I conti del Sud




L. D. P., R. G.



Un dato sul quale hanno insistito i massimi esperti dell'intervento straordinario e anche i più attenti operatori neo-meridionalisti, è che il Sud degli anni Ottanta ha compiuto un salto di qualità rispetto a quello del 1950. E' stata difesa, di fronte alle denigrazioni di alcuni, la validità retrospettiva e storica, oltre che politica, sociale ed economica, dell'intervento. A riprova che il Sud di oggi è ben diverso da quello che Levi descrisse nell'immediato dopoguerra, può servire un rapido censimento dei vari settori economici e sociali nel Mezzogiorno. Cominciamo da quello delle infrastrutture.
Il settore ha assorbito l'ottanta per cento degli investimenti complessivi della Cassa per il Mezzogiorno nel periodo 1951-55; quota ridottasi al 53,6 per cento nel periodo 1956-60; e ulteriormente diminuita negli anni successivi, proprio mentre gli investimenti per opere private, ovviamente incentivate dalla Cassa, crescevano dal 20 al 40 e ad oltre il 60 per cento del totale.
Va sottolineato, tuttavia, che, colmati alcuni dislivelli originari, e verificatosi nelle regioni meridionali il massiccio esodo dai borghi rurali e montani verso i centri urbani medi e maggiori, l'intervento nelle infrastrutture avrebbe dovuto spostarsi verso la nuova configurazione del territorio e dar la precedenza ad iniziative di ampio respiro, di carattere urbanistico e sociale, in particolare nei trasporti aerei e ferroviari. Si è invece continuato ad operare quasi esclusivamente nel settore stradale e autostradale, realizzando importanti collegamenti longitudinali e trasversali, ma in un'ottica nella quale lo scorrimento veloce ha finito per tagliar fuori le aree attraversate, escludendole da ogni possibile occasione di apporto economico duraturo. Quando l'intervento venne avviato, il Sud disponeva di strade per 42.397 chilometri. Oggi, ne dispone per oltre 99.000 chilometri: l'aumento è stato del 126 per cento, in confronto a un incremento generale del Paese del 65 per cento. Così per i telefoni. Nel 1950, il Sud disponeva di 150.000 apparecchi, contro i circa due milioni e mezzo di oggi. Ma il problema delle infrastrutture, oggi, deve essere presentato in termini di riesame critico, per le nuove esigenze che emergono da un territorio che si viene caratterizzando in modo diverso da quello ipotizzato negli anni della preistoria dell'intervento straordinario. Inoltre, accanto alle infrastrutture fisiche occorre considerare quelle umane, relative soprattutto alla formazione, qualificazione e mobilità della manodopera. Qui il bilancio è ancora negativo. Il fatto che nelle regioni meridionali, (viste nel '50 come area di redistribuzione di una popolazione fondamentalmente agricola, e nel '60 come area di innesto di forti concentrazioni industriali), si stia sviluppando nei nostri anni una società a prevalente carattere terziario, urbanizzata, sensibile a problemi e ad esigenze diverse da quelle cui il precedente intervento era stato finalizzato, comporta la necessità di un flessibile riadattamento dei criteri operativi e delle progettazioni. Altrimenti, sarà la catastrofe.
Per quanto riguarda l'agricoltura, l'intervento straordinario, pur avendo scosso antiche stasi e rigidità, ha aperto nuovi problemi e nuovi rischi. Una volta entrata nella sfera di un'economia di mercato, l'agricoltura meridionale si è trovata di fronte ai problemi della commercializzazione dei prodotti, della loro conservazione, della concorrenzialità dei prezzi rispetto a quelli di altri Paesi della Cee ed esterni alla Comunità.
Neppure si può dire che l'industrializzazione nel Sud abbia contribuito a colmare il divario storico fra le due aree del Paese. Infatti, l'industria manifatturiera meridionale continua a fornire appena un quinto del prodotto industriale italiano. E ciò basta a comprovare la persistenza del dualismo Nord-Sud. Quel che è più grave, è che nel Meridione si incontra un'industria artificiosamente matura in talune produzioni e del tutto assente in altre: essa si caratterizza per la scarsa incidenza di attività legate alla domanda locale di consumo, per la modesta diffusione di produzione di beni strumentali, per il rilievo marcato della siderurgia, della petrolchimica, della plastica e del settore dell'auto.
Per quanto riguarda il terziario, va rilevato che la carenza storica dei servizi nel Sud era la conseguenza della specifica fisionomia delle sue strutture economiche. La crescita del terziario si avverte nell'espansione di taluni servizi (dotazione di posti-letto negli ospedali e nelle cliniche private; capacità ricettiva degli alberghi; diffusione delle assicurazioni). Scarsa appare invece, nell'insieme, la penetrazione della grande distribuzione, e assente o quasi risulta ogni sforzo teso a razionalizzare e disciplinare il mercato del lavoro nell'intero settore.
E' fuori discussione che il livello attuale del dualismo dell'economia italiana appare notevolmente modificato dagli effetti dell'intervento pubblico straordinario, e influenzato dalla congiuntura in atto. I dati sono espliciti: per quanto attiene alla produzione del reddito, il rapporto Sud-Nord è di uno a tre. Se proviamo a disaggregare questo dato per considerarne la composizione settoriale, troveremo che nelle regioni meridionali l'agricoltura ancora oggi concorre alla formazione globale del reddito per il 17,6 per cento, contro il 6,9 per cento dell'Italia centro-settentrionale; che l'industria vi concorre per il trenta per cento, contro il 43,6 per cento del Centro-Nord; che la Pubblica Amministrazione vi concorre per il 16,2 per cento, contro il 10,4 per cento; che infine i servizi privati vi concorrono per il 36 per cento, contro il 39,3 del resto del Paese.
L'analisi di questi dati porta a queste conclusioni:
- l'evoluzione dell'apparato e della produttività industriale nelle regioni meridionali è ancora in forte ritardo rispetto alle aree centro-settentrionali;
- l'agricoltura vi copre un ruolo più vasto, ma, per unità di superficie coltivata, meno produttivo;
- la Pubblica Amministrazione continua ad operare nel Mezzogiorno come una delle principali fonti di reddito, anche se appesantita da lentezze e da inefficienze burocratiche;
- il settore dei servizi privati è in forte espansione, pur non raggiungendo i livelli del resto del Paese.
Per quanto riguarda la scala dei redditi, fatte salve alcune aree ad altissima concentrazione industriale, quasi tutte le province meridionali si trovano in coda alla classifica nazionale; lo stesso fenomeno si verifica per l'occupazione, mentre la graduatoria si inverte per gli "aspetti negativi": in testa per i giovani in cerca di prima occupazione, per i disoccupati, per i sottoccupati, per coloro che sono assorbiti dal "lavoro nero". Questi dati dimostrano la fragilità delle strutture produttive nel Mezzogiorno: strutture caratterizzate da una persistente scarsità di occasioni di lavoro e da una ricorrente incertezza sulla stabilità del lavoro stesso. Prospettive migliori sembrano profilarsi per il settore turistico: le presenze continuano ad aumentare, anche se le strutture portanti stentano a uscire dalla piccola e media dimensione, e se la sistemazione del territorio resta ancora in grandissima parte da progettare.
Come risulta da questi dati, l'andamento a forbice dello sviluppo economi co-produttivo nazionale continua a manifestarsi, malgrado gli interventi operati negli ultimi anni. Tutto questo non vuol dire che il Sud non abbia in gran parte cambiato faccia. Significa piuttosto che il problema del Mezzogiorno non può essere affrontato e tanto meno portato a soluzione in una prospettiva settoriale, ossia come la peculiare situazione storica, economica e civile di un'area limitata - per quanto vasta - del Paese; e richiede invece un approccio più organico e integrato, nel quadro di una reale programmazione economica e di una integrazione a livello politico tra aree sovranazionali.
E' in questo contesto che va posta la domanda: intervento straordinario sì, oppure no? La risposta, ai politici e agli economisti. Il cronista può solo dire che, dopo aver registrato gli entusiasmi dei primi anni, le illusioni e le delusioni successive, ora è necessario ricucire il discorso intorno alla consapevole identificazione della condizione delle regioni del Sud come condizione generale del Paese, nel duplice significato che il Sud riflette e proietta ingranditi, in immagine speculare, i difetti del sistema italiano, e che l'avvenire del Paese si giuoca sur le tableau del Sud.

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