Sud assistito non depresso




Franco Compasso



Avvicinandosi la scadenza della Cassa per il Mezzogiorno ed esaurendosi, al 31 dicembre 1980, il trentennio meridionalista, si sta già sviluppando tra le forze politiche e sociali un ampio dibattito sul futuro del Mezzogiorno. Poco fa, contestualmente il PCI da Bari (nella Conferenza dei quadri meridionali) e la Confindustria da Cosenza (nel Convegno sulle nuove prospettive dell'industrializzazione nel Sud) hanno avviato il primo serrato confronto sulla validità o meno dell'intervento straordinario e sulle necessità della prosecuzione dell'attività della Cassa per il Mezzogiorno. le posizioni sono note: il PCI propone l'abolizione della Cassa; altri settori politici e il mondo imprenditoriale sostengono la necessità di una rivitalizzazione dell'attività della Cassa, sia pure diversamente strutturata e collegata ad una filosofia nuova dell'intervento straordinario.
A mio avviso, ridurre tutto il dibattito sul futuro della politica meridionalista al falso dilemma "Cassa sì - Cassa no", significa mettere la testa nella sabbia per non vedere gli errori del passato e per non impegnarsi nella realizzazione di una politica nuova per il Sud: nuova non tanto nelle formule, quanto nei contenuti programmatici, negli strumenti.
Non tocca certo alla componente liberale del meridionalismo democratico e riformatore di difendere il bilancio dell'intervento straordinario e del suo strumento operativo principale, la Cassa per il Mezzogiorno. E' troppo nota la rigorosa e puntuale contestazione che da parte liberale è venuta contro la degradazione dell'intervento straordinario e il suo svilimento in pratica clientelare e assistenziale. Quel che ci sembra doveroso sottolineare è la pretestuosità della semplicistica condanna di tutto ciò che è stato fatto in trent'anni per favorire lo sviluppo del Mezzogiorno. I massicci investimenti dello Stato e dell'imprenditoria privata hanno certamente trasformato il volto del Sud, che non può essere più considerato un'"area depressa", anche se continua ad essere un' "area assistita".
La polemica sull'assistenzialismo non è "un abbaiare alla luna", come ha detto Carniti, ma il cuore del problema. Se l'obiettivo della politica per il Mezzogiorno è la crescita armonica e globale dell'area meridionale - crescita civile e sociale - tale obiettivo può essere raggiunto solo attraverso una strategia che realizzi un reale sviluppo e non attraverso le logore pratiche clientelari che alimentano l'assistenzialismo. L'assistenzialismo rafforza solo posizioni clientelari legate ad interessi di potere personale o di partito e la dissennata demagogia di quanti credono che il "malessere" del Sud, delle grandi masse popolari meridionali, possa essere affrontato con provvedimenti spiccioli, settoriali, corporativi. E Carniti ha torto anche su un altro punto: quando, in linea con Lama, sostiene che "oggi ci vuole una ristrutturazione alternativa a quella neoliberista del padronato", dimenticando che per trent'anni la politica d'intervento nel Sud non è stata né liberista né antiliberista, ma esclusivamente assistenziale e clientelare.
populismo più gretto e corporativo e il potere più chiuso e arrogante hanno celebrato i loro effimeri trionfi, mentre il Mezzogiorno degradava nel più buio malessere. Il malessere meridionale è andato aggravandosi a causa, certo, della drammatica crisi economica, ma ancora di più per il disimpegno meridionalista del governo e delle forze sociali. Dopo aver parlato per anni della "centralità" meridionale, registriamo oggi come il "problema Mezzogiorno" sia marginale nella strategia delle grandi famiglie politiche e sociali. La "svolta" dell'Eur aveva in parte corretto i comportamenti sindacali: ancora oggi ci pare però incerta e ambigua la strategia sindacale nei confronti di tutti coloro che, fuori della "fortezza", premono per una più equa distribuzione del reddito e per una diversa politica dell'occupazione. Se vogliamo dare una speranza ai disoccupati, ai sottoccupati, agli emigranti che ritornano, agli emarginati che vivono la loro cupa disperazione all'ombra della "fortezza", dobbiamo operare scelte strategiche per il Sud, tali da creare nuovi posti di lavoro e quindi uno sviluppo stabile. Per fare ciò, dobbiamo estirpare la malapianta del clientelismo e dell'assistenzialismo, ridare fiducia ai giovani, assicurare ad essi reali prospettive di lavoro. Dobbiamo innanzitutto affermare con i fatti concreti e non più parole al vento - che la politica generale del Paese dev'essere saldamente ancorata alla "priorità" meridionalista. Quando si assumono impegni per il Mezzogiorno (leggi: vertenza Calabria), lo Stato deve mantenerli, non solo per evitare i ribellismi locali, quanto e ancor più per consolidare nei cittadini la fiducia nelle istituzioni. La rassegnazione e la sfiducia dei meridionali sono conseguenza dei ritardi e delle contraddizioni del passato: su questo punto importante siamo d'accordo con quanto ha dichiarato il leader socialista Mancini ("stiamo correndo verso un disinteresse per le istituzioni, la sfiducia diventa generalizzata"). Se vogliamo vincere la rassegnazione che è la cieca alleata del "meridionalismo di potere" (o dei meridionali al potere), e se vogliamo disperdere la sfiducia che viene strumentalizzata dal qualunquismo di ieri e di oggi, dobbiamo allora puntare in alto e riannodare i legami culturali, ideali e politici con quel "meridionalismo della ragione" che non è l'etichetta esclusiva di un partito, ma la comune radice di un impegno civile, etico-politico, per lo sviluppo del Mezzogiorno.
Al "meridionalismo della ragione" ci colleghiamo per continuare la nostra lunga, dura e forte battaglia, per vincere nel Mezzogiorno le paure di ieri, i mali di oggi: noi vogliamo lo sviluppo, critichiamo l'assistenza.
Il meridionalismo di potere punta ad un Sud perennemente assistito; il meridionalismo della ragione deve puntare alla crescita civile del cittadino e allo sviluppo globale dell'area meridionale. Contro tutte le suggestioni del potere, contro le prepotenze del clientelismo, per sconfiggere la vergogna del trasformismo, è necessario avviare subito una nuova strategia politica ed operativa che collochi il Mezzogiorno al primo posto nella scala delle priorità.
I comportamenti ambigui, le fughe in avanti, le resistenze corporative, le astrazioni dei vertici politici hanno fatto il loro tempo e hanno ridotto il Mezzogiorno a una polveriera: il Paese non si salva, se il Mezzogiorno va alla deriva. Ancora una volta, deve guidarci il solenne, vero ammonimento di Giustino Fortunato: "Il Mezzogiorno sarà la fortuna o la rovina d'Italia".

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