La composizione degli attivi bancari




Maurizio Vincenzini



Alcune considerazioni in margine alla composizione qualitativa e quantitativa degli attivi bancari. Vincolo di portafoglio e "plafond".

Di fronte al peso rilevante degli investimenti in titoli che caratterizza, in questi ultimi anni, il patrimonio delle banche italiane, sembra il caso di chiedersi se il protrarsi e/o l'accentuarsi di tale tendenza non comporti una alterazione dell'equilibrio economico-finanziario del nostro sistema bancario.
E' noto che il livello degli acquisti, da parte del pubblico, di titoli emessi dal Tesoro e dagli Istituti speciali di credito risulta sensibilmente basso in presenza di attese inflazioniostiche; le quali, in sostanza, erodono il valore capitale dei valori mobiliari e riducono, sino ad annullarla, la remunerazione reale dell'investimento.
In tale contesto, il mercato creditizio, seppure articolato su vari centri, trova sostanzialmente il suo punto di appoggio nella crescita di intermediari che operano nel breve termine, e cioè nelle Aziende di credito ordinario.
Anche se ciò comporta un inaridimento del canale diretto "famiglie-imprese" e, quindi, un costo derivante dalla maggiore tortuosità del circuito finanziario, il deposito bancario, soddisfacendo le esigenze di liquidità e di redditività delle famiglie, permette alle banche di ovviare alle necessità finanziarie delle imprese e di sanare, in definitiva, l'incompatibilità fra le esigenze di chi risparmia e quelle di chi domanda risorse.
Ed è proprio quest'ultima considerazione che ha indotto le nostre autorità ad immobilizzare buona parte degli attivi delle Aziende di credito con il "vincolo di portafoglio", un obbligo questo che, è appena il caso di dirlo, influisce negativamente sull'equilibrio economico, finanziario e patrimoniale delle banche.
A ben vedere, oggi, il vincolo suddetto non incide eccessivamente sugli investimenti bancari, dato che esso dal 40 per cento iniziale è passato al 30 ed oggi, "penalizza" soltanto il 6,5 per cento dell'incremento trimestrale dei depositi. Ma ciò che più importa, per le considerazioni che seguono, è la composizione qualitativa del portafoglio titoli e la sua influenza sulla redditività dell'attivo aggregato.
Consideriamo, in primo luogo, gli effetti che provoca sul rendimento medio degli investimenti bancari una massiccia presenza di valori mobiliari imposta dal vincolo di portafoglio, al fine di favorire, ad esempio, la copertura del disavanzo del settore pubblico.
In presenza di rapidi e continui aumenti dei tassi sulla raccolta, le banche sono costrette a variare al rialzo i tassi su quelle operazioni di impiego che consentono aggiustamenti di questo genere.
Tali sono le operazioni a breve, dal momento che i tassi ad esse applicati possono agevolmente essere adeguati alle variazioni subite dal mercato.
Al limite, se le banche avessero un attivo costituito esclusivamente da crediti a breve, allorché i tassi sulla raccolta si manifestino con punte al rialzo - con conseguente aumento dei costi di esercizio - esse potrebbero adeguare i tassi attivi alle mutate condizioni di mercato e, quindi, aumentare i ricavi e, in tal modo, mantenere inalterati i profitti.
Ma tutto ciò non è possibile se gli attivi bancari sono caratterizzati da larghe quote investite in valori mobiliari e/o, anche, in mutui a medio termine. In sostanza, la rigidità che caratterizza gli aggiustamenti al rialzo del livello dei rendimenti medi del portafoglio delle banche, che si trovano nella situazione anzidetta, è da attribuirsi al peso dei tassi applicati sugli investimenti effettuati in periodi precedenti, sensibilmente lontani nel tempo.
E' chiaro che tali saggi, risultando ovviamente inferiori a quelli attuali di mercato, abbassano la redditività media dell'intero portafoglio.
Ma v'è un altro aspetto del problema che ci sembra utile sottolineare.
I provvedimenti creditizi dell'Autorità Centrale sono da considerarsi variabili esterne alla sfera di azione delle Aziende di credito. In sostanza, il sistema dei vincoli di varia natura delimita il margine di discrezionalità di cui dispongono le banche in materia di composizione qualitativa e quantitativa dei propri "attivi".
Si è già detto che l'investimento obbligatorio in valori mobiliari da parte delle banche provoca, in definitiva, un abbassamento del rendimento medio di tutto l'attivo patrimoniale. Ma diverso è il caso in cui l'ampliamento del portafoglio titoli a reddito fisso è determinato in base a scelte effettuate autonomamente dalle banche al fine di influire positivamente sulle coordinazioni lucrative e finanziarie della gestione. A ben vedere - tenuto conto che le attività costituite da valori mobiliari possono ritenersi più liquide dei prestiti, sia per le entrate monetarie che essi possono generare in relazione allo scaglionamento delle scadenze e al pagamento degli interessi sia perché monetizzabili in un mercato secondario - il contributo dei titoli, in termini di liquidità, potrebbe risultare di un certo rilievo.
Ora la possibilità di selezionare le attività finanziarie, in modo da raggiungere e mantenere un portafoglio giudicato ideale, è collegata alla natura dei vincoli imposti dalla Banca Centrale.
Allorché le banche ordinarie sono obbligate ad investire in titoli a reddito fisso, la scelta dei valori da sottoscrivere per soddisfare il "vincolo di portafoglio", è effettuata dall'Autorità Centrale. Ne deriva, in primo luogo, una circostanza che influisce non solo sulle caratteristiche del portafoglio in essere, ma anche sulla possibilità delle banche di modificarlo nel futuro. Pertanto, la trasformabilità dell'attivo, cioè la capacità della banca di modificare la composizione dello stock di titoli adeguandolo alle mutate condizioni del mercato, può risultare fortemente condizionata dalla presenza del vincolo suddetto.
Se si considera invece la disciplina che limita la discrezionalità delle banche nell'espansione degli impieghi (massimali), tale vincolo, nel porre freno all'attività bancaria nel settore degli impieghi, pur provocando un incremento di volume degli investimenti mobiliari consente alle Aziende di credito di ottimizzare il grado di trasformabilità del proprio portafoglio titoli e, quindi, di adeguarlo al variare delle condizioni di mercato, limitando, in tal modo, il rischio dell'investimento in questione.
Alla luce delle considerazioni appena delineate l'attenuazione del vincolo di portafoglio in presenza di un massimale sugli impieghi non lascia inalterata la composizione qualitativa del portafoglio titoli delle banche, nel senso che aumenta il margine di manovra che consente alle stesse di mutare le caratteristiche qualitative dell'investment account.
Tutto ciò costituisce un elemento di grande rilievo per quanto concerne il grado di elasticità dei rendimenti medi degli attivi bancari.
Quindi, sotto il profilo reddituale il vincolo di portafoglio risulta più penalizzante per le banche rispetto all'obbligo rappresentato dal massimale sugli impieghi poiché, anche se la possibilità di monetizzare i titoli non può essere sfruttata per aumentare le operazioni di prestiti, il problema dell'asset management si riduce sostanzialmente alla scelta di criteri adeguati al fine di ottimizzare la "gestione titoli", minimizzando cioè il rischio economico degli investimenti mobiliari.
Tali alee, in effetti, risultano attinenti alle variazioni future dei saggi di interesse e si riflettono essenzialmente sulla redditività delle operazioni in titoli e, quindi, sul mantenimento dell'equilibrio economico e finanziario della gestione.


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