Piccole e medie imprese nella Comunità Europea




Francesco Parrillo



L'anno 1979 è stato, a giusto titolo, definito l'anno dell'Europa, perché caratterizzato da tre eventi politici che avrebbero dovuto far compiere un decisivo salto di qualità al processo d'integrazione europea: la creazione di un'area di maggiore stabilità monetaria attraverso lo Sme; il perfezionamento del trattato di adesione con la Grecia; l'elezione a suffragio universale del nuovo Parlamento europeo. Ora, c'è da chiedersi se l'impatto pplitico di questi tre grandi avvenimenti abbia determinato apprezzabili e sostanziali conseguenze sul piano economico e sociale della Cee. Si è ben consapevoli che non è possibile esprimere, dato il breve tempo trascorso, che impressioni e giudizi interlocutori sulla portata e sui primi effetti di tali eventi; tuttavia, vien fatto di osservare che lo Sme, pur avendo dato buona prova nei primi sei mesi di funzionamento, sta subendo il più severo collaudo dalla crisi del dollaro, che squassa tuttora l'economia occidentale con le sue crescite e cadute, e dal riaccendersi della crisi valutaria, che ha scatenato la febbre del l'oro.
Dopo l'infarto monetario del 15 agosto 1971, che ha colpito al cuore il sistema monetario internazionale, il mondo sta vivendo una serie di tempeste valutarie quasi istituzionalizzate; la fluttuazione delle monete, i cambi flessibili, la prima e' seconda crisi petrolifera, il diluvio di dollari che sta sommergendo il mondo - circa 1.000 miliardi fuori dai confini degli Usa - hanno determinato un'atmosfera d'incertezza e di insicurezza che si è riflessa sul commercio mondiale e sui mercati monetari e finanziari internazionali, destabilizzandoli continuamente. L'altalena del dollaro, la cui sovranità è stata costantemente scossa, l'aumento del prezzo del greggio e delle materie prime, la limitazione della loro disponibilità, hanno prodotto un vertiginoso aumento del prezzo dell'oro: questo residuato barbarico, secondo la colorita espressione di Keynes - destinato, a giudizio di Lenin a lastricare le latrine - è stato tutt'altro che detronizzato, perché esso, ancora oggi, come nel corso del secoli, rappresenta un "talismano contro la paura". In questo nuovo disordine monetario globale, lo Sme diventa davvero uno dei fatti più positivi della Cee. Tuttavia, potrà offrire garanzie adeguate e costituire una solida difesa solo se supererà effettivamente, come previsto, la sua attuale natura di accordo di cambio, e se sarà accompagnato da un reale trasferimento di risorse ai Paesi meno sviluppati e da un efficace coordinamento delle politiche economiche dei singoli Stati, realizzando senza indugio opportune intese con l'area del dollaro e dello yen.
L'adesione della Grecia, prologo dello spostarsi del baricentro della Cee dal nord verso il sud dell'Europa, è passata quasi inosservata, forse perché non sono facilmente individuabili gli aspetti che, nello sviluppo della Comunità, potrà determinare l'ingresso degli altri Paesi meridionali candidati all'adesione (Spagna e Portogallo).
Infine, per quanto riguarda il Parlamento europeo, grande è l'attesa che si mostri al livello delle speranze del suo elettorato, assumendo quella funzione di stimolo e di guida che è sempre stata la grande forza trainante di ogni Parlamento, espressione del suffragio diretto. L'ultimo Parlamento europeo talvolta ha assunto posizioni energiche, ad esempio in materia di politica regionale, nei confronti delle istituzioni della Comunità; e, pur non avendo né i poteri né la legittimità dell'investitura popolare, ha vinto il braccio di ferro con l'Esecutivo. Probabilmente i popoli europei si aspettano qualche cosa di più e di più organico, in senso costruttivo, dalla nuova legislatura.
D'altronde, come già avvenuto in precedenti circostanze, una specie di corso e ricorso storico, proprio nei momenti in cui l'Europa sembra destinata a decolli più qualitativi e fecondi, le sue realizzazioni e le sue capacità di progresso vengono ridimensionate e frenate dal sopravvenire di fatti eccezionali esterni. Così dicasi per l'attuale grave crisi petrolifera e il forte raffreddamento della congiuntura economica internazionale, che hanno innescato anche nella Cee un pericoloso processo di inflazione e di ristagno, destinato a incidere negativamente sui tassi di crescita e sui livelli di occupazione, già preoccupanti.
Secondo l'Ocse, la crisi petrolifera avrà l'effetto di determinare un tasso d'inflazione - la stink inflation, l'inflazione maleolente - nell'economia occidentale del 10% circa durante il 1980. Il Pil, fino alla metà dell'anno, non si svilupperà che di uno striminzito 2%, un tasso lontano dal 4,5% indicato come necessario per non aggravare l'occupazione, e minore di quasi un punto rispetto a quello ipotizzato prima delle decisioni dell'Opec. Infine, il deficit delle bilance dei pagamenti correnti sarà dell'ordine di 40 miliardi di dollari, il doppio di quello inizialmente previsto.
Nel sistema economico occidentale è in corso un grande processo di trasformazione. In taluni Paesi più avanzati, come negli Usa, più del 71% del totale degli occupati, nel 1978, operava nel settore terziario; questa cifra dà la misura di un fenomeno che in Europa è ancora strisciante: l'avvio di un vasto processo di deindustrializzazione sotto molti aspetti analogo a quello della deruralizzazione che è stato tipico delle strutture nord-americane fra il 1910 e il 1930 e delle strutture europee fra il 1940 e il 1960. E molto probabile, dunque, che la prossima generazione sia interessata in larghissima misura al deflusso dall'industria al settore terziario; questo esodo, che per dimensioni sarà forse ancora più grande di quello che si è verificato dall'agricoltura, appare favorito sia da fattori tecnologici, sia dall'insorgere di forti motivazioni psicologiche, quali la disaffezione al lavoro ripetitivo e alle catene di montaggio, il crescente disagio sociale nei grandi organismi industriali, dovuto anche al problema delle massicce urbanizzazioni che hanno caratterizzato questa fase dello sviluppo.
In realtà, al di là di queste trasformazioni, quella che emerge è la crisi delle organizzazioni complesse. Così come le grandi metropoli sono divenute sempre più ingovernabili, altrettanto sta accadendo per le altre strutture complesse, come le istituzioni assistenziali; economiche, come le macro - imprese industriali, pubbliche e private; politiche, come le istituzioni amministrative centrali, che appaiono sempre. più rette sull'equilibrio della cristallizzazione e non dell'evoluzione.
I sociologi, da qualche tempo, stanno richiamando l'attenzione degli studiosi e degli operatori sulla riscoperta della dimensione umana, sulla progressiva tendenza del collettivo ad essere a misura d'uomo. Ciò che, spesso superficialmente, viene chiamato riflusso, è in realtà la reazione all'incomunicabilità e spesso all'ingovernabilità dei grandi sistemi che, di fatto, hanno sacrificato le libertà individuali e la qualità della vita con grandi costi e dubbi vantaggi, se si pensa alle grandi tensioni sociali, ambientali, politiche che essi hanno generato. In questo contesto, il ruolo determinante delle piccole e medie imprese va emergendo e consolidandosi. Non solo queste imprese costituiscono il tessuto connettivo del sistema industriale europeo, ma addirittura possono servire da parametro dell'efficienza di taluni sistemi di governo dell'economia. Troppo a lungo il dialogo sullo sviluppo si è svolto fra i governi e le grandi imprese, privilegiandole. Questo vale per la definizione delle politiche settoriali nazionali, per la dislocazione degli incentivi, per la formazione professionale e per i rapporti con i sindacati, come se il "tono" delle strutture economiche non fosse offerto dalla pluralità degli operatori, ma dalle punte dell'iceberg dei grandi complessi industriali.
La flessibilità delle piccole e medie imprese, la loro capacità di adeguarsi ai mutamenti del mercato, la loro duttilità nel l'identificarsi con gli assetti territoriali sui quali insistono, la relativa rapidità con la quale sono in grado di seguire le trasformazioni tecnologiche e, in taluni casi, la loro grande capacità di innovazione, paragonata alla spesso frustrante immobilità dei grandi complessi, troppo condizionati dalle dimensioni in cui operano, costituiscono la misura dell'efficienza del sistema delle piccole e medie imprese. L'affermazione e la riscoperta di questo meraviglioso "arcipelago", riserva di valori e di talenti, autentica via di salvezza di comunità ed economie, frequentemente insidiate e destabilizzate da ristagno ed inflazione, è al centro dell'interesse di parlamenti e di governi, e dovrebbe costituire la base, l'ispirazione di provvedimenti di politica economica. La stretta implicazione che deriva, anche nell'àmbito comunitario, è che occorre non solo valorizzare l'apporto che piccole e medie imprese possono dare allo sviluppo economico europeo e alle riconosciute esigenze di decentramento e di specializzazione produttiva, ma addirittura riflettere sull'opportunità di ripensare in termini del tutto diversi le politiche di incentivazione e di sviluppo industriale del Paesi della Cee, tenendo conto della realtà della crisi dei sistemi complessi e dell'importanza che, specialmente sotto il profilo delle esportazioni extra-comunitarie, hanno avuto e hanno settori tradizionalmente dominati da medi e minori organismi.
In questo generale ritorno ai valori dell'iniziativa individuale, nella riscoperta della validità dei micro-sistemi, nei quali la conflittualità socio-economica tende quasi a scomparire nella comune esigenza dello sviluppo, è essenziale garantire misure più snelle, più semplici, più adattabili ai mutevoli bisogni della vita economica del Paesi della Cee.

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