In difesa del sud




Rosario Romeo



Non sono di coloro i quali ritengono che i mali del Mezzogiorno sono cominciati con l'unità, e so benissimo che nel 1860 il livello economico delle regioni meridionali era già inferiore a quello di gran parte dell'Italia del Nord. Ma sono anche persuaso che nel giudizio sui centoventi anni di vita unitaria non si possa ignorare la speciale posizione in cui -si è trovata l'area meridionale, inserita in un sistema economico nel quale le direttive fondamentali si ispiravano alle esigenze delle regioni settentrionali, giunte a un più elevato livello di sviluppo, e dunque interessate a una politica economica diversa da quella che di volta in volta avrebbe giovato al Mezzogiorno. Così, l'Italia è stata liberista quando le industrie meridionali abbisognavano di protezione, si è fatta protezionista quando l'agricoltura meridionale era alla ricerca di nuovi sbocchi all'estero, ha adottato un sistema di rapporti fra Stato, banche e industrie che è giovato solo alla Padania, e si è poi lanciata nella fase dei consumi di massa quando il Mezzogiorno aveva bisogno di investimenti e di austerità.
Sono persuaso che queste scelte furono storicamente e politicamente giuste, perché si ispiravano alle esigenze di maggior peso per lo sviluppo della collettività nazionale. Ma allora la politica meridionalista va giudicata per quello che è: un tentativo di limitare gli effetti negativi che le scelte sopra ricordate implicavano per il Mezzogiorno. I risultati sono stati deludenti, anche se le "cattedrali nel deserto" non sono state quel disastro che si dice (lo ha dimostrato qualche anno fa Pasquale Saraceno), e anche se aree di industrializzazione non proprio trascurabili sono sorte fra Roma e Napoli, e sulla costiera adriatica. Nonostante tutto, il miglioramento del tenore di vita nel Sud non è dovuto solo all'assistenzialismo; e non è colpa dei meridionali se si sono intraprese iniziative sbagliate come Gioia Tauro; ma neanche Gioia Tauro può dimostrare che il Sud deve restarsene all'agricoltura e al turismo, all'ombra dei quali la miseria meridionale ha allignato per secoli.
Tutto ciò non significa che il Sud sia stato "tradito" da chicchessia: significa però che nello sforzo di migliorare le sorti proprie e della propria regione i meridionali hanno dovuto lottare contro difficoltà maggiori che altrove, e con le quali l'Italia del Nord - senza alcun disegno antimeridionale, che non è mai esistito - qualcosa ,ci ha pure a che fare. E contro queste difficoltà è spesso fallita l'iniziativa non solo degli imprenditori meridionali ma anche dei settentrionali, nonostante gli incentivi offerti agli uni come agli altri.
Nessuno contesta, dunque, che in fatto di sviluppo economico e di organizzazione civile il Sud sia rimasto indietro. Ma da questo ad affermare, come si è fatto in questi giorni, che i meridionali sono ingrati e insensibili, capaci di lasciar morire i propri cari e i propri amici senza muovere un dito, ci corre. Vivo da decenni fra settentrionali e meridionali, ho amici carissimi fra gli uni e gli altri, e neppure se dovessi rinascere potrei ammettere che i meridionali la cedano ai compatrioti del Nord in fatto di gratitudine, sensibilità umana, attaccamento agli amici e ai familiari. I settentrionali li superano in molte cose, ma non in questo: e a chi la pensa diversamente c'è solo da chiedere in che mondo vive. A proposito di gratitudine, ricordo che al tempo dell'alluvione di Firenze il sindaco Bargellini insultava i soccorritori, proclamando che Firenze avrebbe fatto da sola e non aveva bisogno di nessuno, mentre si irrideva ai soldati che non spalavano il fango a dovere per timore di imbrattarsi le divise. Per mio conto avrei preso il sindaco alla lettera, e lasciato che i fiorentini se la sbrigassero da soli: invece mi è toccato, come agli altri, di pagar tasse per anni, in nome della solidarietà così sdegnosamente rifiutata dai beneficiari.
E, a proposito di imbrogli e di corruzione: abbiamo dimenticato lo scandalo delle licenze del Vajont, dove una licenza per una bancarella veniva rivenduta come autorizzazione all'apertura di un grande esercizio? E i prefabbricati del Friuli, a cui ora si aggiungono i contenitori non restituiti, ricordati da Zamberletti? E la gigantesca rete di truffe legata all'ennesimo scandalo dei petroli, che coinvolge tante ditte venete, piemontesi, ecc.? E' giusto generalizzare solo a carico dei meridionali? E come mai nessuno ha visto i gruppi di giovani locali che a Lioni, Pescopagano e in altre località terremotate si sono organizzati per partecipare all'opera di soccorso, e nelle cui file si sono inseriti giovani volontari di altre regioni? Ed è poi tanto difficile capire che la riluttanza di molti degli abitanti ad abbandonare le località colpite mostra la volontà di non ridursi alla condizione di assistiti e di terremotati di professione, e di riprendere invece il proprio lavoro e la propria vita?, che è appunto il contrario di quella scarsa fiducia nelle proprie forze e di quell'attender tutto dallo Stato che con tanta facilità si attribuisce agli abitanti di quelle disgraziate regioni. A me sembra che a molti soccorritori settentrionali sia capitato quel che spesso capita a un certo tipo di viaggiatori, che vedono soltanto ciò che si aspettano di vedere, e restano invece impermeabili a tutto ciò che non quadra con i loro giudizi e pregiudizi. E con quali giudizi e pregiudizi siano giunti nel Sud certi soccorritori bastano a dimostrarlo le lettere che di tanto in tanto si leggono sui giornali.
Ma ci sono cricche e camorre che già stendono i loro tentacoli per derubare le vittime degli aiuti e volgerli a loro profitto. Ammetto tutto: ma questi sono fenomeni di criminalità che, mi pare, dovrebbero essere combattuti in primo luogo dagli organi dello Stato, che invece anche in circostanze come queste esita a prendere le misure necessarie. Si vuole che napoletani, irpini, e lucani se ne liberino da soli? Ma si èdimenticato quel che avvenne a Torino al tempo del processo alle Brigate Rosse, quando si davano latitanti non solo coloro che erano chiamati a far parte della giuria ma anche gli avvocati che dovevano formare il collegio di difesa, pur in presenza di un massiccio impegno delle forze dell'ordine? Perché nessuno, allora, rispolverò i termini che ora vengono lanciati in faccia a irpini e lucani? E si badi che mafia e camorra sono fenomeni assai più diffusi e persuasivi delle Brigate Rosse, e che dunque di fronte ad esse la sensazione di impotenza da parte dei singoli è assai più giustificata, in certe zone. E poi c'è chi vorrebbe accreditare la tesi che mafia e camorra, vecchie di qualche secolo, sono un prodotto del malgoverno dei partiti autenticamente democratici: cercando in tal modo di trarre vantaggio dalle disgrazie dei terremotati e mettendosi dunque, anche in questo caso, sullo stesso piano dei mafiosi e dei camorristi.
Così sulla montagna di aiuti generosamente inviati dalle regioni del Nord si è stesa nelle ultime settimane una montagna ancora più alta di giudizi spregiativi e di ingiurie che minacciano di restare al centro della memoria collettiva dei meridionali dopo questa tragedia. Sostenere che nel Mezzogiorno non si possono trovare gruppi o persone alle quali affidare l'utilizzazione dei soccorsi equivale a negare ai meridionali ogni capacità di autogoverno, anche a livello dei fatti amministrativi più elementari: collocandoli in tal modo a un livello men che coloniale.
Sono cose che avvelenano gli animi, e di cui non c'è davvero bisogno, in un'epoca in cui si sono tanto indeboliti i motivi che un tempo cementavano l'unità nazionale. Può non piacere (a me piace) che i meridionali preferiscano morire di fame piuttosto che essere trattati da morti di fame. Ma se si vuole avere a che fare con loro di questo bisogna tener conto. Diversamente, la corda troppo tesa finirà per spezzarsi, un giorno o l'altro.

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