Il barocco minore




Enrico Surdo



Si celebrano - e non da molto: dopo un più meditato giudizio critico - i fasti del barocco "leccese", della capitale del Salento, con Santa Croce in cima agli interessi degli studiosi. L'altro barocco, quello "minore" del Salento, ancora oggi non è stato "riletto" accuratamente, sebbene in più occasioni se ne sia ribadito il senso aristocratico, quando esso non sia degenerato (ma è accaduto in pochissimi casi) nel barocco spurio. Si pensi, ad esempio, a Francavilla e a Martina Franca; ma anche a Nardò, a Cavailino, a Strudà, ad altri centri della penisola pugliese. Dovunque, è stato notato, le dimensioni dell'edificio principale sono aumentate rispetto a quelle immediatamente precedenti nel tempo; mai, in altre parole, come nel Sei e nel Settecento, le facciate sono state tanto estese:

"Eppure, in tale abbondante intavolatura architettonica, nessun architetto pensò mai di profondere l'ornato: soltanto al centro si aprirono sobrie logge monofore o a tre archi, un contenuto balcone, un semplice portale".

Vennero accresciute, dunque le dimensioni, e nello stesso tempo si limitò, o addirittura si cancellò la decorazione. E tutto questo, senza cadere in contraddizione con i principi dell'arte barocca. In tal modo, "attraverso la fantasia, il Salento ritrovò la leggiadria degli elementi singoli", come quegli splendidi balconi in ferro battuto, opera di artisti artigiani locali: balconi panciuti, eppure tanto leggeri e quasi librati nell'aria, che ornano i palazzi delle medie e piccole città salentine, frutto di un'architettura squisita, elegantemente lontana da tutte le tentazioni della preponderanza barocca, e schiva, ignara - in pieno secolo decimottavo - di qualsiasi suggestione neoclassica.
Una particolare signorilità, poi, assume lo stesso clima architettonico "laico", o "moderato", quando - frequentissimamente - interviene negli edifici religiosi. E' stato osservato che "anche in questo caso si trova concentrata la decorazione attorno alle parti salienti, lasciando il resto nella più composta nudità". Per esempio, è molto diffuso il tipo di portale, per lo più con il timpano e con gli stipiti molto marcati, strettamente fiancheggiato da due nicchie con statue. Il complesso forma un singolarissimo "trittico" architettonico, sullo sfondo levigato della facciata. Assai di frequente il portale si arricchisce di colonne, anche tortili, come nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie, a Maglie; ma, "non si diluisce nella falsa ricchezza della facciata, poniamo, del duomo di Gallipoli". La concentrazione dei motivi ornamentali-pittorici attorno a pochi elementi è diffusa: dalla chiesa di San Pietro, in Galatina, a quella di Santa Maria del Foggiaro, in Tricase; e culmina, si può dire, nella facciata del duomo di Otranto, dove il fastoso portale stabilisce "un sorprendente ma compiuto accordo con gli archi inflessi, di ascendenza ben lontana, del rosone". Tipici, inoltre, i portali che hanno il più noto esempio nel San Marco di Lecce: il portale vero e proprio ha, sovrapposta, una lunetta, tanto che l'insieme si direbbe rinascimentale; ed esempi del genere si riscontrano altrove, dalla cattadrale di Manduria alla chiesa matrice di Corigliano d'Otranto, fino a monumenti di terre remote dalla penisola salentina: nell'eclettico portale di Santa Maria del Mare, nelle isole Tremiti.
Tuttavia, l'aspetto più originale del barocco minore è quello di un'architettura che si fonde con l'ambiente: con le strade, con le piazze, con le case, con la luce che la circonda. Ogni edificio, (palazzo o chiesa che sia), "non esalta se stesso, ma determina l'ambiente, che è sempre raccolto, mai scenografico ... Soltanto questa concezione urbanistica, o meglio, questa poetica ambientale della tarda storia artistica pugliese, può unificare e perciò lasciar comprendere quel nobile carattere dei centri, soprattutto minori, della Puglia, segnatamente quella meridionale".
E' quanto si può osservare a Martina Franca, ma anche a Francavilla Fontana, a Galatina, a Maglie, a Galatone: nelle piazze di Tricase, di Grottaglie, di Manduria, di Nardò, di Tuglie. E, dentro questi edifici, sembrano quasi ospiti di riguardo i grandi quadri accampati nelle pareti, con soggetti sacri o profani, religiosi o laici. In questa terra, infatti, vennero dalle natie contrade napoletane Guarino, Finoglio, Pacecco De Rosa, Vaccaro, Cavallino, il Ribera. E subito emersero, dalla loro scuola, i pittori locali, da Francesco e Cesare Fracanzano, l'uno di Monopoli e l'altro di Bisceglie, ai bitontini illustri, Altobello, Carlo Rosa, Nicola Gliri, ai leccesi Verrio. Assai più celebre, il gallipolino Andrea Coppola; poi, ancora napoletani: Bonito, De Mura, Solimena, e infine i loro discepoli pugliesi, Corrado Giaquinto di Molfetta, famoso oltre i confini pugliesi, e il grande Oronzo Tiso, principe dei pittori di Lecce.


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