Brindisi, quanto la tomba boemondiana di Canosa di Puglia, se all'analisi rivelano la loro origine d'oltre mare, costituiscono unità architettoniche di per sé validissime, che finiscono col riscattarsi da qualunque ascendenza formale e da ogni sedimento di cultura, grazie soprattutto alla loro genuina compiutezza. Tanto che, a buon diritto, fanno parte del più suggestivo patrimonio artistico regionale.

(2 - fine)


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