§ 76 SOCIETA', 36.000 ADDETTI

Gli Americani guardano a sud




M. W.



Un oceano di dollari continua a inondare il mondo. Secondo fonti di Washington, gli investimenti diretti americani in tutti e cinque i continenti hanno raggiunto lo scorso anno la rispettabile cifra di 168 miliardi di dollari (qualche cosa come 150 mila miliardi di lire), con un aumento del dodici per cento rispetto all'anno precedente. Di tutti questi soldi targati USA, trentatre miliardi di dollari sono stati investiti nel petrolio, 74 nell'industria manifatturiera, 60 in altri settori. Il 72 per cento dei dollari ha preso la strada dei Paesi industrializzati, solo il 24 per cento ha raggiunto le nazioni in via di sviluppo, mentre un quattro per cento ha imboccato i "canali internazionali".
Il Canada ha divorato da solo 37 miliardi di dollari "a stelle e strisce", ma anche l'Europa fa una parte da leone: il vecchio continente, come una gigantesca slot-machine, ha assorbito lo scorso anno circa settanta miliardi di dollari. Di questi, oltre 55 miliardi sono stati investiti nella CEE, con la Gran Bretagna saldamente attestata al primo posto, potendo contare su oltre venti miliardi di dollari.
E l'Italia? Siamo ancora nelle retrovie: con tre miliardi e 571 milioni di dollari (e le fonti americane sono ben più generose dei dati forniti dalla Banca d'Italia, dal momento che considerano i profitti reinvestiti nel nostro Paese), riusciamo a precedere solo l'Irlanda (un miliardo e mezzo di dollari) e la Danimarca (857 milioni di dollari). Davanti a noi, oltre a Londra, ci sono la Germania Federale (quasi tredici miliardi di dollari), la Francia (sei miliardi e 772 milioni) e anche il Belgio-Lussemburgo (quattro miliardi e 739 milioni) e l'Olanda (quattro miliardi e 656 milioni).
Gli investimenti americani nel nostro Paese sono comunque in espansione: sempre secondo i dati di Washington, nel '77 avevano a malapena superato la quota di tre miliardi di dollari. Resta il fatto che gli Stati Uniti non sono affatto al primo posto tra i Paesi esteri che hanno investito in Italia: in base alle cifre fornite da Bankitalia, l'ultima graduatoria era guidata dalla Svizzera, dal Liechtenstein e dal Lussemburgo che, società fantasma o no, lirette riciclate o no, assommano il 40,2 per cento degli investimenti "esteri". Gli altri otto della CEE investono da noi per il 32,4 per cento del totale, mentre gli Stati Uniti raggiungono il 18,8 per cento. Lo scorso anno gli americani hanno investito tre miliardi e 98 milioni di dollari nell'industria meccanica italiana, un miliardo e 370 milioni di dollari nel settore chimico, due miliardi e 361 milioni di dollari nel ramo petrolifero, 803 milioni di dollari nel commercio, 303 milioni di dollari nelle banche e nelle compagnie eli assicurazione, 388 milioni di dollari nelle aziende alimentari. Anche se non siamo l'eden per gli investimenti americani, il "rischio Italia", che fino a tutto il '76 ci pesava come una palla al piede, sembra definitivamente scomparso. Lo dimostra il proliferare di iniziative di alcuni finanzieri e industriali statunitensi che sono alla ricerca di nuovi sbocchi, soprattutto nel Mezzogiorno. Del resto, già adesso le regioni meridionali stanno diventando una valida testa di ponte per gli investimenti d'Oltreoceano. Alla fine dello scorso anno, gli americani erano al primo posto tra i Paesi esteri che erano sbarcati nel Sud con 76 società, 102 stabilimenti e oltre 36 mila addetti. A notevole distanza, in termini di occupazione, seguono la Svizzera (con ottomila lavoratori impiegati); la Germania Federale (con oltre settemila); l'Olanda (circa seimila); la Gran Bretagna (con circa 4.500). In altre parole, gli Stati Uniti hanno più investimenti nel Mezzogiorno di tutti gli altri Paesi della CEE messi assieme (i quali danno lavoro a oltre 27 mila addetti, con 73 società).
Anche se rappresenta solo un decimo degli investimenti americani in Italia (dove sono presenti, tra partecipazioni di maggioranza e di minoranza, circa 700 società "made in Usa"), il Sud è destinato a divenire il fulcro della presenza straniera nel nostro Paese con l'aiuto dei finanziamenti e delle agevolazioni statali. Nel '79 operavano 196 società a partecipazione estera, appartenenti a sedici Paesi, con un'occupazione complessiva di circa 79 mila addetti. Se la francese Saint Gobain ha addirittura 13 stabilimenti nel Meridione, le multinazionali USA vantano una presenza altrettanto nutrita: dalla ITT (che ha nove stabilimenti), all'American Standard, dalla Grace all'Unilever.
Gli americani hanno anche in cantiere grosse realizzazioni. La IBM-Italia avvierà quanto prima la costruzione di uno stabilimento a Santa Palomba, non lontano da Roma, con 36 dipendenti e 36 milioni di dollari di investimento. La Vernante Pennitalia, consociata italiana della PPG, il colosso Usa del vetro, sta per metter su un impianto a Salerno (un altro sorgerà in Piemonte).
La ICT, che fa capo alla Pennwalt, costruirà in Molise una fabbrica per la chimica fine. Nel campo dei "know-how" e della fornitura di tecnologie al Sud, gli USA partecipano ora, con la control Data, alla Siti Worldtech, nel cui pacchetto azionario sono rappresentate Fiat, Pirelli, Olivetti, SMI, Gepi, Ime, Insud e Isveimer.

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