Ignoranti, attenti alla memoria




Brizio Montinaro



In genere i dizionari della lingua italiana individuano l'ignorante in colui che non ha istruzione e portano come sinonimo il termine incolto, cioè privo di cultura. L'ignorante è quindi chi non ha cultura.
Ma esiste realmente una persona senza cultura?
Squadroni di antropologi, per un intero secolo, in cataste di volumi hanno descritto civiltà, hanno analizzato e catalogato culture diverse, hanno formulato definizioni del termine cultura ma ancora, purtroppo, non si è giunti a livello di massa neanche a distinguere le sue due importanti accezioni, non dico ad adottare l'unica esatta.
Nessuna persona quindi - tanto per rispondere subito e perentoriamente alla domanda posta e mettere tranquilli gli animi - se si tiene conto di quanto dicono gli antropologi (e bisogna tenerne conto), può esistere senza cultura dal momento che per vivere, entrare in relazione con gli altri comunque si ha bisogno si tutto uno schema di relazioni, di modelli, di maniere di rapportarsi al prossimo e di porsi avanti ai momenti critici dell'esistenza (la nascita, la morte, lo scorrere delle stagioni per esempio) che sono appunto cultura. Soltanto devo ricordare, tanto per rimettere in agitazione gli animi, che quasi sempre il termine cultura però è stato assunto come si trattasse esclusivamente della cultura intellettuale e non anche, per esempio, di quella popolare, e che la prima, essendo stata delimitata secondo precisi parametri rilevati dalla cultura elaborata dalle classi dominanti, è l'unica cultura valutata in borsa.
Nessuna persona è senza cultura; ma, storicamente, esistono gli ignoranti che risultano essere, in primo luogo, gli appartenenti alle cosiddette classi subalterne, sui quali è stato proiettata da parte della cultura dominante la propria insufficienza, la propria incapacità di comprendere e riconoscere una reale umanità. Essi sono stati posti - quasi sempre dai loro diretti datori di lavoro e spesso con maniere molto affettuose - seguendo uno schema a gradinata, ai margini, per cui spesso sono stati considerati rappresentanti di una vera e propria sub-umanità.
I vari compilatori dei dizionari di cui sopra, per decenni e decenni, forse per secoli, questa enorme massa di gente pulsante e viva con sistemi culturali diversi che loro negavano e disprezzavano o ignoravano - tutti lavoratori senza lettere, ma con tanta fame - hanno trattato oltre che da incolti e da ignoranti, come dicevamo, anche, per sinonimìa, da ineducati, incapaci, inetti, beoti, idioti e bestie tra tutte le quali prediligendo il somaro. La stessa cultura degli oppressi, con il tempo, ha percepito la totale ingiustizia dell'etichetta ignorante appioppata dai colti e il racconto popolare che di seguito trascrivo può ben dare il senso di questa autopercezione di una ingiustizia subita.

Un giorno un professore di matematica di Lecce, ad Otranto per la villeggiatura, volle noleggiare una barca per fare una bella passeggiata. Una volta in alto mare, con fare superbo ed arrogante, si rivolse al marinaio che era impegnato a remare egli domandò se conosceva la matematica. Il marinaio, che non aveva avuto la possibilità di frequentare le scuole per aver dovuto frequentare il mare, rispose:
- No, signore. Niente so - e tacque.
Il professore, scandalizzato dall'ignoranza del marinaio, disse: - Oh infelice te! Hai perso mezza vita.
Il cielo dopo un po' cominciò ad oscurarsi per delle brutte nuvole veloci e basse e il mare ad agitarsi incredibilmente.
Il marinaio, smesso per un momento di remare e data un'occhiata alla costa che non era molto lontana, ad un tratto chiese:
- Professore, voi sapete nuotare?
Il professore che aveva avuto poco tempo per imparare a nuotare, tutto preso dai libri che riteneva più importanti della vita vissuta, rispose:
- Certamente no!
E il marinaio:
- Allora voi, professore, la vita l'avete persa tutta.

Da questo breve racconto popolare risulta chiaro come la vera ignoranza altro non sia che il segno della presunzione dei dotti, dei potenti, di coloro che hanno ritenuto di eliminare dal piano dell'umanità delle categorie e delle classi perché meglio si potesse esercitare su di esse il dominio e l'oppressione. Il professore, infatti, tutto preso da un circuito di vita intellettuale, si sente un essere superiore grazie al fatto che lui appartiene alla cerchia di chi determina le regole del gioco, di chi ha un certo potere ma, e qui è il suo errore che gli costa la vita, non sa, preso com'è dal suo isolamento elitario, che laddove non esiste il potere che a lui dà vantaggio, fuori delle sue acque cioè, è veramente perduto.
Naturalmente il discorso potrebbe essere anche rovesciato.
E allora? Allora bisogna confrontarsi, bisogna crearsi una coscienza relativistica.
Nasce a questo punto spontanea una domanda. Chi può dare tale coscienza agli ignoranti ? La scuola può assolvere questo compito? Francamente no. La risposta segue di fila la domanda. La scuola perpetua gli ignoranti perché non può svolgere efficacemente il compito di trasmettere modelli per l'acquisizione di un abito critico, se non inserita in una società che può consentire l'abito critico. Ora, la nostra società, divisa in classi com'è, vivendo sul privilegio, sullo sfruttamento, sulla discriminazione - sempre con aggiustamento di tiro, se vogliamo, ma complessivamente strutturata in maniera gerarchica - non può permettersi una scuola critica, perché nessuna società o nessun gruppo che nel suo ambito detiene il potere sceglie per sé il suicidio, ma tende esclusivamente a perpetuarsi. E nessun singolo anche, per quanto efficace possa essere la sua azione di antagonista, riesce a tradurre questo suo atteggiamento nell'effettiva trasformazione della società. Gli intellettuali stessi, nei quali si sarebbe potuta porre qualche speranza, hanno costituito invece, storicamente, la cinghia di trasmissione del potere, vestito l'abito di manipolatori del consumo, di elaboratori di ideologie per dominare. Hanno svolto un ruolo storico ben preciso e questo non solo per casi individuali di corruzione, di ignoranza, di presunzione - sarei moralista se dicessi solo questo - ma soprattutto per complicità naturale con le classi dominanti. Ci sono rarissime eccezioni è vero e, certo, ci sono anche degli intellettuali che tentano di lottare per gli ignoranti denunciando spesso mancanze, insufficienze e limiti, ma il problema non è lavorare "su" gli ignoranti o "per" gli ignoranti, ma di lavorare "con" gli ignoranti. Solo con un impegno politico globalmente assunto e sperimentato si può partecipare ad un progetto di riscatto, il quale poi deve essere comunitario e non può essere affidato alla realizzazione del singolo, a meno che non si abbia una visione moralistica e eroicistica della cultura intellettuale. Si devono recuperare quindi le potenzialità reali che esistono nella nostra società per poterla ristrutturare secondo criteri di uguaglianza e di giustizia.
Egli ignoranti intanto come si comportano?
Gli ignoranti molte volte hanno un atteggiamento, recepito dalla cultura dominante, di fuga dalla propria cultura e di avvicinamento a quell'ottica che tende a far divenire schiavi gli altri a fini di potere. Se gli ignoranti - vittime storiche dell'oppressione - sono stati resi schiavi, il problema della loro liberazione si pone anzitutto nei termini della riappropriazione delle matrici culturali e dello sviluppo della loro cultura e non in termini di riappropriazione meccanica verso la fuga simbolica di riscatti metastorici ma verso una dimensione antagonistica che si ponga conflittualmente con il potere per ristabilire le premesse di una società completamente diversa in tutte le sue articolazioni politiche, sociali e culturali.
IGNORANTI ! Ricordatevi che per far questo non bisogna però che si sia perso del tutto la memoria delle cose. La nostra sopravvivenza non è questione di buona volontà. Non serve chiedere ai governi, a chi detiene il potere cioè, comprensione. Tutto passa infatti attraverso un rapporto di forza, che è quello degli interessi che il potere ha sulla propria posizione di prevaricazione e di distruzione delle culture e sub-culture autonomie e isole linguistiche in quanto sa bene, il potere, che distruggendo noi ignoranti riesce a mantenere meglio il proprio predominio.
Quando, nel secolo scorso, i grandi proprietari di piantagioni di cotone degli Stati del Sud acquistarono gli schiavi dai negrieri, ricevevano quasi sempre anche un consiglio: "Se volete tenerli schiavi per sempre, distruggete i loro ricordi, la loro lingua, i loro riti, i loro canti, la loro memoria".
Oggi voglio darvi un consiglio anch'io: quando spogliate i supermercati, quando fate la corsa agli elettrodomestici, quando siete seduti davanti al televisore, quando volete essere alla moda, quando farfugliate italiano, quando correte a lavorare nelle grandi città, rallentate un momento i vostri ritmi e prendete una pillola al fosforo per non perdere la memoria, i vostri ricordi, i vostri canti, la vostra lingua e non lasciatevi irretire dal miraggio che vi viene offerto ogni giorno di essere a tutti i costi colti!


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