L'altra faccia della lira




Vittorio A. Stagno



Avremo o non avremo per il 1980 un disavanzo della bilancia dei pagamenti correnti? Che cosa succederà della lira nei confronti del dollaro e delle monete europee? Queste domande siamo costretti a farcele ogni giorno, per modificare le risposte che avevamo dato il giorno precedente.
Perciò, più che fare previsioni, cerchiamo di soffermarci su qualche fundamental. Ogni problema di politica economica ha, inevitabilmente, le sue due facce. Una soluzione che sembra sistemare una faccia del problema finisce con il peggiorare ciò che è inciso sul risvolto.
Così, per l'avanzo o il disavanzo della bilancia dei pagamenti correnti. Un avanzo o quanto meno un pareggio vengono considerati risultati necessari per il mantenimento del valore esterno, e quindi anche interno, della moneta. E questo è vero. Non dover ricorrere all'indebitamento estero per coprire il disavanzo, addirittura poter restituire anticipatamente i debiti esistenti, costituisce un importante grado di libertà per la politica del Paese. Ma qual'è l'altra faccia? E' che un disavanzo nella bilancia dei pagamenti correnti consente di trasferire risorse reali dagli altri Paesi al nostro; e che un avanzo, invece, mette a disposizione di altri Paesi, per consumi o per investimenti, risorse prodotte da noi. Se nel 1978 il surplus è stato pari al 2,4 per cento del prodotto interno lordo, ciò significa che altrettanto non è stato disponibile per i consumi e per gli investimenti interni. E il surplus della bilancia dei pagamenti correnti è solo la parte emersa delle risorse reali che trasferiamo all'estero. Vi sono anche le esportazioni di impianti, finanziate con i nostri prestiti; peggio ancora, vi è la grave imposta che dobbiamo pagare all'estero per la politica agricola comunitaria.
Se l'Italia deve accrescere la sua disponibilità di risorse reali per non comprimere troppo i consumi interni e per accelerare gli investimenti produttivi e sociali, non ha che una possibilità: fare affluire capitali dall'estero, (questa è la frase comunemente usata). Ma si badi bene: nel senso prima detto, i capitali non affluiscono se non quando vanno a finanziare un disavanzo della bilancia delle partite correnti, provocato dalla maggiore importazione di beni e servizi. Se ciò non avviene e se i capitali ottenuti dall'estero vanno ad aumentare le riserve valutarie, aumentano le risorse che il nostro Paese mette a disposizione degli altri. Non si può certo essere orgogliosi di ripetere cose così ovvie. Ma, ad esempio, in tutto il dibattito per il trasferimento di risorse reali dagli altri Paesi della CEE verso il nostro (e, ultimamente, nel dibattito per l'adesione dell'Italia allo SME) i nostri maggiori rappresentanti insistevano per avere maggiori aiuti reali comunitari, e nello stesso tempo assicuravano che la nostra bilancia dei pagamenti correnti si sarebbe mantenuta in attivo, anche per restituire anticipatamente i prestiti esteri. Per questo dobbiamo portare in disavanzo i nostri pagamenti correnti? Sarebbe una soluzione troppo facile. Se vogliamo poter disporre di maggiori risorse reali dall'estero, dobbiamo metterci in grado di utilizzare economicamente quelle risorse, come dobbiamo utilizzare più economicamente tutte quelle di cui già disponiamo. Se ci riusciremo, potremo occuparci molto meno del risultato delle partite correnti della bilancia dei pagamenti: non mancherà mai la possibilità di finanziare un disavanzo per un Paese che cresce, che sa mettere a frutto le risorse di cui può disporre. Un disavanzo coperto da finanziamenti esteri che rafforzano l'economia non determina una perdita di potere d'acquisto esterno della moneta.
La lira deve o non deve essere svalutata? L'ampia discussione pubblica sul tema (e poi in buona parte superata dagli eventi) è sembrata soprattutto un deviante esercizio di dietrologia per la ricerca e l'incriminazione degli iscritti al partito dell'inflazione. A questo non abbiamo da aggiungere altro se non che, se i costi di produzione in lire continuano ad aumentare del 20 per cento all'anno, mentre negli altri Paesi aumentano a un tasso inferiore ai 5 o ai 10 o ai 15 punti, presto o tardi la lira dovrà essere svalutata; e non ci sarà alcun marchingegno di politica monetaria che potrà evitarlo. Constatare quest'altro fundamental non vuol dire certo essere contenti della previsione di una svalutazione inevitabile.
Anche qui c'è l'altra faccia. Una svalutazione della lira frena le importazioni e aumenta le esportazioni e il turismo attivo, però aumenta anche i prezzi in lire di tutto ciò che si deve importare. D'altra parte, ed è ancora un'altra faccia, è proprio l'aumento dei prezzi in lire delle merci importate che può aiutare a contenere il consumo. Comunque, per giudicare se la lira debba essere svalutata, non si può guardare al passato o al presente, ma occorre guardare al futuro. Se si deve prevedere per gli anni futuri un elevato differenziale di inflazione fra l'Italia e i suoi maggiori partners commerciali, sarebbe bene condurre una prudente politica di svalutazione guidata, per poter evitare in seguito una più massiccia e incontrollabile svalutazione.
Qualcuno dice: le esportazioni tengono e gli industriali conseguono alti profitti nelle loro vendite all'estero, possono così mantenere le quantità e vorrà dire solo che guadagneranno qualcosa di meno. L'industriale, senza sua colpa, sta creando ulteriori confusioni. Le esportazioni che gli possono essere attribuite non possono superare un quinto delle esportazioni totali italiane. E, nel complesso, piccoli, medi e grandi (chi più, chi meno) faticano moltissimo per mantenere le quantità e i prezzi all'esportazione. La rigidità interna della produzione costringe a vendere all'estero con margini (quando ci sono) semplicemente ridicoli rispetto a quelli dei concorrenti stranieri.
Quando si esporta senza adeguati profitti, è come se regalassimo all'estero una parte dei nostri impianti di produzione. Ma anche ammesso che i margini ci fossero, e fossero abbondanti, ridurli significherebbe peggiorare le ragioni di scambio reali del nostro Paese, e anche questo presto o tardi provocherà una spinta per la svalutazione della lira. Insomma, l'altra faccia del profitti dell'industriale è che con essi vendiamo meglio all'estero i prodotti del nostro lavoro.
Il partito vero della svalutazione è quello di quanti non vogliono riconoscere o non vogliono far sapere che, con un'inflazione interna tanto più elevata di quella degli altri Paesi, il cambio della lira dovrà necessariamente peggiorare.
La lira nello SME, nel primo anno del suo funzionamento, ha avuto certamente una buona tenuta. Ma l'altra faccia della medaglia è stata una sostanziale perdita di competitività. Credo che la maggioranza delle imprese italiane abbia oggi un ricavo in lire dalle vendite all'estero apprezzabilmente inferiore a quello delle corrispondenti vendite in Italia. Lo SME ha anche un'ulteriore faccia: i maggiori Paesi continuano a svolgere la loro politica monetaria internazionale sulla base di considerazioni nazionali. Così, oggi, la Germania Federale, con un 'inversione completa di rotta, si preoccupa di evitare la svalutazione del marco sul dollaro, che si va rafforzando. Ma l'azione della RFT condiziona tutte le altre monete partecipanti allo SME. E la difesa della parità del marco, e quindi dello SME, con il dollaro non ci pare proprio che possa essere giustificata dalle regole del giuoco del Sistema Monetario Europeo.

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