L'altra Italia




Alfredo Todisco



Come ci vedono gli stranieri in questa travagliatissima stagione della vita nazionale?
Noi, che di giorno in giorno siamo costretti a registrare il rovinio della Casa Italia, che siamo presi d'assalto e di soprassalto da un crescendo di notizie sempre più inquietanti, siamo portati a credere che davanti a osservatori lontani, i quali non vedono a tutto tondo ma solo attraverso il filtro pessimizzante dell'informazione, l'immagine del nostro Paese debba essere anche peggiore del vero. Se abbiamo la polmonite, da fuori penseranno che abbiamo come minimo un male più oscuro.
E invece no. Gli stranieri, almeno quelli che vivono fra noi, e che riferiscono ai loro connazionali, non condividono il nostro catastrofismo. Se il colonnista della "Herald Tribune", William Plaff, indica un modo americano di vederci "da vicino", la diagnosi dei nostri mali non solo sembra fausta: stiamo scoppiando di salute. Una corrispondenza del 12 marzo, intitolata sornionamente "Il rovescio agro della Dolce Vita", cominciava così: "Perché si parla di una questione italiana? Questa è una società originale, ricca di talenti. La gente lavora sodo, spesso in più di una occupazione. Le esportazioni fioriscono. L'economia prospera a dispetto di ogni scoramento. Gli architetti, gli ingegneri, i designers sono i capifila nel mondo. Gli artigiani, gli stilisti di moda, sono invidiati da tutti. Le automobili vincono tutte le competizioni sportive, quasi. I film sono i migliori. li cibo meraviglioso. li buon senso della gente proverbiale".
Sì, è vero, riconosce il corrispondente americano, gli scandali sono cronici, i governi sgangherati e incompetenti, i partiti scippano lo Stato delle sue prerogative per foraggiare i clienti, l'Italcasse e le dimissioni di Evangelisti sono l'ultima di una serie di malversazioni del pubblico denaro. Ma a parte questo, e altro, tutto va bene, madama la marchesa.
"L'Italia prospera. L'Italia dell'economia sommersa, dei due impieghi, dell'inventiva, dell'arte di arrangiarsi, del pessimismo. E' un Paese molto forte, più di quanto spesso non si riconosca all'estero. Perfino i suoi terroristi non riescono a metterlo in ginocchio". E come segno di saldezza morale, Plaff evoca le parole di perdono per i terroristi che Bachelet figlio ha pronunciato davanti alla bara del padre.
E' un "quadro italiano" che interrompe la sequenza di immagini calamitose con cui l'Italia ci appare da troppo tempo. Forse c'è del vero. Forse il Paese è più stabile di quanto non si supponga, anche se gli argomenti del colonnista americano suonano molto esili.
William Plaff, infatti, poggia il suo ottimismo su quello che per lui costituisce il talento numero uno degli italiani: badare ai fatti propri, sopravvivere facendo astrazione delle deludenti vicende dell'Amministrazione, dell'azione di governo e di malgoverno, degli interventi dello Stato, dei consigli degli stranieri che, dal Fondo Monetario al Dipartimento di Stato, dalla Cia ai pubblici funzionari di Bonn e di Parigi, dal "Washington Post" e "Le Monde" alla Curia, credono di saperla più lunga su quello che gli italiani dovrebbero fare.
Secondo Plaff, il segreto della vitalità italiana starebbe proprio nel tratto che fin dai banchi di scuola ci additano come il male oscuro ed eterno di questo Paese: la cura del "particulare". E infatti l'articolista della "Herald Tribune" cita un ricordo di Guicciardini: gli uomini che conducono bene i loro affari sono coloro i quali tengono ben fermi davanti agli occhi i loro interessi privati e misurano tutte le loro azioni a questo scopo.
Al Candido statunitense non viene in mente che lo sfascio italiano è proprio nella latitanza dell'"interesse generale", cui dovrebbe provvedere uno Stato degno del nome, che in Italia non è provveduto del "cuore" cui mira il terrorismo, per la semplice ragione che lo Stato non esiste. E' stato spiazzato dalle consorterie.
Che poi gli italiani sappiano sopravvivere meglio di altri nel marasma, è un'altra questione. Ci sono allenati da secoli.

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