§ Le ninne nanne per esempio

CONSIDERAZIONI SULLA CANZONE POPOLARE




Brizio Montinaro



Che cosa è rimasto dopo la grandinata di canzoni popolari che ha colpito l'Italia in questi ultimi anni attraverso i mezzi di comunicazione di massa: televisioni e radio, di Stato e private? Che cosa ha portato a riva, allo scoperto, la grande ondata di "operatori culturali" da quel mare profondo che è la cultura delle classi cosiddette subalterne?
Quali ripensamenti? Quale arricchimento culturale c'è stato per quel popolo d'italiani ascoltatori o anche solo per quell'altro popolo di italiani cantanti, ricercatori, appassionati, studiosi a vario titolo, che in questi ultimi anni hanno brulicato per le campagne d'Italia (il Sud, anche in questa circostanza, sempre il più colpito) con a tracolla registratori e altri strumenti, nuove armi di rapina? Sono solo alcune delle domande che oggi, dopo la tempesta, bisogna porsi per valutare, anche approssimativamente, quanto è accaduto in quest'ultimo decennio nell'ambito della cultura e, in particolare, della canzone popolare.
Dopo la "tempesta", dico; perché di tempesta improvvisa si è trattato. Tanto è vero che, come tutti i fenomeni atmosferici violenti, improvvisi ed abbondanti, ora è già finita o, almeno, pare sia ai suoi ultimi momenti.
La Rai-TV, infatti, dedica sempre meno spazio alla canzone popolare: "No, per carità, non se ne può più!". I discografici, che pure si sono non poco ingrassati con le "note tradizionali", oggi non producono più "perché il prodotto non va". Gruppi cosiddetti "folk" si sciolgono con la stessa facilità e leggerezza con cui si sono formati. Cantanti professionisti cambiano genere, trasformano lentamente la loro immagine pubblica di cantanti impegnati in ricerche e proposte di canti popolari, in cantanti jazz o pop.
Esaurito, secondo loro, il pozzo da cui hanno attinto, si improvvisano autori, cantautori con radici piantate nel campo delle note, dei generi e dei modi tradizionali. Ma i loro ultimi prodotti mostrano quanto non sia stata digerita la lezione della musica popolare, della cultura tradizionale in genere. Che dico digerita, forse neanche masticata. Cavalieri espertissimi balzano con grande agilità da un cavallo in corsa ad un altro. Ieri cavalcavano la moda del "folk" con annessi e connessi, oggi quella del "riflusso". La canzone popolare non rende più quattrini? La si abbandona. E' una macchina che non funziona più. Ma questo comportamento scopre le carte, a posteriori, a tutta la massa di impegnati dell'ultima ora che, bagnatisi nel populismo più desolante e nel qualunquismo di sinistra, hanno fatto della canzone popolare "canzone di protesta". Protesta senza forza, come si è rivelata, perché frettolosa. La vera forza contestativa della cultura popolare e, quindi anche della canzone, ai più è rimasta sconosciuta. E' rimasto sconosciuto tutto quel mondo diverso e separato, pure nei significati universali che riesce ad esprimere, e antitetico a quell'Italia ufficiale nella quale si ha sempre meno fiducia per il crollo di tante importanti istituzioni marcite sotto il peso politico di una classe dirigente sempre più inefficiente e stanca di governare, ma saldamente abbarbicata al potere con il quale si identifica.
C'è stata l'occasione di capire che cosa sta inaridendo le nostre coscienze e non l'abbiamo saputa cogliere per la fretta di consumare e di essere così "al passo con i tempi" e, naturalmente, con i Paesi, relativamente giovani, i "più industrializzati del mondo".
Noi, contadini da sempre; noi, che abbiamo vissuto, permettetemi di usare questa frase, nel "giardino d'Europa"! Abbiamo lasciato che trasformassero la nostra civiltà in quella dei consumi ed ora viviamo una crisi che non doveva essere la nostra e della quale non riusciamo ancora a comprendere l'enorme gravità.
Ma lasciamo ora da parte queste considerazioni, che potrebbero portarci lontano dal nostro seminato e che speriamo di riprendere in un'altra circostanza, per ritornare alla canzone popolare e a qualche considerazione che la riguardi.
Di essa quello che, nella migliore delle ipotesi, più di frequente si è sentito dire è che "è bella", che "ricorda i tempi in cui ..." e altre vaghezze di questo genere.
E' sfuggito in pieno il senso della sua funzione, la realtà contestativa che rappresenta.
Perché quanto ho detto finora non rimanga linguaggio criptico e misterioso, vago e "politico" proverò ora a dare qualche esempio concreto.
Tralascio volutamente tutti quei canti apertamente politici e di lavoro perché da sé parlano chiaro di lotte e proteste.
Prendiamo le ninne nanne, per esempio. Un genere che tutti conosciamo, la cui funzione palese è quella di far addormentare i bambini.
Ma parlare delle ninne nanne è un po' parlare di coloro che le cantano o che le cantavano: le mamme. Sulle mamme, certo, è stato detto tanto ed è difficile occuparsene senza cadere in pessimi luoghi comuni. Ma la mamma è anche una donna. Ed è una particolare figura di donna che emerge da un'analisi neanche troppo approfondita delle ninne nanne: la mamma-donna che è stata figlia-sposa-madre e madre di femmina nella nostra società che risulta, anche da questo tipo di canti, piuttosto maschilista.
Nascere, nel Sud, è stato quasi sempre un dramma, ma nascere femmina un dramma ancora più grande.
"Tanti auguri e figli maschi" si dice anche nel nostro Salento scongiurando la nascita di una femmina. E questo perché la donna generalmente non lavora e in più è una merce di scambio molto pericolosa possedendo in sé, con la verginità, un valore abbastanza deteriorabile: quello dell'onore, cui il maschio - figlio di altri attenta continuamente, mentre il maschiopadre di femmina continuamente deve difendere.
Ma anche di letti di rose e fiori, e di ricchi palazzi nei quali si riflette tutta la povertà di chi canta.
Dice una ninna nanna raccolta a Scorrano:

"Nazzu nnazzu nnazzu
ca è tantu beddu ce nde lu fazzu
In vitene le zitelle
se lu portane 'n palazzu".

Frequenti sono gli splendidi sogni per il futuro del bimbo come Una ninna nanna raccolta a Martano:

"Don don don
ce canònico è non do'
na pai na predechèssi
na scascèssi o pulpitò".

(Don don don / lo voglio vedere canonico / tanto bravo che quando va a predicare / possa sfondare il pulpito per la foga.) E ancora:

"None none none
nun è ommu ''bbàscia fore
è ommu cu stèscia a casa
fore cu manda 'nu servitore".

(No no no / non è uomo da andar fuori / è uomo da stare in casa / e da ordinare al servo di andar fuori per comandi). In questo genere di canti sono presenti anche motivi di imprecazione e sfogo non altrimenti permessi alle donne all'interno della società contadina tradizionale.

"Nella nella nella
ci te zziccu te minu 'n terra
te minu ventri susu
te lu mozzicu du musu".

(Nella nella nella / se ti prendo ti butto per terra / ti lancio per aria / e ti mordo la faccia).

Condizione della donna, della famiglia, funzione del maschio sono, come abbiamo visto in breve, temi notevoli che si deducono da questo tipo di canti ritenuti sempre di importanza relativa per l'analisi di una cultura che certo oggi andrebbe meno sbrigativamente liquidata.
Si trova più autentico femminismo in certe ninne nanne e canzoni popolari che in tutti gli slogan di tante arrabbiate al limite dell'isteria.
L'immagine che vien fuori dalle ninne nanne è quella di una donna che canalizza nel canto l'angoscia oscura che attanaglia lei quanto il resto della sua famiglia e l'antica paura, divenuta ormai atteggiamento esistenziale favorito da una condizione di povertà, per non smarrirsi in un orizzonte culturale e senza sbocco.
Spostare l'ottica, se non proprio rovesciare la lettura della ninna nanna è, per esempio, un elemento di novità che avrebbe dovuto portare tutto il gran cantare e scrivere che si è fatto in questi ultimi anni.
La ninna nanna: canto per il figlio; ma anche la ninna nanna: sfogo di una donna che proietta tacitamente le sue speranze, i suoi desideri, le sue necessità.
Valvola importante in tempi in cui la donna era in condizione subalterna, emarginata tra emarginati. Oggi questo tipo di canto si sta estinguendo: la donna parla ormai in forma diretta? Speriamo.
La nata femmina, quindi, al padre è quasi sempre sgradita. Anche perché bisogna lavorare sodo per farle una dote.
La donna nella cultura delle classi subalterne risulta completamente cosalizzata.
Nascere maschio, invece, è una vera fortuna. Ed è questa fortuna che è stata sempre cantata dalle mamme nelle ninne nanne.
Tra i molti testi che conosco, quelli in cui la madre, cantando, si rivolge con tenerezza alla figlia sono veramente pochi e comunque contengono spesso qualche frase di disprezzo per la donna.
In altre occasioni ho avuto modo di dire che nel Salento e in altre aree meridionali esiste, e tutt'altro che allo stato latente, un matriarcato silenzioso e operante ma solido. In una ninna nanna si dice:

"Ninìa ninìa ninìa
la mamma fimmena volìa
e lu tata masculeddu
cu lu porta alla fatìa ".

E un testo importante perché vi si trova sì enunciato tutto il dramma del salentino, e del meridionale in genere, che ha bisogno di braccia da lavoro, ma anche la sottile insinuazione della donna che vorrebbe una femmina non solo per essere aiutata nelle faccende domestiche, ma soprattutto per avere un'alleata minore nel patto matriarcale, nella silenziosa lotta quotidiana.
Un testo importante nel quale appare quasi enunciata una dichiarazione d'intenti del genitori. Un testo spartiacque, in teoria. La realtà ci dà invece una enorme quantità di canti che sono veri e propri inni ai figli. E non certo perché solo maschi sono nati, ma perché questi sono poi i più graditi.

"Ninìa ninìa ninìa
oles e mane eku ppedìa
ce a pèrnune ettù 'mbrò
'sa tto pedìmmu en ei tinò".

(Ninia ninia ninia / tutte le mamme hanno figli / e li portano qua fuori / ma come il mio non c'è nessuno.)

E' una ninna nanna diffusa nell'area grecanica alla quale fa eco questa, in dialetto romanzo, del leccese:

"Ninà ninà ninà
comu quistu nun ci n'ha
nu' qua e nu' fore Terra
mancu a Napuli ca è città".

Nelle ninne nanne si enumerano al bambino le difficoltà della vita quasi a prepararlo per un futuro che fin dalla nascita si prospetta tutt'altro che roseo. Esse evocano un mondo quasi sempre di fatica, di dolore, ma anche magico, fantastico, pieno di personaggi da favola: il Sonno visto come un dolce vecchio che scende dal monte a portare bene e serenità, i Santi, le Sante e le Madonne al servizio di tutte le mamme che le invocano per quietare i loro figli. Un mondo popolato di lupi che si mangiano le pecorelle:

"E nanna nanna nanna nannaredda
In lupu se mangiau la pecuredda ... ".


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