§ Ceramica ellenistica in Puglia

La ceramica di Gnathia




Luciano Milo



Verso la metà del V secolo a.C. lo svilupparsi della colonizzazione greca nell'Italia Meridionale portò anche alcuni ceramisti, in gran parte attici, a stabilirsi nella Magna Grecia. Questo fatto dette origine ad una produzione ceramica vasta ed originale, diffusa, oltre che in Puglia, anche in Sicilia e Campania e fino al Lazio e all'Etruria.
La caratteristica fondamentale che fa distinguere i vasi italioti da quelli prodotti in Grecia è data dall'argilla, più chiara di quella greca, e dalla lucentezza della vernice nera che non raggiunge mai lo splendore di quella attica. Stilisticamente, all'inizio i vasi mostrano nettamente i legami con la ceramica attica, poi man mano la decorazione si trasforma, lo stile diviene sempre più indipendente e singolare e possiamo così distinguere fabbriche e maestri con caratteristiche ben definite. Anche le forme dei vasi, sotto l'influsso delle ceramiche indigene, assumono caratteri originali; abbiamo così il cratere a campana, la trozzella, l'"epikisis" ed anche un singolarissimo piatto decorato con pesci e dotato di una vaschetta centrale destinata a contenere la salsa.
Nel periodo ellenistico, forse penetrando in Puglia attraverso Taranto, si diffonde il gusto della policromia. Inizialmente i vasi sono ancora a figure rosse "risparmiate", ovverossia lasciate del colore naturale dell'argilla su uno sfondo ricoperto da un velo sottile di un pigmento composto da creta finissima mescolata con potassio e con un colloide (urina o aceto) che agiva da fissatore.
La cottura veniva effettuata in tre fasi: in una prima fase, con fuoco asciutto ossidante ad una temperatura di circa 900 °C, l'argilla assumeva un bel colore rosso brillante; poi si introduceva aria calda umida che determinava la riduzione, cioè la trasformazione dell'ossido ferrico rosso in ossido ferroso nero, il pigmento fondeva e diveniva nerissimo, brillante; infine si tornava al fuoco ossidante, che trasformava nuovamente l'ossido ferroso in ossido ferrico rosso là dove non era stato applicato il pigmento, mentre lo sfondo rimaneva nero perché ormai impenetrabile all'ossigeno. Le sfumature di colore erano ottenute con strati di pigmento più o meno denso che, a seconda della durata del processo, poteva assumere tutti i toni del marrone. Su questo processo di base, si innesta, verso la metà del IV secolo a.C., la sovrapposizione dei colori: bianco principalmente, poi rosso, paonazzo, giallo, ecc., non più solo come lumeggiamento ma come parte fondamentale della decorazione. A questo punto i ceramografi si accorsero che potevano fare a meno del lungo processo con le tre fasi di cottura necessarie per ottenere le figure rosse "risparmiate", ed applicarono i colori sul fondo nero.
La facilità e rapidità di esecuzione ed il contemporaneo diffondersi, sotto gli influssi ellenistici ed alessandrini, di un gusto decorativo quasi miniaturistico, diedero origine ad una categoria di vasi che, per l'eleganza, la fantasia e per la diffusione, rappresenta una delle espressioni più ricche di interesse pittorico dell'Italia Meridionale: lo stile di "Gnathia".
Gnathia era una piccola città della Puglia, sulla costa adriatica, fra Bari e Brindisi, a 7 Km. da Fasano. E' citata da Orazio, Plinio, Strabone, Tolomeo, con diverse grafie: Gnatia, Egnatia, Gnathis e Gnathios.
Alcuni studiosi ne fanno risalire l'etimologia al messapico e da questo ad una radice indoeuropea che significherebbe bocca, imboccatura, con riferimento al porto, ora sommerso. La città in origine era posta al confine fra la Peucezia e la Messapia come si deduce dai corredi vascolari, composti da vasi dei due stili, rinvenuti nelle tombe all'interno della cinta delle mura. Queste furono costruite posteriormente, probabilmente al tempo della conquista romana. Romana è infatti la parte della città riportata alla luce, con le caratteristiche dei "castrum", costruito ai lati della via Traiana, che ne costituiva l'asse principale, fiancheggiata da "Tabernae" e con un Foro pavimentato a grosse lastre di pietra tufacea.
L'attribuzione a Gnathia dei vasi decorati è dovuta al gran numero di essi ritrovati negli scavi ed inoltre al ritrovamento di alcune fornaci con frammenti di scarto e pezzi del colore usato per dipingerli. L'area di diffusione è però così vasta, da Gnathia a Rudiae, a Canosa, Taranto, Manduria e poi in Sicilia, Lazio, Etruria e fino in Grecia, che non èimprobabile che i centri di produzione fossero diversi. Fra questi possiamo quasi certamente annoverare Ruvo, Canosa, Rudiae ed altri.
I temi figurativi sono caratterizzati da rappresentazioni di figure quasi sempre
isolate: personaggi del culto dionisiaco (Menadi e Satiri), piccoli eroti, Afroditi cavalcanti su cigni, animali reali o fantastici, il tutto incorniciato da ghirlande di fiori con nastri svolazzanti, tralci di vite, foglie di edera e rami di ulivo, dipinti in uno stile miniaturistico, estremamente vario ed elegante, ravvivato dalla vivacità dei rossi e dei gialli, sovrapposti al bianco, che, specie nel periodo primitivo, hanno uno splendore singolare.
I primi esempi che si possono ricollegare allo stile di Gnathia provengono da Taranto e sono solamente dei frammenti, ma così importanti per il contenuto da non poter essere sottaciuti. In uno dei più noti è raffigurato un fondale scenico con due parasceni sporgenti, disegnati secondo i principi della prospettiva spaziale che erano appena stati introdotti nella geometria greca del IV secolo da Menecmo. Un altro frammento mostra la tendenza al realismo dell'arte italiota: un mimo, dal volto volgare, con la barba incolta, quasi un ritratto, tende verso il pubblico la maschera eroica che, con la sua finezza ed eleganza contrasta con la volgarità dell'attore. Un terzo importante frammento è quello in cui è rappresentata una donna grassa che danza nuda con una fiaccola in mano uscendo evidentemente ebbra da un convito.
Poi la produzione si fa più corrente pur senza abbandonare la felice vena del ritratto, della caricatura; le forme dei vasi si fanno complicate, barocche, compaiono le baccellature e scannellature plastiche, le anse si intrecciano, le brocche presentano imboccature trilobate, oblique, a cartoccio, si cerca di imitare i vasi metallici nella forma e nelle sfumature del colore di fondo che tende, a volte, al bronzo e all'argento.
Un altro elemento decorativo molto importante è dato dalle maschere teatrali tragiche e soprattutto comiche, ispirate ai modelli greci. A questo proposito non possiamo non ricordare che le ceramiche nello stile di Gnathia giungono fino ai primi decenni del III secolo, anni in cui nasceva a Rudiae Livio Andronico che, primo, introdusse a Roma la tragedia e la commedia greca.
Un'altra categoria molto importante di vasi appartiene a questo periodo. Si tratta dei vasi che illustrano le rappresentazioni "fliaciche", con una sorta di tragicommedia molto in voga nel IV secolo sia in Atene che in Magna Grecia. Tutte le antiche tragedie sono messe in farsa, ma è in particolare la tragedia di Euripide a fare le spese della satira. Un altro argomento che si prestava facilmente all'ironia è quello mitologico, e così sono messe alla berlina le avventure di Zeus e di Eracle o quelle di Ulisse e degli eroi troiani.
I vasi "fliacici" hanno il merito di rivelarci i soggetti ed i costumi di quel teatro, insieme ai personaggi ed ai loro nomi. Così conosciamo il ladro di frutta, il soldato spaccone, il servo imbroglione, la vecchia mezzana e tutti quei personaggi che da sempre animano le farse più salaci. Dal punto di vista tecnico le figurazioni ci danno la possibilità di conoscere come era concepito il disegno comico e caricaturale e rivelano la particolare inclinazione degli artigiani italioti alla comicità ed espressività dei volti e delle maschere. Per quanto riguarda l'epoca di fabbricazione andiamo dal tardo V secolo dei primi prototipi attici al grosso della produzione, apula, che appartiene al IV secolo insieme a quella pestana e siciliota, per finire nel III secolo con i vasi decorati nello stile Gnathia.
Abbiamo così passato in rapida rassegna una produzione vascolare a torto considerata fino a poco tempo fa secondaria e provinciale e che invece ad un esame, più accurato si è rivelata ricca di originalità, realismo e fantasia. In confronto con l'austera idealizzazione delle opere artistiche greche contrasta il geniaccio e lo spirito italico che, sin da allora, ad una vita troppo seria e forse grama, contrapponeva i lazzi, gli scherzi salaci e le allegre commedie che pongono in evidenza virtù e vizi dell'animo umano.

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