Occhio ai partner's




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Credo che proprio gli italiani, insieme ai tedesco-federali, siano i più convinti sostenitori dell'ingresso nella Comunità Economica Europea di greci, spagnoli e portoghesi. Che la CEE si allarghi comprendendo un numero maggiore di Paesi, può essere positivo: un'Europa comunitaria ampiamente rappresentativa, a livello mondiale, una volta o l'altra può diventare un interlocutore condizionante e ascoltato, con un'articolazione diversa rispetto al bipolarismo attuale. Ma, al di fuori del discorso politico (nel quale rientra anche quell'immenso polo-mercato rappresentato dalla Cina), restano problemi di carattere economico che coinvolgono interessi e tendenze del Mezzogiorno, la più vasta "area depressa" dell'Europa comunitaria. E questi interessi sono evidentemente lesi dall'ingresso nella CEE dei Paesi del bacino mediterraneo. Vediamo perché.
Chi è contrario all'integrazione europea, e chi - dopo gli entusiasmi antichi o recenti - è diventato tiepido ad una più attenta riflessione, ha lanciato la grande accusa: nei confronti delle regioni meridionali, l'Europa comunitaria rappresenta un'arma a doppio taglio. Se da una parte, attraverso organismi rappresentativi, giungono alle aree in via di sviluppo finanziamenti per investimenti (e tuttavia non tali da far "decollare" l'economia locale), dall'altra si è creato un sistema che rende o tenta di rendere "permanente" l'emigrazione meridionale, che inizialmente si è manifestata come rivolta silenziosa per la conquista di un posto di lavoro. In altre parole, chi era "temporaneamente" partito per l'estero, con l'intento di rientrare in Italia nel momento in cui avesse raggiunto uno status economico in grado di assicurargli l'auto sufficienza o comunque una capacità minima di investimento nella terra natale, si vede costretto a restare nei paesi di destinazione a causa della crisi permanente che investe il Mezzogiorno. L'emigrato non ha scampo: a meno che non voglia andare incontro a giorni incerti, deve restare fino alla fine del ciclo lavorativo, e dunque fino al primo giorno di pensionamento, oltrefrontiera.
Il dualismo dell'economia italiana, perpetuato attraverso un sistema che "rende" al Paese industriale, ma non rende al Paese agricolo, ha accresciuto la posizione di debolezza del Sud nei confronti di tutti i partners, vecchi e nuovi. In particolare, nei confronti dei nuovi venuti. Paesi a colture preminentemente mediterranee, Grecia, Spagna e Portogallo saranno accaniti concorrenti dell'agricoltura meridionale. E se il loro ingresso nella Comunità europea può favorire ampiamente le regioni del Nord, esportatrici di tecnologia, penalizzerà fortemente quelle meridionali, nelle quali leggi contraddittorie al limite del grottesco (premi per animali abbattuti e premi per animali nati; premi per piantagioni divelte e premi per analoghe piantagioni messe in impianto) hanno fatto dell'agricoltura una specie di corte dei miracoli, nella quale nessuno (o solo pochi espertissimi) riesce ad orientarsi. IL proprio di questi giorni il tentativo di privilegiare gli olii artificiali (di semi, margarine, ecc.) a danno dell'olio di oliva pregiato del Sud. E gli operatori meridionali sono anche in questo settore, come in quello del vino, in difficoltà.
Che cosa accadrà nel momento in cui avremo, come concorrenti, agricolture che costano poco (la manodopera è sottopagata, non è sindacalizzata, è diffusissima) e che potranno gettare sui mercati europei colture uguali alle nostre, a prezzi stracciati? Non erano sufficienti i privilegi accordati ai Paesi "associati", privilegi che hanno acuito la crisi del settore primario nel Sud. La penalizzazione dell'attività agricola, scarsamente appoggiata da quella trasformatrice, e ancora molto lontana dai ritmi del mondo industriale vero e proprio, si potrà trasformare in un tracollo senza precedenti. E in alternativa? La prospettiva del turismo vale per quel che è, un'attività tipicamente stagionale, a reddito concentrato in una sola fase dell'anno. L'ampliamento abnorme del tessuto industriale nel Sud è una pura utopia: perché le vocazioni territoriali non lo consentono, perché l'assorbimento di unità lavorative nei settori manifatturieri (che sono quelli che rendono di più e che offrono un maggior numero di posti di lavoro) è al limite della saturazione. Anzi, si ritiene che si registrerà un calo dell'occupazione settoriale nei prossimi anni. Occhio ai partners, dunque. Occorre predisporre sin da ora strumenti legislativi adeguati a proteggere l'agricoltura meridionale. E sarà necessario strutturarla in modo che, nel medio periodo, questa agricoltura esca dallo stato di assistenza e diventi concorrenziale in via autonoma. Diversamente, torneremo all'economia di rapina e di autoconsumo. E saranno tempi bui per tutto il Sud.

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