E vennero i Saraceni




Palmi Gaias



Se si esclude un'iscrizione in due lingue (araba e latina), a Lucera non resta più nulla in ricordo della presenza saracena. Solo la storia - una grande storia, per le implicazioni o connessioni che comportò - ci ricorda che questa fu una delle città "imperiali" predilette dal Puer Apuliae, Federico II, luce del mondo. Eppure, proprio Lucera fu l'ultimo rifugio dei Saraceni, cacciati dalla Sicilia dall'Hohenstaufen, e dallo stesso Hohenstaufen raccolti (parliamo dei superstiti) nell'area lucerina. E solo a Lucera abbiamo una presenza "pacifica" degli arabi. Del mondo del vicino Oriente, infatti, non abbiamo conosciuto la splendida civiltà creatrice, quella della filosofia, dell'architettura, dell'arte musiva, della poesia, della geometria, dei numeri, e via dicendo, quale, ad esempio, si manifestò a lungo in Sicilia; ma abbiamo conosciuto il risvolto guerriero e piratesco, con la distruzione di Otranto, con le scorrerie lungo le coste joniche e adriatiche, pur vigilate da decine di torri di vedetta, delle rapine e delle schiavitù; e, prima ancora, le dominazioni nei territori di Taranto (ma restano pochi documenti in merito) e nella Terra di Bari, qui più complessa che altrove, più feconda di testimonianze, e di leggende, se si vuole, se è vero che nel "Novellino" si ricorda il Gran Saggio arabo che dettava sentenze edera uomo magnanimo e giusto, e lo si identificava appunto con il dominatore arabo di Bari. A Lucera, invece, era stanziata la celeberrima cavalleria saracena, con la guardia del corpo scelta di Federico II, ultimo baluardo contro i; nemici del grande Svevo. E la città crebbe per davvero in un clima "diverso" rispetto alle altre di quell'area. Anche Rignano Garganico ha un suo clima, un'atmosfera "imperiale"; ma è rattenuta nella struttura urbanistica, nel suo grandissimo affaccio che domina rocce e argille della Murgia e dello sperone emerso dalle profondità adriatiche. Ma "dentro" le strade, dentro le piazze, non c'è, o non c'è più, alcuna "presenza" di Federico. La presenza aleggia a Lucera, all'interno del suo incredibile giro di mura, all'ombra della superba cattedrale, nell'ordinamento delle strade nell' "imperiale" posizione che un giorno fu punto di riferimento della più vasta organizzazione interurbana della Murgia. E intorno intorno, gli immensi boschi, che risuonavano delle cacce e degli addestramenti nelle armi. Non lontano da qui, anch'esso imperiale, Castel del Monte, corona della Puglia, e incomparabile gioiello delle residenze estive del grande Hohenstaufen. Un velo di foschia copre Lucera, e un velo di foschia avvolge Castel del Monte: e come da un tenuissimo, trasparente sipario emergono, la città e, nell'alto, il castello, appena il sole rinvigorisce, e la campagna circostante riprende i colori murgiani. Distesa, ben coltivata, con lunghi filari di ulivi interrotti dallo splendore candido dei mandorli, quella intorno alla saracena Lucera; rappigliata alle gobbe di argilla densa e pelosa, con alberi contorti da una sete che sembra invincibile ancora oggi, quella intorno all'ottagonale mole a torrioni del castello. Scomparsi, cancellati i boschi: per un'altra sete, quella di terra, dei contadini dell'alta Puglia. I boschi furono rifugio sicuro di briganti papalini e borbonici, di vessatori individuali e di masnadieri associati, (ma quando si parlerà del brigantaggio creato, o favorito, dai piemontesi qui e altrove, nel Sud, per giustificare certe loro scelte di politica e di politica economica?). La loro distruzione, dunque, è relativamente recente. Lucera si stende sulle grandi dune pelate, come Castel del Monte svetta su una vetta spoglia. Restano la presenza della storia, le ombre dei saraceni connaturati, con il tempo, ai locali, sangue amalgamato e pelle mista, e le ombre degli Svevi perse per le terre senza più gli splendidi fragni e le superbe querce vallonee, che anche qui ebbero cittadinanza non breve, prima dell'abolizione per sterminio. A ricordarci, probabilmente, che la Puglia interna conobbe tempi e storia strordinarie, dai giorni in cui - come a Taranto e come a Bari, durante le fulminee dominazioni arabe - si pregò Allah e si guardò al tramonto, verso Oriente e verso la Mecca, e il Corano prevalse sui Vangeli; mentre per le valli a nord e a sud dell'Ofanto riecheggiavano le dispute filosofiche, perfetto sincretismo di cultura orientale e occidentale, e le rime di chi inventò una lingua e una poesia in volgare, e i proclami e gli editti di Federico, e della sua dottissima corte. E non aleggia più, invece, quella presenza, nelle città di Trani e di Brindisi, e fors'anche nelle piccole città portuali adriatiche, dalle quali controvoglia s'imbarcò per la Crociata, convinto com'era che la diplomazia valesse più della guerra, e che all'incrociarsi delle spade si dovesse sostituire l'incrociarsi delle culture. Restano, superbe, a ricordare che quella fu una civiltà insuperata, le Cattedrali romaniche, a segnare dalla nuca del Gargano fino a Santa Maria del Casale e fino alla capitale del Salento una linea ininterrotta, un "viaggio" attraverso una splendida cultura.

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