Alcune considerazioni
in margine alla composizione qualitativa e quantitativa degli attivi bancari.
Vincolo di portafoglio e "plafond".
Di fronte al peso
rilevante degli investimenti in titoli che caratterizza, in questi ultimi
anni, il patrimonio delle banche italiane, sembra il caso di chiedersi
se il protrarsi e/o l'accentuarsi di tale tendenza non comporti una
alterazione dell'equilibrio economico-finanziario del nostro sistema
bancario.
E' noto che il livello degli acquisti, da parte del pubblico, di titoli
emessi dal Tesoro e dagli Istituti speciali di credito risulta sensibilmente
basso in presenza di attese inflazioniostiche; le quali, in sostanza,
erodono il valore capitale dei valori mobiliari e riducono, sino ad
annullarla, la remunerazione reale dell'investimento.
In tale contesto, il mercato creditizio, seppure articolato su vari
centri, trova sostanzialmente il suo punto di appoggio nella crescita
di intermediari che operano nel breve termine, e cioè nelle Aziende
di credito ordinario.
Anche se ciò comporta un inaridimento del canale diretto "famiglie-imprese"
e, quindi, un costo derivante dalla maggiore tortuosità del circuito
finanziario, il deposito bancario, soddisfacendo le esigenze di liquidità
e di redditività delle famiglie, permette alle banche di ovviare
alle necessità finanziarie delle imprese e di sanare, in definitiva,
l'incompatibilità fra le esigenze di chi risparmia e quelle di
chi domanda risorse.
Ed è proprio quest'ultima considerazione che ha indotto le nostre
autorità ad immobilizzare buona parte degli attivi delle Aziende
di credito con il "vincolo di portafoglio", un obbligo questo
che, è appena il caso di dirlo, influisce negativamente sull'equilibrio
economico, finanziario e patrimoniale delle banche.
A ben vedere, oggi, il vincolo suddetto non incide eccessivamente sugli
investimenti bancari, dato che esso dal 40 per cento iniziale è
passato al 30 ed oggi, "penalizza" soltanto il 6,5 per cento
dell'incremento trimestrale dei depositi. Ma ciò che più
importa, per le considerazioni che seguono, è la composizione
qualitativa del portafoglio titoli e la sua influenza sulla redditività
dell'attivo aggregato.
Consideriamo, in primo luogo, gli effetti che provoca sul rendimento
medio degli investimenti bancari una massiccia presenza di valori mobiliari
imposta dal vincolo di portafoglio, al fine di favorire, ad esempio,
la copertura del disavanzo del settore pubblico.
In presenza di rapidi e continui aumenti dei tassi sulla raccolta, le
banche sono costrette a variare al rialzo i tassi su quelle operazioni
di impiego che consentono aggiustamenti di questo genere.
Tali sono le operazioni a breve, dal momento che i tassi ad esse applicati
possono agevolmente essere adeguati alle variazioni subite dal mercato.
Al limite, se le banche avessero un attivo costituito esclusivamente
da crediti a breve, allorché i tassi sulla raccolta si manifestino
con punte al rialzo - con conseguente aumento dei costi di esercizio
- esse potrebbero adeguare i tassi attivi alle mutate condizioni di
mercato e, quindi, aumentare i ricavi e, in tal modo, mantenere inalterati
i profitti.
Ma tutto ciò non è possibile se gli attivi bancari sono
caratterizzati da larghe quote investite in valori mobiliari e/o, anche,
in mutui a medio termine. In sostanza, la rigidità che caratterizza
gli aggiustamenti al rialzo del livello dei rendimenti medi del portafoglio
delle banche, che si trovano nella situazione anzidetta, è da
attribuirsi al peso dei tassi applicati sugli investimenti effettuati
in periodi precedenti, sensibilmente lontani nel tempo.
E' chiaro che tali saggi, risultando ovviamente inferiori a quelli attuali
di mercato, abbassano la redditività media dell'intero portafoglio.
Ma v'è un altro aspetto del problema che ci sembra utile sottolineare.
I provvedimenti creditizi dell'Autorità Centrale sono da considerarsi
variabili esterne alla sfera di azione delle Aziende di credito. In
sostanza, il sistema dei vincoli di varia natura delimita il margine
di discrezionalità di cui dispongono le banche in materia di
composizione qualitativa e quantitativa dei propri "attivi".
Si è già detto che l'investimento obbligatorio in valori
mobiliari da parte delle banche provoca, in definitiva, un abbassamento
del rendimento medio di tutto l'attivo patrimoniale. Ma diverso è
il caso in cui l'ampliamento del portafoglio titoli a reddito fisso
è determinato in base a scelte effettuate autonomamente dalle
banche al fine di influire positivamente sulle coordinazioni lucrative
e finanziarie della gestione. A ben vedere - tenuto conto che le attività
costituite da valori mobiliari possono ritenersi più liquide
dei prestiti, sia per le entrate monetarie che essi possono generare
in relazione allo scaglionamento delle scadenze e al pagamento degli
interessi sia perché monetizzabili in un mercato secondario -
il contributo dei titoli, in termini di liquidità, potrebbe risultare
di un certo rilievo.
Ora la possibilità di selezionare le attività finanziarie,
in modo da raggiungere e mantenere un portafoglio giudicato ideale,
è collegata alla natura dei vincoli imposti dalla Banca Centrale.
Allorché le banche ordinarie sono obbligate ad investire in titoli
a reddito fisso, la scelta dei valori da sottoscrivere per soddisfare
il "vincolo di portafoglio", è effettuata dall'Autorità
Centrale. Ne deriva, in primo luogo, una circostanza che influisce non
solo sulle caratteristiche del portafoglio in essere, ma anche sulla
possibilità delle banche di modificarlo nel futuro. Pertanto,
la trasformabilità dell'attivo, cioè la capacità
della banca di modificare la composizione dello stock di titoli adeguandolo
alle mutate condizioni del mercato, può risultare fortemente
condizionata dalla presenza del vincolo suddetto.
Se si considera invece la disciplina che limita la discrezionalità
delle banche nell'espansione degli impieghi (massimali), tale vincolo,
nel porre freno all'attività bancaria nel settore degli impieghi,
pur provocando un incremento di volume degli investimenti mobiliari
consente alle Aziende di credito di ottimizzare il grado di trasformabilità
del proprio portafoglio titoli e, quindi, di adeguarlo al variare delle
condizioni di mercato, limitando, in tal modo, il rischio dell'investimento
in questione.
Alla luce delle considerazioni appena delineate l'attenuazione del vincolo
di portafoglio in presenza di un massimale sugli impieghi non lascia
inalterata la composizione qualitativa del portafoglio titoli delle
banche, nel senso che aumenta il margine di manovra che consente alle
stesse di mutare le caratteristiche qualitative dell'investment account.
Tutto ciò costituisce un elemento di grande rilievo per quanto
concerne il grado di elasticità dei rendimenti medi degli attivi
bancari.
Quindi, sotto il profilo reddituale il vincolo di portafoglio risulta
più penalizzante per le banche rispetto all'obbligo rappresentato
dal massimale sugli impieghi poiché, anche se la possibilità
di monetizzare i titoli non può essere sfruttata per aumentare
le operazioni di prestiti, il problema dell'asset management si riduce
sostanzialmente alla scelta di criteri adeguati al fine di ottimizzare
la "gestione titoli", minimizzando cioè il rischio
economico degli investimenti mobiliari.
Tali alee, in effetti, risultano attinenti alle variazioni future dei
saggi di interesse e si riflettono essenzialmente sulla redditività
delle operazioni in titoli e, quindi, sul mantenimento dell'equilibrio
economico e finanziario della gestione.
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