§ Gente e paesi di Messapia

Incontri a Ceglie




Lionello Mandorino



Arrivando in macchina sulle ultime diramazioni delle Murge baresi, su un colle a 303 metri sul livello del mare, scorgo Ceglie Messapico. Non mi ero mai fermato a visitarla. Conoscevo altri paesi di sassi. Avevo ammirato o letto cieli o tramonti pieni di sangue della Murgia. Mai mi ero deciso a fare questa escursione, se non ora, invitato dal poeta amico Pietro Gatti a passare una giornata con lui, con il suo paese, con la sua buona gente. Di recente mi ha dedicato alcuni suoi versi, che trascrivo e traduco.

A Lionello Mandorino
che consenta a disvelare a me pure
la sua arte.
Pietro Gatti

Cà na ppesséte, fore d'a vesazze
strazzate i nna catarre, pròpia niende.

I due versi, equamente adattati a me da me, sono di "Il cieco di Chio" di Pascoli.

Le lùrteme lùrteme
I

M'agghje pruvate mettènneme sott'ô parete
- nu suspiru luenghe: a...h! pe mme dà forze -
cu mm'a 'mbuneve sobb'a Ile spadde ggià 'ngurcate
a sciàrcene de tiembe. Ma nange a agghje fatte.
A sbende, teranne, assciùvele a 'n derre.
Mu m'a voche strascenanne a bbellu bbelle ind'â porve,
da na vanne d'a strate ripe a Ile masse de vricce
pe Ilassà u poste cu ppàssene l'ate crestiane.
I june â vote me voche perdenne tutte le jore
ca so ssembe cchjù ppecciunne i ppesande nu chjumme.
Ma bbuene u ddefrische ggne ttande sobb'a nna petre
cu sse carme cud'affanne tremendenne penzanne
de ccussì 'nguna cose.

II

Nu ggnacche de culure appennute a 'n giele
n'arodda strazzate de frangiedde
a nnu zzippe de l'arve p'u sanghe.
Le penne nu bbrìvete ô sole - o me pare? -
i Ilùscene a 'm mienz'a ddo fiure.

p. g.


Le ultimissime
I


Mi son provato mettendomi sotto il muro
- un sospiro lungo: a...h! per darmi forza -
di caricarmela sulle spalle già curve
la sàrcina di tempo. Ma non ce l'ho fatta.
A spinte, tirando, è scivolata a terra.
Ora me la vado trascinando adagio adagio nella polvere,
da un lato della strada rasente le masse di breccia
per lasciare spazio che passino gli altri cristiani.
E una alla volta mi vado perdendo perdendo tutte le ore
che sono sempre più brevi e pesanti un piombo.
Ma buona la sosta ogni tanto su una pietra
che si calmi quell'affanno guardando pensando
così qualche cosa.

II

Una chiazza di colori appesa nel cielo
un'aluccia lacerata di fringuello
a un rametto dell'albero per il sangue.
Le penne un brivido al sole - o mi pare? -
e luccicano in mezzo a due fiori.

p. g.


Gatti non poteva non farmi visitare il vecchio centro storico, fatto di case calcinose che gridano di bianco lucente. Vicoli stretti e tortuosi, pavimentati di selciato informe, lucidato a festa da umili donne che seguono con occhio discreto il visitatore. Cortili, arcate, case con piccole porte, basse e strette finestre t'invitano a guardar dentro. I comignoli spenti si alzano irregolari sui tetti, affiancati da canne fumarie moderne, dalle quali fuoriesce il gas degli impianti di riscaldamento.
Sobrie, poderose scale prive di marmo creano alcove che ospitano la "pila", anch'essa di pietra, scavata in passato da mani dure e callose. Vasi di gerani, oppure bombole di gas vuote o secchi contenitori di acqua di calce che serve a rinfrescare le facciate esterne delle case. Tra un balcone e l'altro, su di un filo di ferro, pantaloni con toppe, magliette, golfi, modesta biancheria intima danno la visione di un genuino, nativo, paziente lavoro. E anche qui svettano le antenne televisive sui tetti rossi rugginosi che seguono la spiovenza delle facciate armonizzate tra retta e linea mista: tra una fessura e l'altra, una pianta di cappero, un ramo di fico selvatico o un ciuffetto di verde vivacizzano questo ambiente bambacioso. Solo i bambini ti saltano davanti, ti vogliono parlare e ti sgranano gli occhi perché vogliono far confidenza con altri occhi che inquadrano un vecchio palazzo ducale abbandonato, in parte in dissesto, insieme con la sua torre quadrata.
Curiosa, qualche vecchia donnina ti segue dal balcone del piano superiore; oppure una giovane donna dallo sguardo gentile esce sull'uscio, ti guarda, come volesse invitarti nella sua casa. Poche sono le macchine in sosta, in slarghi e strade meno anguste; un motociclo in una strada in parte acciottolata e in parte asfaltata è lì a tenere sul serbatoio una vecchia giacca pronta per essere indossata da un contadino o da un operaio che deve tornare al lavoro. In un angolo, una donna seduta su di una bassa sedia di paglia: tra le braccia stringe un bimbo immobile, fermo come è quel Cristo sulle gambe della Vergine, sotto una gran croce. (Dipinto osservato in una nicchia ricavata all'interno di uno dei tanti archi che uniscono una strada all'altra, o una piccola piazza ad altri ambienti).
Un viottolo ci fa finire in uno slargo grande quanto due lenzuola matrimoniali di pavimento selciato, reso corpo compatto (quasi un praticello) per via dell'erba che cresce allo stato brado nelle rughe tra una lastra di pietra e l'altra. Intanto, siamo giunti all'ingresso dello studio del pittore Uccio Biondi, annunciato da una grossa tavolozza di legno dipinta, con sopra nome e cognome in tutto bianco, tenuto da un chiodo sulla spalla di un arco a tutto sesto modanato. Anche qui, tenuti sospesi da un filo di ferro, pantaloni stinti e vivaci vestiti di bambini, di colori diversi. Salgo con Gatti una breve scala ed ecco Biondi venirci incontro: e senza alcuna gelosia per i segreti del suo studio, me lo fa visitare fin negli angoli più riposti. Pietro già lo conosceva.
Un bottegone, formato da più stanze. Per prime, mi colpiscono le pareti. Tanti manifesti attaccati annunciano mostre organizzate di Viani, di Mazzacurati, di Cagli, di Conte, di altri. Non mancano quelli dei Festival di Spoleto, di altre manifestazioni in diverse località; o locandine che annunciano in teatri o in sale cinematografiche compagnie pugliesi con le loro operette, drammi, comiche o serate allietate da cantanti o complessi musicali in città meridionali.
Ma dopo tutto questo non può non richiamare la mia attenzione questa scritta: "Mai più la guerra, prima di tutto la pace". E, con questa, altre frasi su altri manifesti; o ancora, tra uno spazio e l'altro di parete vuota, espressioni, idee spezzate o periodi interi scritti dalla mano del pittore: con pennello o con pennarello completano la composizione parietale, o meglio, il gran collage.
Al centro della stanza, un piano di panforte sostenuto da due bassi trespoli fa da tavolo di lavoro. Su di esso, tavolozza, colori, pennelli, spatole, vernici, barattoli, vasi contenenti colori e fiori di campo, che il sole messapico ha insecchito. Ad una maniglia di scuretto di infisso, che illumina un dipinto sul cavalletto, "camicia ammuffita", un serto di peperoncini rossi anch'essi secchi orna l'ambiente e si armonizza con la tappezzeria del divano, (due modelle sedute seguono il mio colloquio con l'amico artista). Il poeta Gatti ci scruta nell'attigua stanza piena di tele, di cornici grandi e piccole pronte ad accogliere i dipinti che tra pochi giorni, allineati, dovranno far mostra a Verona e far sentire i sapori e gli odori di un'antica e nuova terra messapica, mediante l'espressione e l'atteggiamento delle figure, che in una parola diventano l'idea, lo stato interiore dell'artista.
I soggetti più puri sono un volto di una giovane donna, dal pensiero lontano: ma si può esser presi da riverente ammirazione guardando anche un arcigno volto di cafone, o quello di un pescatore corroso dalla salsedine; oppure osservando le vedove bianche o una donna con pannocchia o una struggente figura, "Palo di carne".
In tutte queste immagini umane, pregnanti di musicalità dolente, che parlano molto con lo sguardo acuto, indagatore, che scava il problema sociale passato, si innesta il presente, la condizione di oggi, senza termini di contraddizione storica. Le figure di Uccio Biondi evidenziano l'amarezza del dolore, lo sdegno e la tempestosa serenità di facciata, come sintomi di sacrifici consumati fino alla estrema stanchezza. In ognuna di esse arde dentro il senso dell'indefinito e dell'ignoto, che rivela il dolore e la desolazione non visibili. Per l'artista anche l'albero, la casa, il pane raffermo, il pesce, il peperone, l'aglio, la cipolla, il fiore custodiscono tenacemente il problema umano, nel quale si accoglie ogni "vero"; un vero che è adombrato - e si avverte - tenuissimamente in "tutto il sociale", che chiude la narrazione del dramma della popolazione meridionale non solo, perché è disegnato o dipinto nei quadri, o perché si muove in un ambiente più o meno vivo nel reale artistico, ma soprattutto perché il passato vero, appunto, dell'ambiente è presente nella gente che si porta dentro un dolore così macerante, che neanche una puntigliosa pagina di storia potrebbe evidenziare così coerentemente, così poeticamente. Perché una poesia pittorica è quella di Uccio Biondi, poesia vera, genuina, che scava nel disco della coscienza degli uomini di potere. Com'è poesia quella scritta da Pietro Gatti, che ha tanta affinità nell'esprimere la speranza degli uomini pur nelle storiche sconfitte della povera gente: poesia dalla quale emerge in tutta la sua grandezza, plasticamente prorompente, il verso che mette in rilievo, con prontezza d'ingegno, la storia, le radici di un'umile vita che si ripete in tracce di patimento.


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