Il sud è




Aldo Bello



Venne il terremoto che sconvolse un'area più grande della Lombardia e per almeno due giorni nessuno volle dire la verità. Noi ci inerpicavamo su strade costruite al tempo di Murat, andavamo a fare ponte radio con le nostre macchine "attrezzate" con antenne a lungo raggio, radiotelefono e registratori, ed eravamo sempre i primi a raggiungere paesi sperduti, ridotti a cumuli di macerie, con i muri mastri crollati che mettevano impudicamente a nudo gli "interni" di poverissime case. Ai centralini della radio, della televisione, dei giornali giungevano telefonate di anonimi soccorritori: non solo gente qualunque, ma anche - e per lo più - giovani con tanto di laurea, e magari con la specializzazione, i quali da Milano, da Genova, da Torino, da Bologna, da Firenze e perfino da Bolzano, chiedevano: - Ma quest'Irpinia dov'è? E il Vùlture dove si trova? Dappertutto si scavava con le mani e venivano fuori mucchi di morti; dicevamo che era una catastrofe, che non si trattava di decine o di centinaia, ma di migliaia di vittime e che una parte di esse erano dovute ai ritardi dei soccorsi: e un esponente dell'Italia becera, di quell'Italia che vuol rimuovere ma non risolvere i problemi, ci definì "sabotatori". Abbiamo dato l'esatta dimensione della realtà; abbiamo fatto scendere a Sud ruspe, prefabbricati, medicinali, strumenti tecnologici per ospedali, foraggi per animali, viveri per i senzatetto; abbiamo fatto muovere gli elicotteri della Marina (i soli che potessero volare, insieme con quelli dei Carabinieri, con il tempo brutto) e quegli Hercules C-130 (che ci costarono un occhio per le "mazzette" prese da ignobili speculatori) per gli aiuti a decine di migliaia di terremotati; abbiamo dato voce, amplificandola nel mondo, al loro dolore e alla loro disperazione con un numero incalcolabile di interviste e di appelli trasmessi in diretta. Un servizio pubblico a servizio del pubblico (e non di uno o più partiti, né di un governo) è diventato uno strumento essenziale di informazione nel momento in cui l'"altra Italia" si chiedeva: - Ma da quale parte si trovano questi qui, Irpinia, Sannio, Cilento, Vùlture?
Non è Africa. E' Mezzogiorno. E' il vecchio paziente dignitoso terribile Sud. Quello che istituti pubblici hanno preso come oggetto, dopo l'apocalisse, di un'indagine "condotta con i mezzi disponibili" e che sarà perció "manchevole". Come dire: le zone interne di questo Sud, e in genere tutto il mondo agricolo e agro-pastorale che costituisce ancora larga parte del Mezzogiorno, "è una realtà sconosciuta". Trent'anni di politica meridionalistica e dieci anni di ordinamento regionale non hanno saputo produrre neanche studi approfonditi, che colmino in qualche modo le grandi lacune delle ricerche Istat e che siano più veritieri dei censimenti decennali, la cui attendibilità da sempre è messa in discussione.
Perché meravigliarsi, allora, se giovani (e meno giovani), presi da nobilissimi sentimenti di umanità, e subito mobilitati per portare aiuto a chi era stato colpito da una così grande sventura, prima di avventurarsi verso l'ignoto che è dietro l'angolo di casa, chiedevano dove fossero Avellino e Potenza, Lioni, Sant'Angelo dei Lombardi, Teora, Balvano, Ariano Irpino e Grottaminarda; e perché mai c'era qualcuno che citava Cristo che si sarebbe fermato in una qualche casa o fattoria di nome Eboli; e poi chi ce lo aveva mandato lì, Cristo, e che cosa ci era andato a fare, e quanto vi si era fermato, e che cosa mai aveva combinato da quelle parti?
C'è un'Italia da difendere, e c'è un'Italia che può essere perduta senza che se ne soffra un gran danno. Come spiegare ai generosi analfabeti con laurea, che facevano tutte quelle domande, che questo Sud è diventato quello che è solo dal giorno in cui Roma "Spezzò le reni" ai Sanniti, aprendo così alle sue barbare legioni le vie di Magna Grecia? Come far capire che i dati rilevanti di queste terre sono stati un'antica cultura e una solida civiltà; che nel Sud sono nati, in anticipo su tutti, il Comune e la Repubblica Marinara; che quando il Nord balbettava con Cesare Cantù qui si inventava, precorrendola, l'epoca moderna; che, ad esempio, quando nel '700 l'Italia nel complesso e il Centro-Nord avevano un terzo della popolazione attuale, nei comuni meridionali era già insediata una popolazione pari a quella di oggi, e che "la gente - come ha scritto Manlio Rossi Doria - ha qui vissuto per secoli, con la durezza e la modestia delle migliori società contadine d'Europa, accompagnate da un tenore di vita e da una dignità superiori a quelli allora esistenti altrove"?
E poi hanno scoperto la camorra, l'egocentrismo, l'accaparramento, e l'attaccamento alla famiglia, alla terra, alla mucca, al cumulo di macerie che prima erano state una casa. E hanno gridato allo scandalo: - I soliti meridionali! - è stato detto proprio così. I soliti terroni! Quelli che -guarda caso, proprio a Eboli - ho visto battersi al coltello per una pagnotta di pane. E gli incettatori, quelli che costringevano i conducenti di camion a scaricare la roba in certi magazzini, di proprietà di banditi locali e di boss d'alto bordo; i ladri e gli sciacalli; i profittatori d'ogni risma, ("Queste 'ose le 'onteremo quando torniamo lassù", diceva un toscano minacciosamente). Inopportuno, in un momento nel quale un'onda di antimeridionalismo ha fatto seguito a questa "scoperta forzata" del Sud, dire che scandali di ben altra portata nemmeno ci hanno sfiorati; che non abbiamo evaso tasse petrolifere per migliaia di miliardi; che non abbiamo sofisticato prodotti, anche alimentari, per aumentare vertiginosamente i profitti; che "partecipiamo" tanto alla vita familiare e collettiva da non aver consentito l'attecchimento del terrorismo. Allora, sulla testa dei morti e dei vivi, dicono che il Sud è abulia. Il Sud è mafia. Il Sud è ignoranza. Il Sud è un'altra lingua, anzi una babele di lingue. Il Sud è quello con la pelle un pò scura che - nelle città dell'"altra Italia" - si rischia di vedere abitare alla porta accanto. Il Sud è la Cassa per il Mezzogiorno, "che ci costa un occhio della testa".
Imperdonabile colpa: il Sud è.
E visto che c'è, e che il mare non lo ha ingoiato, noi questo Sud, con tutte le sue passioni, con tutte le sue contraddizioni, lo abbiamo portato e continueremo a portarlo dentro le case e dentro le coscienze. Perché lasci inquieti. Perché, se è possibile, faccia perdere il sonno. Perché renda problematici anche i pensieri (se ne hanno) di quelli con la pelle più chiara. Perché con la sua immagine sgretoli l'idea stessa di benessere che questo Paese si è artefatta, e scuota il quietismo degli idolatri dello status quo, e faccia emergere il sospetto che l'iceberg possa da un momento all'altro capovolgersi, finalmente mettendo a nudo quanto c'è, da secoli, sotto il pelo dell'acqua. Nel bene e nel male.

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