La roulette dell'inflazione




Franco Rolandi



Fino al termine degli Anni Settanta il controllo dell'economia mondiale era saldamente nelle mani dei governi e delle autorità monetarie dei principali Paesi industriali. Poi il sistema è saltato e a poco a poco l'iniziativa è passata al mercato con tutte le incongruenze e le deviazioni che ne derivano. Oggi si può affermare che trattare di economia e di monete è come giocare alla roulette. Nonostante i "pacchetti" di misure anti-inflazionistiche, i piani di stabilizzazione, gli accordi internazionali, i politici in realtà sono costretti a giocare solo di rimessa. Circolano ormai nel mondo, incontrollati e incontrollabili, immensi capitali che in caso di rapidi spostamenti hanno la forza di sconvolgere qualsiasi intervento delle autorità monetarie.
Queste ultime, poi, devono far bene attenzione a non strangolare eccessivamente l'economia dei singoli Paesi, perché una troppo brusca e incisiva inversione di tendenza potrebbe provocare una rovinosa deflazione e l'"avvitamento" del sistema produttivo. A questo drammatico quadro non possono sottrarsi neanche i Paesi dell'Est, che sono direttamente o indirettamente coinvolti nelle vicissitudini congiunturali dell'Occidente. E' forse la prima volta nella storia moderna che il mondo intero soffre del mal d'inflazione: il che finisce col ridurre sensibilmente le possibilità di intervento tonificatore. Dopo una febbrile attesa, gli Stati Uniti hanno annunciato la loro strategia antinflazionistica: oltre ad una tassa sul petrolio importato e ad una serie di riduzioni negli stanziamenti di bilancio per riportarlo in pareggio, eliminando il previsto deficit di una quindicina di miliardi di dollari, lo sforzo maggiore sarà concentrato nel settore creditizio e monetario. In pratica, fatta eccezione per i comparti auto e casa, l'accesso ai finanziamenti diventerà più difficile e il denaro costerà ancora di più, arrivando o addirittura superando il lunare tetto del 20 per cento. Ciò ha già provocato un terremoto sui mercati valutari internazionali e un'inversione di tendenza sul cambio del dollaro nei confronti delle altre monete. Un dollaro molto forte significa pericolo di tempesta nei Paesi industriali, soprattutto trasformatori, come Giappone, Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia. Infatti, le materie prime importate - petrolio greggio in prima linea - sono conteggiate in gran parte in dollari, il che causa un aumento dei costi che solo in modesta misura possono essere trasferiti sui prezzi e anche in questo caso con il pericolo di dare ulteriore alimento alla spirale infiazionistica.
In simili condizioni, il prezzo-base di vendita del petrolio non dovrebbe subire altri aumenti da parte dei Paesi produttori: anzi, se la tendenza dovesse continuare, sarebbe necessario esaminare l'eventualità di una diminuzione. E' una riflessione utopistica? Può darsi, ma qualche volta anche le utopie si possono trasformare in realtà.


In una situazione tanto aleatoria da sfiorare il gioco d'azzardo cresce l'affanno in Italia, che è il più fragile e vulnerabile fra i Paesi industriali. Come è noto, una larga fetta della nostra attività economica dipende dall'interscambio con l'estero e quanto avviene oltre i nostri confini ci tocca sempre molto da vicino: il rialzo del dollaro riduce la competitività ed è destinato a pesare sulla nostra bilancia commerciale e su quella dei pagamenti. Per questo motivo, è necessario snellire e rendere più efficienti le strutture che sono a monte dell'attività economica.
Siamo su questa strada? Si direbbe proprio di no. In una così delicata congiuntura internazionale, da noi non esiste un Governo che governi, un Parlamento che sia in grado di affrontare gli eventi che si susseguono con un crescendo impressionante, una Confindustria che abbia in pugno la situazione interna, dei Sindacati che sappiano distaccarsi da quel populismo e garantismo che, dopo i primi successi, hanno impastoiato il sistema e fatto precipitare la produttività. Inoltre, il più delicato congegno per un'economia di mercato moderna, quello bancario, è attaccato da molte parti per faide politiche che poco hanno a che vedere con il più autentico ruolo che (al di là di comportamenti singoli, al vaglio della Magistratura) esso svolge correttamente.

La Banca d'Italia, nonostante le ferite riportate quando si tentò di scatenare sulla sua testa una campagna scandalistica priva di fondamento, ha mostrato di non aver perso il controllo della situazione e manovra in modo da non soffocare l'attività produttiva, cercando nel medesimo tempo di contrastare i movimenti speculativi sulla lira. E' per questo che, anziché aumentare ancora una volta il tasso di sconto, sta procedendo a rendere il più rigido possibile quel "tetto" sull'erogazione del credito da parte delle Banche che in questo momento, a giudizio di validi economisti, è più utile che mai. Non può però impedire che, via via che passano i mesi, diventi problematico il collocamento di ingentissimi quantitativi di titoli di Stato (Bot, Cct, Btp), che sono destinati a coprire il disavanzo pubblico, il male oscuro che affligge il nostro Paese e che potrebbe provocare, continuando in questo modo, il collasso dello Stato e la nostra emarginazione dal consesso delle nazioni industriali.
E tuttavia, quello che stupisce noi, e soprattutto gli osservatori stranieri, è come il Paese, in mezzo a tanti scogli, tempeste e avversità, "tenga" ancora, soddisfacentemente. E' questo il segno della speranza che gli italiani ancora covano nel profondo: la possibilità di un'uscita dal tunnel e di un ritorno alla luce c'è, nonostante tutto.


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