L'economia del Salento: motivi di riflessione




Paolo Maizza



Uno sguardo appena epidermico all'economia del nostro Paese ci fa cogliere un motivo che è qui, per noi, di interesse: anteriormente alla seconda guerra mondiale il carattere prevalente della nostra economia era agricolo. Questo carattere perdurò nel periodo post-bellico, nel quale si ebbe l'avvento della nota legge "stralcio", istituitiva degli enti per lo sviluppo dell'irrigazione e per la riforma fondiaria. In parallelo di tempo, si ebbe un'evoluzione industriale, pur essendo l'Italia non ricca di materie prime. Si attuò il principio di acquisire da altre fonti le materie prime necessarie allo sviluppo industriale e di utilizzare la manodopera che da noi non era carente. Con il notevole e crescente impiego della manodopera nell'incipiente settore industriale, si verificò un esodo di forze di lavoro dal settore agricolo, appunto, a quello industriale. Un tempo, in agricoltura era occupato il 50% circa delle nostre forze attive di lavoro; attualmente il "capitale umano" impiegato nel settore agricolo raggiunge appena il 17%.
Questo impoverimento del lavoro in agricoltura ha prodotto, nel tempo, effetti di differente specie. Il reddito dei soggetti rimasti nelle campagne si è elevato, soprattutto perché le produzioni agricole, malgrado quell'esodo, non si sono abbassate, ma anzi elevate.
Accanto a questo effetto positivo vanno, però, individuati altri effetti, tutti negativi. Le forze di lavoro rimaste in agricoltura, dopo l'esodo verso le attività industriali, sono forze composte da manodopera in prevalenza anziana e femminile. Le stesse forze occupate in agricoltura hanno conservato il loro naturale carattere di forze prive di sviluppo, di forze nel cui evolversi non si sono colti i segni di una progrediente "civiltà contadina". E ciò, per due ordini di motivi: per una "forma mentis" propria delle stesse forze operanti in agricoltura, piuttosto mal predisposte, ovvero scarsamente dotate di propensione verso motivi di ascesa sociale; in secondo luogo, a cagione della insensibilità dimostrata dai pubblici poteri, i quali hanno sempre sottovalutato il nodo sociale rappresentato dalla "civiltà contadina". Il mancato sviluppo o lo sviluppo molto tardo e stentato di quella che chiamiamo "civiltà contadina" ha determinato il fenomeno dell'impoverimento delle menti dedicate all'agricoltura. Altro elemento negativo dell'agricoltura nazionale, determinatosi nel tempo come gap nei confronti dell'attività industriale, è rappresentato dall'insufficienza delle strutture produttive: ancora oggi, tante e tante zone di lavoro agricolo sono scarsamente dotate o addirittura prive di adeguati fabbricati, di fonti di irrigazione, di energia elettrica e di servizi di comunicazione. Questi e forse altri ancora sono i mali di quella "grande malata" che è la nostra agricoltura, mali che di già sono indicatori dei mali che affliggono l'agricoltura del Salento.
Sono convinto che l'agricoltura è, e resta, la struttura portante dell'economia salentina. Altri poli di attività indubbiamente sono individuabili nell'economia del Salento, ma, a mio avviso, essi identificano attività che, per importanza, vanno collocate dopo quella agricola. Ai settori operativi che, con quello agricolo, compongono il tessuto economico del Salento cercherò di fare adeguato accenno, non prima però di aver svolto il tema dell'agricoltura salentina, che, ripeto, è dominante nei discorsi che si vogliono fare sull'economia del Salento. Questo affermo, convinto come sono che ogni fetta della terra che l'uomo occupa ha una sua propria "vocazione economica" alla quale essa non può rinunciare. Aggiungo che anche le quantificazioni delle produzioni agricole salentine stanno a testimoniare che l'agricoltura è il supporto naturale o la fonte primigenia di benessere delle genti del profondo Sud del nostro Paese (secondo i dati ISTAT del 1976, le produzioni delle uve, delle olive e del tabacco delle provincie di Lecce, Brindisi e Taranto rappresentano rispettivamente il 7,06%, il 22,7% ed il 21, elle corrispondenti produzioni nazionali). Mi piace ancora ricordare, per meglio motivare l'importanza principale che annetto all'agricoltura, eh e quando si parla di economia salentina, i beni prodotti e offerti dal Salento alla collettività sono beni ottenuti, appunto, dalla terra e sono beni irrinunciabili per l'uomo.
Ai fini di una sorta di "diagnosi" di questo corpo malato che è l'agricoltura salentina, mi giova l'idea di individuare dapprima quelli che posso definire i suoi "mali strutturali", per poi ricercare gli altri definibili "mali funzionali". A questo tentativo diagnostico dei mali che affliggono l'agricoltura del Salento, tenterò di far seguire una "terapia", che valga a segnalare i tentativi di rimedio o di risanamento. Un primo male di struttura dell'economia agricola del Salento può essere ricercato nella fertilità dei nostri terreni, perché essa è, nel complesso, di grado inferiore rispetto alla fertilità di altre aree d'Italia e d'Europa. Un secondo aspetto struttura] e negativo della nostra agricoltura è nell'assenza di idrografia superficiale. L'acqua pare sia destinata ad essere il problema di fondo della nostra terra. Mi vien fatto di ricordare la storica espressione usata, or è più di mezzo secolo, da un senatore del regno d'Italia, il quale, in un discorso ai colleghi del Senato, esordì con questa frase, tuttora ricordata ed ancora, purtroppo, piena di reale contenuto: "Colleghi, vengo dalla Puglia arida e sitibonda, datemi un bicchiere d'acqua!". Noi salentini non disponiamo di corsi d'acqua, non abbiamo laghi, né fiumi; abbiamo, per giunta, come naturale contrappunto, un clima che richiede in larga misura acqua, fattore determinante proprio delle nostre produzioni. Un terzo elemento strutturale negativo dell'agricoltura salentina è rappresentato dall'impossibilità di praticare colture alternative a quelle tradizionali. Le nostre sono produzioni di tipo mediterraneo: vite, olivo, tabacco e produzioni orticole e frutticole in genere. Altra causa di debolezza dell'apparato agricolo del Salento, derivata principalmente dai suoi stessi mali strutturali, risiede nel livello dei costi di produzione.
Qui sono portato a fare una considerazione di ordine, per così dire, filosofico: in un certo senso, le condizioni che sono presenti nell'uomo si traducono, sia pure in potenza, in effetti economici. Mi spiego: le nostre stesse condizioni di salute sono, ad esempio, un fattore principale del grado di produttività economica di ciascuno di noi. E così la realtà salentina, sofferente di alcuni mali congeniti, sconta questi suoi mali, appunto, con un basso livello di produttività economica, livello che noi - sul piano produttivistico - possiamo cogliere in termini di elevati costi di produzione. Il costo in agricoltura vuole un discorso tutto suo, che qui io non posso punto fare. Farò solo un adeguato accenno, in seguito. Mi preme rilevare che, proprio a cagione degli elevati livelli dei costi di produzione, i nostri prodotti agricoli non reggono all'urto che essi ricevono sul mercato dai prodotti di altre zone e di altri Paesi concorrenziali. Noi salentini produciamo beni che sono prodotti da altri Paesi mediterranei, con i quali ci poniamo in un conflitto nel quale, purtroppo, non riusciamo a raggi ungere un minimo livello di competitività, a cagione dei mali strutturali e funzionali da cui è afflitta la nostra agricoltura. Debbo aggiungere che i Paesi del bacino del Mediterraneo, che faranno parte della CEE, producono gli stessi nostri prodotti, ma a costi più bassi, principalmente perché hanno livelli salariali non abnormi come i nostri. Teniamo conto che anche in Grecia, in Turchia, in Spagna, in Algeria, in Marocco, in Israele, e in altri Paesi del bacino del Mediterraneo sussistono quelle difficoltà naturali o di struttura presenti nel Salento: non elevata fertilità dei terreni, carenza di acqua. Però i prodotti di questi Paesi superano sui mercati internazionali i prodotti salentini, perché offerti a prezzi più convenienti per il consumatore: il costo di produzione in agricoltura di quei Paesi non presenta l'iperbole del nostro costo di produzione.
Altro elemento negativo di struttura è la frammentazione o polverizzazione della proprietà fondiaria del Salento. Ricordiamo, in proposito, un principio economico di ordine generale aderente a questo aspetto negativo della realtà agricola salentina: a mano a mano che cresce la dimensione dell'appezzamento o del terreno coltivabile, diminuisce proporzionalmente il livello del suo costo generale di produzione. Gli stessi benefici o vantaggi economici della meccanizzazione in agricoltura, tanto per fare una esemplificazione, sono maggiori sulle grandi superfici che non sulle piccole. Ancora una causa o un male strutturale e, ad un tempo, funzionale dell'agricoltura salentina ritengo possa essere ricercato negli ormai vieti rapporti intercorrenti tra proprietario e colono, rapporti che hanno nociuto alla ristrutturazione delle aziende agrarie, infrenando il loro sviluppo e l'evoluzione economica generale dei nostri campi. Vero è che, anche nelle campagne del Salento, si assiste ad una dimostrazione di sensibilità economica, soprattutto attraverso l'adesione all'istituto societario cooperativistico. Vero è che anche nei nostri rurali nasce e cresce l'istinto delle "combinazioni"; vero è che la gente dei nostri campi avverte sempre più la necessità di organizzare, in modo non più arcaico, determinate attività produttive, dando così vita a entità economiche, a strutture cooperativistiche di raccolta e di trasformazione dei beni della terra. Non è, però, men vero che siamo ancora in una prima fase. Dobbiamo cioè riconoscere che il fenomeno cooperativistico ha avuto un tardo attecchimento, a cagione soprattutto di quella causa di carattere psicologico, qual è lo spirito "individualista", tanto diffuso nelle nostre campagne, che è costante e notevole ostacolo alla formazione di strutture societarie in agricoltura. Un ultimo elemento funzionale negativo dell'agricoltura salentina (e non soltanto della nostra) risiede nella difficoltà di accesso al credito agrario. Nonostante le facilitazioni e incentivazioni promosse dai pubblici poteri a favore di chi opera nell'area delle attività agricole, il produttore agricolo incontra ancora non poche e non lievi difficoltà nell'accedere all'aiuto finanziario offerto dal sistema bancario. La banca, per altro, preferisce concedere linee di credito al commerciante o all'industriale, soprattutto perché con queste categorie di utenti essa lavora per notevoli volumi e con tempi brevi e, comunque, con tempi meno lunghi di quelli richiesti dalle erogazioni creditizie concesse in favore del produttore agricolo.
Questi, dunque, i mali o le disfunzioni o i punti deboli salienti che sono emersi da una rapida analisi diagnostica dell'agricoltura salentina. Nel tentativo di formulare una certa "terapia", rispetterò l'ordine in cui gli stessi mali sono stati esposti prima.
Il primo punto debole della agricoltura salentina è stato identificato nella bassa fertilità dei nostri terreni. E' possibile ed è necessario elevare il grado di fertilità con l'impiego appropriato di concimi chimici e fertilizzanti in genere, impiego che, però, implica il discorso economico dei correlativi costi, al quale accennerò.
L'annoso e sempre grave problema dell'acqua nei nostri campi può, in parte, essere risolto in un primo momento, attraverso operazioni di trivellamento con costi di estrazione tollerabili. Nella provincia di Lecce è stato operato un censimento dei pozzi, con il quale è stato possibile accertare, conattendibilità però relativa, l'esistenza di un migliaio di pozzi (tra autorizzati e abusivi). Il motivo di preoccupazione che, da un certo tempo, si sta avvertendo riflette la trivellazione abusiva e irrazionale. Se l'uso, anzi l'abuso dei pozzi non sarà regolamentato, il Salento rischia di veder compromesso l'equilibrio acqua dolce-acqua salata, rischia cioè di disperdere quel patrimonio che è l'acqua del sottosuolo. E' necessario un più accurato censimento e studio di tutti i pozzi esistenti, ai fini dello studio della tutela della migliore difesa delle falde. Va incrementata la trivellazione dei pozzi ritenuti idonei, mentre debbono essere chiusi i pozzi che presentano fenomeni di salinità irreversibile. Occorre, insomma, razionalizzare l'uso delle nostre invero povere risorse idrografiche e scongiurare quello che può definirsi "mercato nero" dell'acqua. A questo scopo, è pure necessario disporre di tecnici specializzati nell'uso irriguo, capaci di offrire agli imprenditori agricoli una adeguata informazione sull'uso dell'acqua e sulla sua più economica estrazione. Qui si innesta il discorso delle acque del Sinni, e molti sanno che il Consorzio di Bonifica Ugento-Li Foggi svolge, nel meridione del Salento, un'attività di sfruttamento di acque sotterranee nella visione dell'apporto futuro delle acque, appunto del Sinni. Quali sono le speranze, per noi salentini, di essere dissetati dalle acque del Sinni? Diciamo subito che il corso del fiume Sinni non è stato ancora di fatto deviato verso la regione pugliese, riarsa e sitibonda. Attualmente, è in costruzione il tratto della condotta idrica che va dalla diga del Sinni a Ginosa. Questo tratto dovrebbe, quindi, proseguire fino a Grottaglie, essendo stato già stanziato il necessario finanziamento.
A questo punto si innestano le speranze dei salentini, perché si spera che il tronco di adduzione delle acque del Sinni, una volta giunto fino a Grottaglie potrà poi biforcarsi e raggiungere finalmente le provincie di Brindisi e di Lecce. Siamo, dunque, un pò lontani purtroppo dalla possibilità di spegnere la nostra storica sete presso una fontana del Sinni! E pensare che non si tratta di impresa molto ardua! Non è questione di disponibilità di mezzi finanziari, perché oltre tutto, in Italia questioni di tal genere, purtroppo per noi, debbo dire, non se ne fanno, ovvero si fanno magari proprio là dove sussistono oggettivi e imprenscindibili stati di grave bisogno, come è, appunto, per la situazione idrografica del Salento. E' solo questione di una volontà politica, che dovrebbe preoccuparsi di una realtà, anzi di uno stato di assoluto bisogno: l'acqua è necessaria non solo alle nostre campagne, alla nostra "civiltà contadina", ma alla stessa "civiltà cittadina" del Salento! Il problema dell'acqua è, per noi salentini, un grosso e grave problema, forse il principale per le sorti della nostra agricoltura. Due allora le necessità oggettive che si impongono: il razionale ed oculato sfruttamento del patrimonio idrico esistente; la realizzazione di fonti incrementative di questo nostro povero patrimonio idrico.
L'impossibilità, poi, di praticare colture alternative nei nostri campi postula la necessità di porre in atto il sistema delle produzioni diversificate e rotative, la cui validità, però, è sempre da verificare in termini di costo, cioè in senso economico.
A questo punto, debbo accennare al problema dei costi, croce e tormento dei nostri agricoltori. Il costo di produzione in agricoltura ha, come gli omonimi costi di altri settori operativi, diverse componenti. Le principali sono: il costo salariale, il costo dell'acqua, il costo dei fertilizzanti e affini, il costo delle macchine agricole.
Quanto ai livelli salariali, debbo anzitutto ricordare che essi sono notevolmente superiori rispetto ai livelli salariali dei Paesi del bacino del Mediterraneo che producono gli stessi prodotti che offre il Salento. Si tratta di un problema di dimensione nazionale, talché un abbassamento dei livelli salariali è da ricercare in quella sede verticistica in cui dovrebbero essere risolti i tanti nodi dell'economia del nostro Paese. Il problema del costo del lavoro ha vaste implicazioni sociali e politiche, ha diretta connessione con i cicli economici e con le volontà politiche; è problema che richiama quella sensibilità socio-economica che le forze sindacali dovrebbero possedere. E', dunque, problema, questo del lavoro, che postula soluzioni di lungo termine, basate principalmente sulla volontà e sul senso di responsabilità dell'intero popolo italiano.
Per combattere la naturale carenza di acqua, il nostro agricoltore deve operare trivellamenti di pozzi, che comportano elevati costi. Per rendere economico il costo dell'estrazione dell'acqua, occorrono, peraltro, l'applicazione di tariffe elettriche acconciamente differenziate e sufficienti prelievi di carburante a prezzo agevolato. Non dimentichiamo che anche l'acqua ha un suo costo, per giunta spesso elevato, dovendo attingerla anche da notevoli profondità, per le quali si determina soprattutto un elevato consumo di energia elettrica, consumo che costituisce mediamente circa la metà del costo dell'acqua.
Un accenno al costo dei fertilizzanti e delle macchine agricole. La bassa fertilità dei nostri terreni richiede l'impiego assiduo di dosi massime di concimi chimici, fertilizzanti, etc., acquisibili con notevoli sforzi economici. Aggiungo che l'introduzione di tecnologie avanzate, la progrediente meccanizzazione dei mezzi di conduzione dei terreni si scontrano con il vertiginoso aumento del costo generale di conduzione. Il fatto che qui, nel Salento, tutto arrivi dal nord è motivo, per noi, di riflessione sulla nostra condizione di colonialità nei confronti del Settentrione, la quale si traduce, pur sempre, in un inasprimento dei costi delle nostre produzioni.
Se è vero, come è vero, che i costi dei fertilizzanti e delle macchine agricole hanno peso notevole sulla determinazione del costo generale della produzione agricola, è pur vero che occorre una politica di piano globale del settore agricolo che valga a contenere i costi in argomento. Si tratta, però, anche qui, di problemi che investono punti nodali dell'economia nazionale e, pertanto, postulano soluzioni che vanno ricercate in sedi non limitate o ristrette, bensì nazionali. Qui debbo chiarire il mio pensiero. Quando parliamo di "mali strutturali", cioè di mali dati a noi dalla natura, nel nostro caso di insufficienza di acqua e di bassa fertilità dei terreni, invochiamo implicitamente un principio di socialità o di equità sociale, il quale afferma che - in un contesto socio-economico - le economie di elevato livello debbono, attraverso flussi e deflussi di ricchezza regolamentati da quel supremo reggitore ed equilibratore che è lo Stato, concorrere a sostenere le economie povere. E' questo, un principio di solidarismo sociale che, però, resta sterile, nel "libro dei sogni" dei popoli!
La frammentazione della proprietà fondiaria, altro carattere negativo strutturale del Salento, presente invero in altri paesi, è suscettibile di correzione attraverso norme di legge acconcie che valgano, oltretutto, ad evitare un aggravamento dello stato attuale.
Anche i rapporti intercorrenti tra proprietario e coltivatore della terra, rapporti che riecheggiano il regno della monocoltura e del latifondo di un tempo remoto, sono da correggere con normativa appropriata, con soluzioni in tutto aderenti alle condizioni reali nostre, scevre da comportamenti demagogici e da esercitazioni dialettiche.
Dell'accesso al credito bancario da parte dell'imprenditore agricolo si è tanto parlato in molte e qualificate sedi. Desidero rilevare solo due necessità, oltre ovviamente a quella, imprescindibile, del basso costo del denaro: la prima è che l'erogazione del credito all'agricoltura abbia maggiore ampiezza, sia molto più diffusa; la seconda necessità è che le stesse operazioni creditizie in favore dei rurali abbiano quello snellimento che è richiesto dalle occorrenze di conduzione della terra.
Un discorso a parte, ma sempre doverosamente molto conciso, debbo fare nei riguardi delle strutture aziendali che operano nel campo dell'agricoltura salentina. Esistono nel Salento strutture, soprattutto cooperativistiche, talora anche di dimensioni ragguardevoli. Sono, però quasi tutte entità economiche di "prima fase" nella scala generale dell'attività economica. Abbiamo bisogno di organismi associativi di secondo grado, capaci anzitutto di eliminare quel conflitto che spesso si determina tra gli stessi organismi cooperativi di primo grado; abbiamo bisogno di organismi societari, con specifica fisionomia, che possano realizzare la fase della commercializzazione dei prodotti. Mi riferisco a strutture aziendali diverse da quelle che da noi operano nel campo della trasformazione dei prodotti, a strutture di grado superiore rispetto alla cooperativa di base, che raccolgano la produzione delle singole cooperative di trasformazione, completino l'intero ciclo lavorativo e operino il marketing con segmenti di mercato propri e con i necessari collegamenti con centri di consumo del nostro Paese e dell'estero. E la creazione di centrali o di unità aziendali, concepite e organizzate per la fase della commercializzazione, va estesa anche al settore dei prodotti ortofrutticoli ed a quello del tabacco. Una evoluzione economica non esige un folto numero di piccole aziende, ma un numero piuttosto contenuto di aziende di media e grossa dimensione, così come è richiesto dal principio della economicità delle gestioni. La crescita di attività economiche, in genere, è inconcepibile senza una adeguata efficienza di mercato, che le produzioni agricole salentine ancora non hanno. E' il mercato di vendita che determina il valore economico delle produzioni. Produzioni qualitativamente buone o ottime, ma non sostenute da una adeguata azione di vendita - proprio come purtroppo accade per le produzioni salentine - sono destinate allo svilimento. Ma, si badi, quando si ,parla di organismi associativi di concentrazione occorre pensare anzitutto a quelli eventualmente già esistenti in zona; occorre, poi, per crearne degli altri, stabilire se sussistono le necessarie premesse o condizioni di base, onde evitare che la struttura di grado superiore si riveli, nel tempo, solo una diseconomica sovrastruttura di nocumento per gli stessi organismi associati. In economia, gli errori, presto o tardi, si scontano!
E' pure necessario, restando sempre nella visione dello sviluppo cooperativistico, che le nostre aziende siano, oltre che razionalmente concepite e realizzate, rette da forze personali qualificate. Occorre che alla responsabilità del governo delle cooperative agricole siano chiamati individui competenti e capaci e non operatori economici improvvisati. Anche le imprese cooperative hanno una loro problematica di gestione, non facile! La cooperazione agricola salentina deve tendere ad assicurare alla nostra agricoltura una "posizione di mercato" che faccia realizzare la sopravvivenza, oggi, e lo sviluppo, domani, delle nostre aziende, attraverso il conseguimento di un reddito che valga a dar fiducia all'agricoltore a proseguire per la strada indicata dalla naturale vocazione della nostra terra.
Un apporto, infine, alle soluzione dei problemi che assillano le menti dei nostri agricoltori ritengo possa essere dato dagli organismi tecnici già esistenti, attraverso una loro assistenza appropriata e sistematica in favore dei rurali, ai quali l'esperto, lo specialista può far apprendere nuove tecniche colturali, l'introduzione di nuove varietà, più progrediti metodi di lotta antiparassitaria. Debbo ricordare, a questo punto, la scarsa informazione dei nostri produttori agricoli: talora essi dimostrano di sapere produrre solo dati prodotti e di ignorare del tutto le tecniche successive alla fase della produzione, di non conoscere modalità di conduzione della terra più progredite rispetto a quelle tradizionali. Gli stessi nostri agricoltori quasi sempre non hanno conoscenza dei meccanismi del mercato. E', anche questo, un aspetto del ritardo storico che tuttora ci divide dai Paesi agricoli più moderni del nord Europa.
Nella oscurità che avvolge la nostra economia, ci sforziamo di scorgere qualche barlume. Presso la CEE una certa attenzione è rivolta allo sviluppo delle realtà regionali più deboli. Il Fondo Regionale degli Investimenti, istituito nel 1975, e l'attuazione di progetti integrati che coordinino l'intervento comunitario dovrebbero tracciare e realizzare una politica comunitaria nel settore agricolo che sia di sostegno all'agricoltura del nostro meridione. Gli interventi finanziari della CEE non debbono, però, essere l'espressione di una sterile logica assistenzialistica; questi interventi debbono consentire alla Puglia la creazione di infrastrutture agricole e di strutture di trasformazione e di commercializzazione, nel quadro di una promozione economica che, sostenuta dagli Stati membri della Comunità economicamente più forti, dovrebbe realizzare politiche di sviluppo a favore, appunto, degli altri Paesi più arretrati.
Desidero chiudere il discorso dell'economia agricola salentina con un fugace accenno ad un grave problema, quello della crisi del vino!
Non dirò del nuovo, solo il pensiero scaturito da qualche riflessione sui possibili rimedi. Le misure da adottare, nel caso, ritengo siano anzitutto da distinguere in misure a medio e lungo termine e misure contingenti, ovvero anche interventi immediati.
Le prime, le misure a medio e lungo termine, consistono:
- in un miglioramento delle tecniche di produzione delle uve, in parte già in atto (con sesti di impianto, sistemi di allevamento, concimazioni particolari, etc.);
- in un miglioramento varietale, con scelta e introduzione di nuove varietà di uve da vino;
- in un miglioramento tecnologico della trasformazione delle uve;
- nella attuazione di tutte quelle fasi di lavorazione che sono necessarie per ottenere un prodotto di qualità che, dopo essere affinato, stabilizzato e imbottigliato, sia idoneo alla conservazione.
Debbo ricordare, in merito a quest'ultima misura, che noi salentini produciamo materia prima che ci consente la produzione di vini tipici e, quindi, la vendita del prodotto in bottiglia. Ma per poter portare sul mercato il prodotto in bottiglia, non è sufficiente la struttura cooperativistica di primo grado; è necessaria quella struttura di grado superiore, capace di raccogliere le produzioni realizzate dalle singole cantine, di affinarle e invecchiarle, in parte; una struttura capace, non di meno, di conquistare, con propri segmenti di distribuzione, una adeguata "posizione" o "forza di mercato", ai fini della conseguente commercializzazione. Non basta produrre il vino, occorre produrlo bene e soprattutto saperlo vendere bene! Non dimentichiamo una norma di economia: è il mercato la sede nella quale l'operatore economico trova i motivi del proprio successo; è il mercato la sede in cui egli sconta i propri errori. E la crisi del nostro vino è, appunto, crisi di mercato, crisi di vendita.
Le misure contingenti, ovvero gli interventi immediati possibili per tentare di porre rimedio alla crisi del vino in atto sono:
- lo stoccaggio (o contingentamento), il quale rappresenta, però, una soluzione appena relativa, perché con tale provvedimento, in sostanza, si differisce il tempo di vendita del prodotto, sicché la saturazione del mercato resta;
- la distillazione del vino, che è provvedimento più efficace dello stoccaggio, in quanto con esso si sottraggono direttamente al mercato stocks, anche notevoli, di prodotto che rischiano di restare invenduti.
Un accenno sempre fugace, infine, ho il dovere di fare a quella "cancrena" della nostra economia vitivinicola che è la sofisticazione.
Quali i rimedi? Un intervento ben più deciso, in sede di prevenzione e di repressione, dei pubblici poteri, con provvedimenti intensificati, tempestivi e soprattutto esemplarmente rigorosi. Occorre, poi, riflettere sulla possibilità dell'imprenditore di concorrere alla lotta contro la sofisticazione e pensare, per tale fine, alla bottiglia del vino. Mi spiego: il vino sofisticato è destinato al consumo immediato, non può essere conservato, nè tantomeno invecchiato, sicché i vini salentini genuini possono concorrere a debellare gli effetti malefici della sofisticazione nella misura in cui essi sono venduti in bottiglia, meglio in forme commerciali acconce alla conservazione.
Una considerazione, sempre fugace, sulla pratica dello "zuccheraggio". lo ritengo che questa pratica, al pari di quanto accade nella vicina Francia, potrebbe forse essere accolta e riconosciuta ufficialmente legittima anche da noi, molto cautamente, in quanto può presentare taluni aspetti positivi. Occorre, però, stabilire subito due condizioni irrinunciabili, senza le quali lo zuccheraggio non dovrebbe essere consentito: la prima, è che esso consista nell'impiego nel vino (autentico) di materia altrettanto autentica e genuina; la seconda condizione è che lo zuccheraggio sia disciplinato da apposita normativa, ben concepita e ben attuata sul piano della operatività. La pratica dello zuccheraggio apparirebbe utile perché: potrebbe, in talune annate, risolvere crisi di qualità del vino, rendendo vendibile economicamente un prodotto che, altrimenti, potrebbe essere venduto a "prezzi stracciati", magari proprio ai sofisticatori, abbisognevoli di un certo lievito per la loro illecita attività; potrebbe far destinare all'imbottigliamento un prodotto, non imbottigliabile senza la correzione zuccherina. Con l'una e con l'altra via, la pratica dello "zuccheraggio" concorrerebbe, indirettamente alla lotta contro la sofisticazione.
Mi siano consentite, delle riserve e non poche perplessità sul buon esito della ipotetica legge dello "zuccheraggio". E questo per due motivi: in primo luogo, per le esperienze che facciamo, anche a nostre spese, nei riguardi delle leggi che vigono nel nostro Paese; poi, perché, in effetti, se più o meno facile può apparire la formulazione di una legge" come quella dello zuccheraggio, certamente molto difficoltosa e rischiosa si preannuncia la sua applicazione: intendo dire l'accertamento, da parte della autorità competente, della rigorosa osservanza della legge di cui parlo.
Nelle note introduttive ho accennato ad aspetti dell'economia salentina, diversi dall'agricoltura. Gli altri aspetti sono rappresentati precisamente dal turismo, dall'industria e dal l'artigianato.
Molto si dice e si scrive sul turismo nel Salento. Ritengo che quando si parla di turismo, in genere, si sia portati, per un effetto connaturale di questo discorso, ad una certa euforia o enfasi e va subito detto che l'euforia o l'enfasi non troveranno mai spazio nelle valutazioni di ordine economico. L'attività turistica è anch'essa un'attività economica produttiva, e, come tale, non si sottrae ai principi e alle norme generali che regolano ogni attività economica produttiva. Fare del turismo, cioè esercitare una attività turistica, significa realizzare strutture, oggi necessariamente di buon livello, per poter essere al passo con altre zone turistiche. E realizzare strutture turistiche di buon livello significa investire capitali di proporzioni non modeste. Orbene, anche i capitali investiti nell'attività turistica soggiacciono al principio economico del profitto che resta, ovunque e in ogni caso, principio irrinunciabile per chi voglia realizzare investimenti secondo i canoni della razionalità economica. Insomma, anche per l'attività turistica, vige il principio dell'equilibrio tra costi e ricavi, equilibrio che presuppone la copertura di tutti i costi, in essi compresi gli ammortamenti dei capitali investiti, e il conseguimento di un reddito, sia pure appena sufficiente, ma stabile.
La risposta alla domanda se gli investimenti realizzati nella attività turistica del Salento abbiano fatto conseguire il profitto, è purtroppo negativa. Quale la spiegazione di questa negatività reddituale o economica del turismo salentino? Per molti, o per quasi tutti gli osservatori delle nostre cose, la spiegazione va ricercata negli abnormi livelli dei prezzi praticati dai nostri alberghi e ristoranti, nella carenza di personale turistico qualificato, nella incuria spesso osservabile dei nostri lidi, nella assenza o quasi di adeguate azioni di propaganda e di diffusione. Personalmente sono convinto che la macchina del turismo del Salento non funziona a quattro cilindri, cioè perde colpi, perché i capitali investiti non conseguono la necessaria economicità. L'attività turistica salentina non va a pieno regime. E la causa di questa mancanza di economicità risiede, a sua volta, nella scarsa o insufficiente utilizzazione degli impianti turistici realizzati. L'attività turistica, molto spesso, e la nostra in modo del tutto particolare, presenta un naturale carattere di stagionalità. Questo aspetto, marcatamente negativo, della realtà turistica salentina, costringe i nostri imprenditori a tentare di conseguire un minimo di economicità in un periodo di tempo molto ristretto nell'arco dell'anno. E tuttavia si ha motivo di ritenere che questo tentativo dei nostri imprenditori turistici non dia i risultati sperati. Si spiega l'insuccesso di questo tentativo, quando si pensi che la piena utilizzazione economica dei nostri impianti turistici, in tutto l'arco dell'anno, si restringe ad appena 60-70 giorni. Ci si chiede, allora: come è possibile colmare il vuoto economico degli altri 9-10 mesi di inattività, o quanto meno di attività a regime molto basso?
Il turismo salentino deve ubbidire ad un assunto: non è necessario far grande, è necessario far bene! Occorre realizzare iniziative che tengano conto delle condizioni oggettive ora considerate; occorrono strutture adeguate alle reali possibilità di utilizzazione economica che abbiamo nel Salento, sicché dimensioni di gestioni non rilevanti ma economiche, sono possibili e potrebbero forse essere destinate ad un graduale sviluppo nel futuro. Certo, ci si rende conto che, nel campo del turismo. occorre realizzare strutture di buon livello e investire, quindi, proporzionali capitali. Si tratta, allora, di tentare di realizzare una linea di logico contemperamento tra l'esigenza del turismo di disporre di buone strutture e l'irrinunciabile necessità di contenere avvedutamente i rischi di investimento, di graduare nel tempo le realizzazioni o l'impiego dei capitali, in base al comportamento dell'indice di redditività degli investimenti già realizzati. In economia si consiglia, peraltro, di passare dalla piccola alla grande dimensione, giammai dalla grande alla piccola!
L'attività industriale nel Salento, dobbiamo ammetterlo, non parte col piede giusto, per più motivi: per la mancanza di materie prime che, quasi sempre, debbono essere attinte a fonti molto lontane; per la insufficienza di acqua; per la carenza di manodopera specializzata; per uno spirito d'intrapresa che denuncia tuttora un certo ritardo storico rispetto alla classe imprenditoriale di altre zone del nostro Paese. Questi elementi di negatività, che infrenano il così chiamato "decollo industriale", non sono né pochi né lievi. Se, però, questi fattori negativi non consentono di guardare con fiducia alla grande industria, possono tuttavia essere in parte superati, così da consentire la realizzazione anche nel Salento, di un assetto industriale, sia pure di non ardite dimensioni. Non nego la possibilità, sempre in termini economici, di un attecchimento di iniziative industriali, però di non grandi dimensioni. Veggo molte ombre sui progetti industriali troppo audaci, e mi dichiaro contro il principio del "mito della industrializzazione" ad ogni costo! I miti non troveranno mai spazio in economia.
L'ultimo aspetto della economia salentina è rappresentato dall'artigianato. Questo ramo dell'attività economica ha sempre avuto, nel nostro Salento, un buon attecchimento e un considerevole prestigio. Ciò è dovuto al fatto che nel Salento - a parte l'attività agricola di vocazione naturale - sono state assenti altre attività economiche, e l'artigianato salentino ha dimostrato di possedere apprezzabili doti d'ingegno e di inventiva. Un impulso forse notevole ritengo possa esser dato all'artigianato dall'associazionismo, precisamente dallo strumento societario, in virtù del quale è possibile raccogliere e comporre in un'unica forza economica le varie energie umane diffuse sulla nostra terra. La concentrazione di singole forze, oggi sparse, in organismi societari ben concepiti e retti, può far sfruttare "segmenti di mercato" ancora sconosciuti, può far acquisire nuove e più valide "posizioni di mercato" da cui possono derivare effetti di sviluppo, di crescita e di ulteriore prestigio per la forza creativa contenuta nelle mani del nostro artigiano.
Per un motivo di compiutezza di pensiero, mi vien da rilevare infine che nel quadro economico del Salento è pure presente l'attività mercantile, "stricto sensu", la quale può allogarsi nelle attività terziarie del mosaico economico della nostra terra. A questa attività di pura commercializzazione non ho annesso rilevanza specifica, perché essa è, in effetti secondaria rispetto alle attività economiche prima considerate, e perché è, quanto meno in gran misura, una "derivata" delle attività principali che compongono il tessuto economico del Salento. Sicché, le considerazioni, valutazioni ed osservazioni su esposte possono far svolgere un discorso implicito, conseguenziale o deduttivo del commercio salentino.

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