Giornali e giornalisti gallipolini dell'Ottocento




Domenico De Rossi



Nella prefazione di quel libro tanto interessante per la storia della cultura Salentina: "Giornali e giornalisti leccesi", Nicola Bernardini così scriveva: "Mettete nell'Italia Meridionale, in un centro abitato da cinquemila persone, un embrione di tipografia, anche di quelle tascabili, ecco 'creato imprescindibile' il bisogno di creare un giornale". E Gallipoli, dopo Lecce, come Taranto, Brindisi, Manduria, Maglie e Francavilla, sentì il bisogno di avere un giornale, dacché verso la metà dell'Ottocento, una tipografia sorse in città.
Già dal 1720 moltissime città italiane, pur separate dalla loro struttura politico-territoriale, avevano i loro giornali. Roma, agli inizi del secolo XIX aveva dei fogli semipolitici e semireligiosi, tra i quali un "Diario estero", trasformato poi col titolo più conveniente di "Diario di Roma"; ma il primo vero quotidiano, il "Banditore della verità", vide la luce nel 1798, al tempo della Repubblica Giacobina.
Lecce non aveva giornali, ma aveva giornalisti, e nel turbinoso 1799 Terra d'Otranto ebbe il suo organo nel "Monitore Repubblicano" di Napoli, che pubblicava corrispondenze salentine. I primi giornali di Napoli cominciarono ad aversi in provincia nel gennaio 1800, dacché incominciò a venire la posta da Napoli due volte la settimana; ma con la censura dell'11 gennaio 1803, la stampa napoletana fu sottoposta alla ingerenza della polizia, e nel Salento giornali non se ne ebbero più.
Nel maggio 1808, Lecce iniziò la pubblicazione del Giornale dell'Intendenza", che fu il primo giornale della provincia, benché fosse in realtà una raccolta di circolari governative, disposizioni di legge, comunicati dell'Intendenza (Prefettura, ecc.), che teneva però informati i cittadini di tutto ciò che in campo politico e amministrativo accadeva.
Poi vennero altri giornali, specie quelli del periodo risorgimentale, che la Tipografia Del Vecchio saltuariamente riusciva a stampare, eludendo la pesante censura del Sozy-Carafa e della sbirraglia borbonica.
Gallipoli non aveva giornali, ma aveva giornalisti di polso, i quali collaborarono con celati sinceri sensi di patriottismo nel "Poliorama pittoresco", nei periodi del 1843, 1848, 1859. Tra essi, ben noti il letterato Giuseppe Castiglione, l'archeologo Carlo Baldari, il canonico Nicola Maria Cataldi ed Agostino Cataldi. Dal maggio al luglio 1848 comparve in città un foglio costantemente quindicinale, scritto a penna ed impresso a calco: il "Tridente", foglio clandestino, compilato fra i "boschi d'Arneo" dai liberali (braccati ferocemente dalla polizia) Nicola Rocci-Cerasoli, Pasquale Riggio, Angelo Spirito ed Ercole Stasi di Presicce. I quattro "a mezzo di non poca moneta" inviavano corrieri a Napoli e a Lecce, dalle quali città venivano loro recapitate notizie del Comitato Liberale di Napoli e dal Circolo Patriottico di Lecce (1).
Dunque Gallipoli non aveva giornali ma dei fogli che si mandavano con i corrieri nel vasto circondario. Il vero e proprio giornale, d'indirizzo liberale, s'ebbe nel 1862: il"Gallo" fondato da Pasquale Riggio ma diretto da Emanuele Barba (Filomeno Alpimare come pseudonimo). Nel foglio comparvero saltuariamente articoli politici di Sigismondo Castromediano, di Bonaventura Mazzarella e di Oronzo De Donno di Maglie. Da tale epoca quel male necessario, come Ruggero Bonghi definì il giornalismo, venne espresso in Gallipoli nelle forme più impensate e contagiose. Beghe di classe e di partito, alle volte rancori personali, erano riportate in quei fogli, portavoci dell'uno o dell'altro partito che si disputavano il potere comunale.
Dopo il "Gallo", il "Corriere di Gallipoli", settimanale noto in quel periodo nel Capo di Leuca perché trattava, fra l'altro, affari commerciali, agricoli ed economici di tutto il circondario gallipolino. Visse non senza lode dal 19 novembre 1869 al 20 agosto 1870. Vi collaborarono Adele Lupo, scrittrice e poetessa di Casarano, Luigi Forcignanò, Emanuele Barba, Rosario Fontò e Fortunato Mosco. Direttore Nicola Cataldi.
Col "Galletto", altro settimanale rimasto celebre per le sue eleganti polemiche, compilato in prosecuzione del "Corriere di Gallipoli" dagli stessi redattori e da Gaetano De Rossi, nell'ottobre del 1870 si chiude il primo cielo di vita giornalistica gallipolina.
Con l'ingresso delle truppe nazionali in Roma, sorsero altri giornali politici, come l'"Araldo Gallipolino", diretto da Eduardo Forleo-Casalini (1872 - 1873), e nuovamente il "Gallo" nel 1875, questa volta in formato minuscolo, e e trattò affari comunali, amministrativi e commerciali fino a tutto il 1877, diretto dal Segretario Comunale Umberto Consiglio.
Con la crisi ministeriale del 18 marzo 1876, che portò la sinistra al potere con De Pretis e poi lo stesso Crispi col "trasformismo", anche il giornale e la vita politica della provincia subirono un mutamento. I giornali usciti in Gallipoli dopo il 1876 ebbero un programma di sinistra e repubblicano sempre, s'intende, conservando la nota commerciale.
Nel 1879, Luigi Forcignanò, liberale e scrittore fecondo, diede vita ad un nuovo "Corriere di Gallipoli", questa volta alquanto vivace, che, avendo visto la luce il 18 settembre, dopo un anno morì dando posto nel 1880 al "Popolo", foglio democratico ma altrettanto battagliero, che dopo poco tempo doveva diventare il portavoce del partito di Ravenna per la candidatura dell'on. Vischi.
Visse il giornale fino al 1916, dopo essere stato riesumato diverse volte. Un altro foglio seguì il "Popolo", nel 1881: il radicale "Lucifero" diretto da Nicola Patitari (Ippario Tarì), poeta dialettale di buon nome e polemista brillante. Il "Lucifero" ebbe appena due anni di vita, ma ciò bastò a mettere il campo politico cittadino a rumore: i suoi articoli, polemici e violenti, gli furono fatali.
Gli altri giornali posteriori al 1881 non furono altro che portavoce dei due partiti che si avversavano in quel tempo a Gallipoli (Senape e Ravenna): così la "Stregghia", diretto da Giuseppe Marzo (Pipinu), nato nel 1884 e durato sei mesi; così "Spartaco", organo del partito Senape che, nato nel 1887 con tendenze socialiste, fu quello che più si impose e visse fino al 1916. Lo "Spartaco" fu diretto nominalmente da Giovanni Coppola ma di fatto da Ernesto Barba. Collaborarono: per la pagina politica l'avv. Rodolfo D'Ambrosio di Taviano, i medici D'Amico e Vernaleone di Galatina, l'avv. Pepe di Lecce e i concittadini Eugenio Rossi, Andrea Pepe, Giuseppe Magno ed Ettore Perrella; collaboratori letterari furono il prete Francesco D'Elia e il prof. Luigi Bianchi.
Lo "Spartaco" fu un giornale di grande formato e di discreta veste tipografica. In opposizione allo "Spartaco", vennero fuori diversi periodici: il "Crivello" nel 1888, diretto da Peppino Marzo; l'"Argine" nel 1891, diretto dal medesimo; la "Gazzetta Gallipolina" nel 1893 ed ancora il "Popolo", che lanciava pungenti richiami politici con strascichi di polemiche, per le quali si scendeva spesso sul terreno.
Buoni articoli pubblicarono nel "Popolo", verso la fine, Alberto Laviano, Giovanni Ravenna e l'on. Antonio De Viti De Marco, che inviava corrispondenze da Roma.
Verso la fine del 1891 venne fuori, diretto da Ernesto Barba, "Mamma Sarena" che fu il primo giornale, illustrato dal pittore Giuseppe Forcignanò, a fare dell'umorismo di buona lega e quindi a farsi leggere con piacere. Redatto in dialetto, vi collaborarono Nicola Patitari (Ippazio Tarì), Carlo Stella (Cauro), Checco Leopizzi (lu ventri iancu), Vittorio Forcignanò (Rino Cagnof), Antonio Arlotta (Conte della Bocca) ed Andrea Pepe.
Il giornale cessò le pubblicazioni nel 1894, anno in cui il pittore Forcignanò emigrò in Francia e il Pepe a Milano, quale redattore del "Secolo" di quella città.
Tali giornali gallipolini, insieme a molti altri pubblicati a Lecce, in Puglia e in tutta Italia dal 1741 ai giorni nostri, fanno parte di una personale collezione, iniziata da mio nonno Gaetano De Rossi, continuata da mio padre e modestamente, ma con passione, ancora oggi da me.

NOTE
1) Tre copie del foglio sono gelosamente custodite nella mia collezione di antichi giornali. I quattro esuli liberali, erano amorevolmente ospitati nella masseria "Case Arse", di proprietà del barone Francesco Bozzi Colonna di Lecce.


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