Realtą e prospettive dell'economia italiana




Francesco Parrillo



Per l'economia italiana il 1980 può essere considerato un anno positivo da un punto di vista reale in presenza, tuttavia, di forte inflazione e di disavanzo dei conti con l'estero.
Elementi positivi riguardano la crescita del prodotto nazionale lordo stimato, per l'intero anno, nel 4%, superato in campo internazionale soltanto dal Giappone. Le riserve ufficiali nette a 53.387 miliardi di lire a fine ottobre, sono tuttora di una consistenza elevata anche se tendono a diminuire, leggermente, quelle valutarie per l'azione di sostegno della lira svolta dalla Banca Centrale. L'Italia si mantiene in una posizione di forza anche sul mercato dei capitali internazionali; è, infatti, il secondo paese utilizzatore del mercato dell'eurodollaro.
Tra i fattori negativi, un posto preminente occupa il tema della crescita della spesa pubblica anche se il ritmo di incremento del disavanzo appare ormai da un paio d'anni sotto controllo. Altro fattore preoccupante è rappresentato dalla voragine della bilancia commerciale aggravata dalla continua perdita di competitività, innescata dal differenziale dell'inflazione esistente in Italia rispetto agli altri Paesi.
Sintomatica è la stessa crisi della grande industria, in un sistema produttivo in cui le piccole e medie imprese, da sole, non possono sostenere l'occupazione e lo sviluppo; nonostante le diverse proposte di soluzione, tale crisi resta un problema pressante in relazione anche alla difficile situazione delle imprese a partecipazione statale. L'elevato tasso di inflazione che non accenna a diminuire in maniera sensibile, malgrado gli interventi monetari e fiscali di natura restrittiva, è tuttavia il principale elemento che scuote l'intera economia. La recessione, slittata alla seconda parte del 1980, per l'effetto di trascinamento determinato dall'evoluzione economica del 1979, ha reso necessari i provvedimenti di contenimento della domanda che, iniziati già nell'ottobre del 1979, sono proseguiti nel dicembre dello stesso anno e nel mese di aprile, giugno e settembre del 1980.
Esaminando l'andamento dell'economia italiana da un punto di vista congiunturale, si nota che la produzione industriale, dopo il massimo raggiunto in aprile, si è ridotta progressivamente del 2,1% nel secondo e del 7,3% nel terzo trimestre dell'anno. Il dato relativo all'intero 1980 appare ancora superiore a quello del 1979 soltanto per gli effetti del buon andamento produttivo registrato all'inizio dell'anno; nei primi nove mesi del 1980, la produzione industriale supera, del 5,2%, l'andamento
dei 1979 anche se, dopo i primi quattro mesi positivi, è iniziata una lenta, ma sensibile contrazione che ha interessato, in modo diseguale, i vari settori produttivi e le diverse aree del Paese.
Tale andamento, che segue le tendenze a livello internazionale, riflette la decelerazione della domanda interna sia per quanto riguarda i beni di consumo che quelli di investimento. La domanda di consumo si è ridotta per effetto del minor reddito reale disponibile delle famiglie e per le aspettative pessimistiche sulla futura evoluzione dell'economia, che contrastano la spinta al consumo di natura inflazionistica. Scende anche la domanda per investimenti in relazione al minor grado di utilizzo degli impianti, al calo dei profitti ed all'aumento del costo del denaro.
Nel complesso, la recessione non ha determinato un sensibile rallentamento dell'inflazione se non per quanto riguarda i prezzi all'ingrosso che da una crescita mensile del 2% nel primo trimestre, sono passati all'1% nel secondo ed allo 0,7% nel terzo trimestre. I prezzi al consumo, al contrario hanno ridotto il proprio ritmo di crescita all'1,1% nel secondo per passare all'1,6% in più al mese nel terzo trimestre; tale crescita è da imputare, in gran parte, all'aumento dei prezzi amministrati e delle imposte indirette oltre che dall'operare delle aspettative e di meccanismi di indicizzazione.
Un altro aspetto critico della situazione economica è quello relativo all'andamento degli scambi con l'estero. Infatti, mentre nei primi nove mesi le importazioni sono aumentate del 41,3% in valore (61.228 miliardi), le esportazioni sono cresciute, sempre in valore soltanto del 13,8% (47.616 miliardi); il deficit ha raggiunto, pertanto, 13.612 miliardi.
L'andamento riduttivo delle esportazioni ha determinato una perdita delle quote di mercato dell'Italia dal 7,2% al 6,3% nel primo semestre 1980 rispetto allo stesso periodo del 1979. Per l'intero 1980 si prevede un deficit di 18.000 miliardi per la bilancia commerciale e di 6.000 miliardi per la bilancia dei pagamenti, 2.500 miliardi e dalla crescita dell'indebitamento bancario nei confronti dell'estero per 4.500 miliardi.
L'andamento della lira, dopo il deprezzamento iniziato in marzo e le attese di svalutazione dell'estate, ha registrato un minimo a metà settembre ed un lieve recupero nel periodo successivo in relazione all'indebolimento del marco. L'inflazione all'interno, quindi, non si è riflessa, se non in parte, sul cambio in quanto, se non operano spinte di natura speculativa, i vincoli monetari e l'aumento della posizione netta sull'estero delle aziende di credito permettono alle autorità monetarie di controllare il valore esterno della lira senza sensibili perdite di riserve valutarie. Tuttavia, l'evoluzione del dollaro al rialzo e del marco al ribasso penalizza da una parte le importazioni e, dall'altra, le vendite all'estero rendendo, in prospettiva, ancora più critica la situazione della bilancia commerciale.
Alle incertezze cicliche si aggiungono, con maggiore evidenza, i problemi strutturali, che è necessario affrontare non con misure di emergenza, ma predisponendo interventi e politiche di ampio respiro temporale.
I difficili problemi dell'economia italiana sono inoltre esasperati dalla catastrofe che ha colpito il Mezzogiorno; all'eredità di carattere ordinario che ci trasmette quest'anno - oltre i pesanti nodi strutturali tuttora irrisolti - si deve aggiungere quella straordinaria collegata alla ricostruzione del Meridione.
Non è possibile stabilire, allo stato attuale, quale sia l'entità della tremenda sciagura. Secondo i primi calcoli induttivi, la misura dei danni viene ragguagliata a circa il 3% del reddito nazionale, vale a dire intorno ai 9-12.000 miliardi. Ma probabilmente, essi saranno molto maggiori, perché man mano che i giorni passano ci si accorge della crescente gravità della situazione.
Dopo gli interventi per le esigenze più urgenti il Governo ha deciso misure supplementari che si aggiungono ai prestiti esteri. Inoltre il Parlamento deve presentare un provvedimento organico predisposto da un apposito Comitato interministeriale, per la rinascita delle zone colpite dal terremoto, che condizionerà l'economia del 1981 e, forse, di tutti gli anni '80.
Da questa nuova sfida nasce un vero e proprio imperativo a coordinare di più le soluzioni, a superare inefficienze, ad elaborare un quadro di programmazione realistico, che renda compatibili obiettivi prioritari, risorse, strumenti di intervento.

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