Attenti alle Fonti




Brizio Montinaro



Premetto subito, prima ancora di annunciare l'argomento di questa nota, che io posso continuare a vivere benissimo anche se non si fa luce su queste due cifre: 1621 e 1663. E per questo credo che anche i vostri sonni non saranno turbati, sia che voi sappiate già del dilemma, sia, a maggior ragione, che ne siate completamente al l'oscuro. Ed ogni vostro turbamento passato del quale non avete conosciuto le cause non è da attribuire a quanto sto per dirvi. Cosa significano le due cifre riferite. Di per sè poco: sono due serie di numeri che indicano per convenzione due anni della nostra Era Cristiana. Due anni come tanti altri se gli uomini, la maggior parte studiosi di tutto, non avessero, ed è difficile individuare il motivo recondito, deciso di indicare in quelle due date di per sè poco espressive l'accadere di uno stesso episodio. Non dico somigliante episodio, no no, lo stesso, medesimo, tale e quale episodio, storico in sovrappiù.
Ora, se nessuno può contestare il 1915 come l'anno dell'entrata in guerra dell'Italia, e se nessuno può contestare il 1861 come l'anno della promulgazione della legge dell'unificazione italiana, ed addirittura il 44 a. C. come l'anno dell'uccisione di Cesare, e si potrebbe andare ancora molto molto oltre, perché ci sono documenti inconfutabili che non danno adito a discussioni ed a contestazioni, non si capisce perché per fatti storici naturalmente minori, una folla di studiosi debba, non dico contestare, che già sarebbe tanto, ma diffondere falsi senza alcun fondamento. Cosa sarebbe accaduto in queste due date. li fatto, come ho detto, è uno solo: la fine del rito greco-ortodosso in Calimera ed passaggio conseguente al rito latino.
La montagna ha partorito il topolino, direte. No. Ho già premesso che la vita di tutti corre via lo stesso, senza traumi e senza intoppi; quello che mi preme notare qui e ovviamente la fine dell'equivoco sulle due date, ma anche capire ed evidenziare i motivi per cui da almeno cento anni si continua a perpetuare un falso che rimbalza continuamente quando c'è l'occasione, da un saggio erudito ad un articolo di giornale, dalla Enciclopedia Treccani alle guide turistiche, come in un'ultima uscita quest'anno, quando parlano di Calimera.
Non starò certo a fare qui il discorso sulla validità delle fonti che nutrono la storia o sulla opportunità di utilizzare alcune e trascurare delle altre. Sarebbe un discorso lungo, pericoloso e fatto soprattutto fuori sede. Voglio dire però che quando esistono documenti scritti, spesso diretti, non li si può trascurare ed ignorare. Lapalissiano, direte. Bene, anche l'ovvio va ripetuto, perché anche dell'evidente noi spesso riusciamo a cambiare i connotati.
Ergo: attenti alle fonti!
Si sa, e sono molti i documenti che lo dimostrano, che in gran parte del Salento la Chiesa Greca aveva vita prospera, spesso tormentata, ma ricca di fermenti, di tradizioni e di particolarità. In tanti Archivi Parrocchiali del paesini del Salento vi sono notizie importantissime sull'argomento, accenni si leggono anche nelle visite pastorali dei Vescovi, nelle relazioni degli Archipresbiteri e in codici manoscritti come quello intitolato "Variarum quaestionum et rerum iurisditionalium per reg. consiliarum D. lo: Baptistam Del Migliore, collectarum et tam Neapolis, quam Romae gestarum et pertractarum" che si trova a Napoli tra le carte della Biblioteca di Storia Patria. E a sostenere la floridezza del rito greco-ortodosso e della lingua greca fino al XVI secolo sono in molti e tutti d'accordo. I problemi nascono invece - e con essi equivoci, imprecisioni e miti - nel trattare da parte degli studiosi il tramonto del rito greco ufficiale.
Giuseppe Morosi, uno studioso dell'800, in una lunga e per certi riguardi importante nota storica al suo volume "Studi sui dialetti greci della Terra d'Otranto preceduti da una raccolta di canti, leggende, proverbi e indovinelli nei dialetti medesimi", pubblicato in Lecce presso la Tipografia Editrice Salentina nel 1870, è uno dei primi ad affermare con decisione quanto segue: "In Otranto prese a cadere il rito greco dacché Celestino III ebbe comandato non si ordinassero più Sacerdoti greci da Vescovi latini, e viceversa. A Gallipoli cessò nel 1513; e fra' paesi ancora greci, a Soleto nel 1598, a Corigliano nel 1600, a Martignano nel 1662, a Calimera nel 1663, a Sternatia nel 1664. A Calimera l'ultimo Protopapa greco venne ucciso dai latini, quindi il rito greco vi fu distrutto, bruciate le memorie e i documenti e sottoposta la parrocchia all'Arcivescovo latino di Otranto".
Dove il Morosi abbia trovato la forza morale di fare affermazioni così precise e decise non si sa. Sta di fatto che da questa sua affermazione ha avuto origine una serie di echi insulsi ed asineschi, che testimoniano di un corrente costume in uso tra studiosi solitari e gruppi di studio anche universitari. Restringiamo il discorso intorno alle notizie riguardanti la cittadina di Calimera, e perché vi troviamo maggiori imprecisioni, e perché possiamo fornire dati precisi, sicuri, rilevati dai documenti originali dei Libri Parrocchiali del suddetto paese.
Apriamo, per cominciare, il primo Libro Parrocchiale e leggiamo cosa c'è scritto nella prima pagina: "BAPTIZATORUM LIBER PRIMUS 1604 (e di altra mano : dal 1621 Arciprete don Troilo Licci vedi foglio 167) SIGISMUNDUS DE MATTHEIS ARCHIPRESBYTER DE RITU GRECO. LIBER QUOOUE MATRIMONIORUM LIBER DEMUM CONFIRMATORUM USQUE AD 1626".
Sfogliamo ancora qualche pagina e ci imbattiamo nel seguente Atto di morte: "Anno Domini 1621 die 3 Martii 4 hora noctis Dominus Sigismundus de Mattheis Archipresbyter Calimere, in comunione Sancte Matris Eccl. e anima Deo reddidit. Cuius corpus die 4 sepultus est in Eccl. a S. Britii. Do. no Troylo Licci Cantore et Confessario approbato confessus et die 20 februarii SS.mo Viatico refectus et die 22 sacri olei unctione roboratus et sepultus. Successit D. TroyIus Licci Archipresbyter dicte Eccl. Santi Britii, fuit in possessionem positus 13 may 1621. Primus Archipresbyter Latinus.".
Continuando a sfogliare si può trovare una memoria che elenca gli ultimi Arcipreti di rito greco fino al primo Plebano Latino del quale si traccia la stirpe. Eccola: "Arcipreti di rito greco. D. Leone Montenaro marito di Lucente Montenaro, Parroco del rito greco. D. Teofilo Maero marito di Artera Maera, Parroco di rito greco. D. Sigismondo, che per lo più si scriveva Gismondo de'Mattei, marito di Pazienza Maera, quarto Arciprete di rito greco, che passò al numero del più al dì 3 marzo 1621; a lui successe D. Troilo Licci, primo Arciprete Latino figlio di Giovanantonio e Catterina Martina e fratello di Gallieno accasato con donna Colaci, dalli quali nacque Catterina Licci moglie del dottor Carlo d'Ales e sorella germana del dottor Giandomenico Licci, e restò sepolto il ramo con la morte di donna ... " ecc. ecc. ecc.
Dopo aver scorso vari documenti scritti per mano dell'ultimo Protopapa greco Don Sigismondo, si legge: "Nota dell'affidati e sposati da me D. Troilo Licci Arciprete di Calimera, cominciando dalle 23 Maggio 1621 ".
Qua e là, nei vari registri parrocchiali, si leggono poi note scritte da vari Plebani riportanti elenchi di nomi degli ultimi Protopapi greci e degli Arcipreti latini affinché non si perda memoria ed una annotazione ricorrente, del tipo: "Con la morte di questo Arciprete D. Sigismondo seguita il 3 marzo dell'anno 1621 fu sepolto il rito greco e fu dato per successore D. Troilo Licci primo Arciprete del Rito Latino, che fu della mia famiglia, e secondo Beneficiato nel Beneficio del titolo di S. Maria di Leuche. (Firmato) Marino Licci Arciprete.".
Ora, da questi documenti che si possono leggere senza fare alcuno sforzo o particolare ricerca, non mi pare risultino violenza ed ammazzamenti ed incendi di documenti. Don Sigismondo morì tranquillamente confortato dai sacramenti religiosi e sepolto secondo i riti canonici spettanti di solito a tutti i defunti. Non mi pare inoltre che siano state "bruciate le memorie e i documenti" riferiti al rito greco.
Sarebbero certo stati bruciati tutti gli atti redatti dall'ultimo Protopapa, se così fosse. Invece esistono e alla portata di tutti quelli che avrebbero potuto controllare se avessero voluto o di quanti vorranno controllare. Ma, qualcuno obietterà, ci sono solo i documenti scritti da Don Sigismondo, come mai? Spetta al Concilio Tridentino il merito di aver ordinato la materia riguardante i Libri Parrocchiali che prima quasi non esistevano e di averne dettato le norme. Non è meraviglia quindi se in un piccolo paese, per come andavano le cose allora, siano cominciati ad esistere con un certo ritardo, neppure poi tanto se si pensa bene. Sicuramente non sono stati bruciati; sarebbero nel qual caso stati bruciati tutti; ma, al contrario, proprio da allora ne cominciava la tradizione.
Che la fine del rito greco a Calimera non abbia avuto esiti violenti lo dimostra ancora il fatto che spesso si incontrano nei registri parrocchiali intorno agli anni '20 casi di preti greci sposati che, previo esame, sono passati a celebrare con il rito latino, mentre chierici secondo la tra dizione greca sono esistiti ancora fino a quasi tutto il '700.
Da quanto si è detto fino a questo momento mi pare inoltre chiaro ed evidente che il 1621 deve essere la data inconfutabile della fine del rito greco in Calimera, fine che coincide di fatto con la morte naturale dell'ultimo Protopapa Don Sigismondo e con l'elezione del primo Plebano di rito latino Don Troilo Licci. Il 1663 sarà stato pure un anno eccezionale, non dico, ma per la raccolta delle ulive forse, non certo per quanto riguarda il nostro argomento.
Dove il Morosi, studioso meritevole per tanti altri motivi, abbia trovato le notizie che ha provveduto a diffondere non si sa. Notizie che purtroppo, senza il controllo delle fonti, sono state subito riprese, pari pari, dal De Giorgi nel suo "Geografia fisica e descrittiva della Provincia di Lecce", pubblicato dall'Editrice Salentina nel 1896, dal francescano padre Primaldo Coco in "Vestigi di grecismo in Terra d'Otranto" (1922) e qualche anno dopo dal prof. Gabrieli in "La grecità linguistica delle colonie italo - greche odierne nell'Italia meridionale" (1925). Ma l'elenco dei fidi non finisce qui, e si potrebbe continuare a lungo, fino a giungere al prof. A. Tassoni dell'Università di Torino che compilò la voce CALIMERA per la Treccani, ecc. ecc.
Unica voce sicura quanto moralistica tra tante superficiali, fu quella del cistercense don Mauro Cassoni che, questa volta, consultando documenti originali, non sbagliò nell'individuare nel 1621 la data della fine del rito greco in Calimera e nell'escludere ogni ammazzamento.
Una serie continua di "mi fido", durata quasi un secolo, ha perpetuato così un falso che ormai ha trovato credito nell'animo popolare e nei racconti fantastici di qualche maestro delle elementari. Tra i tanti spazi mitici moderni di cui parla Alberto M. Sobrero, bisogna inserire anche l'attitudine e il compiacimento del diverso, in questo caso il greco, a credere cose impossibili che riguardano una sua eventuale persecuzione. Ma io, non mi fido.

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