Mezzogiorno Ottanta




V. A. S.



La conoscenza della società meridionale si affina tanto più, quanto più appaiono ferme o in forte difficoltà le prospettive di uno sviluppo globale nel campo produttivo. E' quasi una costante. Dall'inizio del secolo si verifica periodicamente: quasi ogni due decenni.
Come l'araba fenice, è stato scritto, la questione meridionale risorge periodicamente dalle ceneri, con vesti nuove, con caratteri mutati, ma sempre al centro della questione italiana, del modello italiano di sviluppo. Qualunque cosa ne pensino l'ottimismo moderato e lo schematismo operaista, e qualunque cosa pensi il brillante Arbasino, illuminista di ascendenze absburgiche, felice nello scovare "imbecilli napoletani" per conto dell'industria culturale milanese.
E così, alle soglie degli anni '80, ci troviamo con delle ottime ricerche sulla società meridionale, e con l'interrogativo di sempre: quale sviluppo per il Sud? Dar conto delle prime è utile e interessante; rispondere al secondo è sempre arduo. Cominciamo dalla Svimez, che ha il grosso merito di avere svolto in questo trentennio un'opera importante di rielaborazione dei dati statistici più rilevanti sulla scala delle regioni e delle Province meridionali.
La popolazione meridionale - tra il '51 e il '76 - è aumentata complessivamente del 12 per cento. Ma il Molise, l'Abruzzo e la Basilicata sono andate indietro; mentre la popolazione calabrese è rimasta stazionaria. Nello stesso tempo gli abitanti del Centro-Nord sono aumentati del 22 per cento. Come mai? In effetti, il saldo naturale (differenza tra nascite e morti) è stato al Sud di oltre sei milioni e al Centro-Nord di quattro milioni. La risposta è nell'emigrazione: altri quattro milioni di meridionali sono stati costretti a lasciare la loro terra. E' calato ulteriormente il tasso di attività, giunto nelle regioni meridionali al 32 per cento. Lavora, cioé, meno di una persona su tre. Nello stesso arco di tempo globalmente considerato, gli occupati nel Sud sono scesi da 6,5 a 6 milioni: i due milioni in meno di addetti all'agricoltura non sono stati completamente rimpiazzati dall'aumento nei servizi (+ 1,1 milioni) e nell'industria (+ 465 mila). Nel '51 i disoccupati nel Mezzogiorno rappresentavano il 34 per cento del totale nazionale; oggi sono il 46 per cento.
A testimonianza del mancato superamento del divario Nord - Sud, obiettivo centrale dell'intervento straordinario, sta la riduzione, addirittura, della quota di reddito prodotta nel Mezzogiorno sul totale nazionale, che era del 24,1 per cento e si è ridotta al 23,7 per cento. Il reddito pro-capite è il 67 per cento della media italiana, con la punta minima della Calabria (55 per cento).
Secondo recentissimi studi regionali, prendendo come punto di riferimento la media nazionale del prodotto lordo per kmq., solo le province di Napoli e di Taranto (il 3 per cento della superficie meridionale) producono un reddito lordo sensibilmente superiore alla media italiana. E possono quindi considerarsi complessivamente sviluppate. Abbastanza sviluppate (perché con un prodotto lordo inferiore di non più del 25 per cento rispetto alla media nazionale) si considerano le province di Caserta, Catania, Bari, Lecce, Brindisi, Palermo, Siracusa, Messina, Pescara: il 22,4 per cento della superficie meridionale.
In via di sviluppo (con un prodotto inferiore di non più del 50 per cento della media italiana) le province di Salerno, Trapani, Ragusa, Chieti, Teramo, Reggio Calabria: il 13,6 per cento della superficie meridionale.
Ancora sottosviluppate, infine, le restanti 17 province, con un prodotto lordo inferiore al 50 per cento del valore medio nazionale. Il sottosviluppo, così misurato, coprirebbe quindi il 61 per cento dell'area meridionale.
Va sottolineato che questi calcoli su base provinciale coprono ampie situazioni di sottosviluppo presenti nelle province più o meno sviluppate. IL significativo che lo stesso tipo di analisi condotta a livello regionale definisca sottosviluppata il 52 per cento della superficie meridionale. E' chiaro quindi che un'analisi sub-provinciale aumenterebbe ancora l'area del sottosviluppo, concentrando ulteriormente lo sviluppo.
Dove va, dunque, il Mezzogiorno degli anni '80?
Sul banco degli accusati, la politica dell'intervento straordinario e i caratteri del processo di industrializzazione. In una vivace polemica giornalistica, si è puntato l'indice contro i costi eccessivi e i risultati striminziti della politica di industrializzazione fondata sui grandi impianti di base. Ed è stato rilanciato l'intreccio agricoltura-turismo-piccola e media industria, sull'onda di analisi condotte anni fa da Vera Lutz e da Einaudi. Altri, invece, hanno rivendicato la positività della formazione di un settore produttivo importante nel Sud, sia pur fondato sui grandi impianti siderurgici e petrolchimici: sviluppo senza occupazione e lotta tra il grande capitale privato e le partecipazioni statali, impegnate a fondare con i cospicui investimenti degli ultimi anni la base della loro espansione industriale proprio nelle regioni del Mezzogiorno. Per altri ancora, non si tratta di lotta tra industria privata e imprese pubbliche, ma di una strategia comune, con un'accorta distribuzione delle parti. Ormai superata la linea di sviluppo industriale fondata sulle grandi imprese siderurgiche e petrolchimiche, si tratta di rilanciare una nuova strategia di industrializzazione collegata con la trasformazione delle parti arretrate dell'economia meridionale (agricoltura, edilizia, comparti del terziario, pubblica amministrazione).
D'altra parte, l'arretratezza dell'agricoltura meridionale si riferisce oggi alle aree interne, mentre in pieno sviluppo sono le aziende nelle aree di pianura. Non si tratta quindi di guardare a un generico sviluppo dell'agricoltura o di rilanciare impossibili ritorni alla natura. Si tratta, invece, di un complesso problema di riequilibrio territoriale, che nelle zone interne deve puntare allo sviluppo del settore agricolo insieme a quello di altri settori economici e dei servizi.
Sul Sud degli anni '80 il dibattito, dunque, è aperto: assistenza-sviluppo; quale assistenza, quale sviluppo? Non si aspettano solo risposte, né qualche soluzione. Si aspettano soluzioni.

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