Nord e Sud: ancora tanti perché




Luigi Compagnone



Sembra perlomeno assurdo; pure, continuiamo a chiederci perché l'Italia non è riuscita ancora a risolvere la questione meridionale. Certo, la domanda è ingenua e complicata insieme; e quanto più complicata, tanto più difficile ogni tentativo di dare a noi stessi una risposta concreta. Nello stesso tempo, non possiamo non ricordare che all'indomani della riconquista della libertà noi tutti sottoscrivemmo un patto che, senza abolire la dialettica delle classi, si chiamò e si chiama Costituzione e che poi è stato puntualmente ignorato e tradito. Ora, il benpensante del Nord dice che la colpa è del Sud e soggiunge, lo stolto, che l'Italia fino a oggi non ha risolto la questione meridionale per colpa della pessima burocrazia e amministrazione dello Stato, che per il novanta per cento è di estrazione meridionale.
Ma il benpensante del Nord non ricorda, o ignora, o finge d'ignorare, che quel novanta per cento di funzionari e burocrati di estrazione meridionale che compongono la "pessima burocrazia e amministrazione dello Stato" non sono che i minimi ingranaggi del grande meccanismo italiano con la sua burocrazia accentrata. E nemmeno ricorda, o ignora, o finge di ignorare, che essi sono il personale di fiducia del potere economico: personale reclutato di preferenza nel Sud che, con la sua degradazione sociale, ha sempre costituito la grande riserva di caccia dei veri responsabili delle nostre sciagure. Ma forse il suddetto benpensante ignora anche, o finge di ignorare, che i grossi speculatori meridionali sono collegati con quelli del Nord e che tutti insieme formano un amalgama oscenamente indifferenziato, dato che i padroni del vapore non hanno patria né caratterizzazioni o connotazioni regionali.
E allora quella parte civile del Meridione, che non comprende né speculatori né camorristi né ricchissimi oziosi né magnaccia del sottogoverno, è stata puntualmente emarginata.
Di qui, forse, lo stato di eterna premorte della questione meridionale, che non verrà mai risolta fin quando ai grandi padroni del vapore non converrà che il Sud non sia la grande riserva di manodopera a prezzi di schiavismo nazional-padronale, offerto agli emarginati della splendente storia, o non - storia d'Italia.
Si pone, intanto, una seconda domanda, con cui si chiede se è cambiato il rapporto tra Nord e Sud. Ma è cambiato, forse, nella consapevolezza che centinaia di lavoratori hanno assunto della loro propria cultura. Un esempio. Nel momento in cui i sindacati torinesi si oppongono all'ampliamento delle aziende piemontesi e chiedono che i nuovi investimenti vengano fatti al Sud, nasce secondo me una cultura meno cecata (mi si scusi se parlo napoletano, ma dir cecata è meglio che dir cieca) di quella paleoborghese, insomma una cultura consapevole della sua misura civile e che fa piazza pulita di quegli osceni concetti razziali secondo cui i terroni, i napoli, i sùdici, sono costituzionalmente negati a ogni processo civile.
C'è poi da dire che l'"incontro" fra operai settentrionali e operai meridionali è avvenuto non già per le fantasiose vie del cielo, ma all'interno di una tremenda realtà, ossia all'interno delle fabbriche piemontesi e lombarde: dove, quando esplose la fraudolenza del nostro boom economico, squillò dal Nord un massiccio richiamo alla manodopera meridionale.
Allora tutti insieme, operai settentrionali e meridionali, elaborarono nuove proposte e nuove direttrici di convivenza civile; e fu così che, finalmente, la declamata solidarietà del Nord nei confronti del Sud finì di essere una canzone sceneggiata e recitata dai grandi "parolieri" piemontesi e lombardi, e divenne una realtà viva e concreta e reale.
Mi viene in mente uno strano accostamento, pensando a quel che successe nelle trincee della prima guerra mondiale, quando i coscritti del Nord e del Sud si trovarono a celebrare per la prima volta un'autentica fraternità di dolore, fraternità che però cessò di essere quando i superstiti tornarono nelle proprie case e nella propria cultura, ossia nei vecchi recinti della loro emarginazione sociale.
Ora invece l'incontro è avvenuto sul filo di una realtà più "moderna", più "vissuta", anche se talora si verifica la caduta di quella grande tensione ideale che caratterizzò i primi incontri dei lavoratori meridionali con quelli settentrionali.
Il momento più alto di quella meravigliosa tensione ideale si accese quando, al treno della rivolta di Reggio Calabria, treni stracarichi di lavoratori del Nord arrivarono a Reggio, perché in quei giorni era in quella città che andava difesa la democrazia italiana, minacciata di morte.
Il vecchio, fradicio rapporto fra le due Italie ha subìto pertanto una sua prima modificazione di fondo; sta crepando per esempio l'insieme degli stereotipi e delle forme mentali più abiette che si erano venute a creare all'interno del Nord e, insieme, all'interno del Sud. Per esempio, uno di quegli stereotipi aveva stabilito da sempre che la gente napoletana è legata ai suoi bassi, alla sua sporcizia, ai suoi mali storici, (come quella materana ai suoi "sassi", quella siciliana alla sua mafia, quella sarda al suo banditismo, e così via). Bruciare una volta per tutte questi stereotipi sarà già un grandissimo passo avanti, un sostituire alle "idee" rarefatte la libertà dell'intelligenza e della ramificante ragione.

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000