§ Taras

ALLA RICERCA DELLE ORIGINI




Luciano Milo



Vi sono sulla terra dei luoghi privilegiati, dei luoghi in cui la natura ha voluto concentrare tutti i fattori che invitano l'uomo a fermarsi, a crearsi una stabile dimora. Uno di questi luoghi ideali è laddove una sottile striscia di terra unisce e divide un grande golfo da un piccolo mare. Il golfo ed il mare dove sorgerà la città che i greci chiameranno Tàras ed i Romani Tarentus. Il golfo di Taranto ed il Mar Piccolo suo naturale e riparatissimo porto. Sin da quando il primitivo cacciatore neolitico comincerà ad affrontare il mare, ha inizio la frequentazione umana di quel luogo che ha ora il suggestivo nome di Scoglio del Tonno, stipite occidentale della porta tra i due mari. La ceramica di due sepolcreti ad inumazione ivi scoperti ci permette di attribuire queste prime tracce di insediamento umano alla fase finale del periodo caratterizzato dallo "stile di Diana" e cioè agli inizi del terzo millennio, nell'epoca che si indica come Neolitico superiore o recente. Si tratta di un flusso di ritorno: la civiltà di Serra d'Alto, nata in Puglia, si è estesa fino ad incontrare quella di Diana, nata in Sicilia e a Lipari; si è fusa con essa ed è ritornata nei luoghi delle sue antiche origini. Fa però ora parte di una unità culturale più vasta, che abbraccia tutta l'Italia Meridionale e che si prepara ad accogliere ed a rielaborare gli influssi che stanno scendendo dal Nord dell'Italia al seguito dei pastori portatori della cosiddetta "Civiltà Appenninica".
La civiltà neolitica sta sfumando in quella del rame e la Puglia si appresta a far da tramite all'incontro fra il mondo egeo, i suoi influssi orientali ed il mondo italico. Tale incontro, che caratterizzerà l'inizio dell'Era dei Metalli, è testimoniato, nei pressi di Taranto, negli scavi statigrafici eseguiti nell'antico abitato denominato Porto Perone, dal ritrovamento di materiali micenei riferibili alla prima fase della media Età del Bronzo, e cioè databili al XVI sec. a. C., commisti con bronzi e ceramiche "indigeni" riferibili allo stile appenninico. Lo strato più recente è invece sterile, testimoniando così l'abbandono del luogo, sembra a favore dello Scoglio del Tonno, ove è stato scoperto un abitato trincerato contenente ceramiche del XIV sec., miste a ceramiche con decorazione incisa di stile appenninico. Gli strati successivi, allo Scoglio dei Tonno, contengono materiali micenei del XIII e XII secolo insieme a ceramiche e bronzi del tipo "subappenninico", di stile analogo a quello che caratterizza in Italia Settentrionale l'Età del Bronzo recente. Tutti questi ritrovamenti ci forniscono la prova del primo contatti fra due popoli che avrebbero dato origine nei secoli successivi alla splendida civiltà della Magna Grecia. A questo punto si inseriscono nella realtà archeologica le prime testimonianze letterarie. I miti greci riferiti a quest'epoca, e riportati da Erodoto e da Dionigi d'Alicarnasso, altro non sono che l'eco dei viaggi che cretesi e micenei, e poi achei, ioni, focesi ecc. compirono in quei secoli lontani alla ricerca di metalli, di scambi commerciali, di sfogo demografico. Infatti, mentre le popolazioni neolitiche che si erano stanziate in regioni fertili per il clima e per l'estensione delle terre coltivabili avevano trovato in esse tutto lo spazio necessario alla propria naturale espansione, le prime popolazioni della Grecia, (Ioni, Eoli, Cretesi, ecc.), avevano trovato sì un clima favorevole, ma anche una terra avara, scarsa ed inoltre protesa sul mare verso la moltitudine delle isole egee. Tali condizioni avevano portato allo sviluppo precoce dell'arte marinara. I racconti di quei primi marinai si erano rivestiti di fantasia e, passando di bocca in bocca, diedero origine a quelli che noi chiamiamo miti. Così ad esempio i viaggi verso il Mar Nero alla ricerca dell'oro degli Urali portato dai popoli della steppa, daranno origine al mito di Giasone alla conquista del vello d'oro; le scorrerie verso il Mediterraneo orientale, con l'occupazione di Cipro e le incursioni dei "popoli del mare" persino contro l'Egitto, saranno ricordate negli annali del Faraone Ramsete 111; l'esplorazione del Mediterraneo occidentale originerà la storia della fuga di Dedalo e di Icaro da Creta e l'immortale Odissea di Ulisse itacense.
Per quanto riguarda in particolare la costa ionica della Puglia, narra Erodoto, (storie VII, 170) che: "tre generazioni prima della guerra di Troia, Minosse, giunto in Sicania alla ricerca di Dedalo, vi perì di morte violenta. I cretesi vennero allora con una grande flotta e assediarono la città di Cadmio. Fallito dopo cinque anni l'assedio, decisero di tornare in patria. Durante la navigazione furono sorpresi da una tempesta e naufragarono sulle coste japigee. Poichè le navi erano ormai inutilizzabili, decisero di fermarsi là ove erano sbarcati e fondarono la città di Iria. ... ".
A quest'epoca, a conferma delle fonti, appartengono la gran massa dei reperti degli abitati delle zone di Taranto: Scoglio del Tonno, Porto Perone, Torre Castelluccia. Non c'è dubbio che uomini provenienti dall'altra sponda dello Jonio abbiano posto piede in Puglia agli inizi del XVI secolo. Si trattava di uno stanziamento commerciale o di un dominio politico?
A questo quesito non siamo ancora in grado di rispondere compiutamente; ma occorre anzitutto chiarire che l'attuale concetto di colonia è diverso da quello della "colonia" romana e soprattutto da quello che i greci chiamavano "apoikia" e che si può interpretare come una "nuova casa" in qualche modo concettualmente simile al "ver sacrum", la "primavera sacra", termine con cui i popoli italici definivano la partenza dei giovani verso nuove terre.
Gli stanziamenti greci, all'origine semplici basi commerciali ("emporia"), si svilupparono poi in fondazioni coloniali vere e proprie, le "apoikiai" che comprendevano le città ed un tratto più o meno ampio del loro retroterra, senza però arrivare mai ad un completo controllo del territorio.
La modesta entità numerica delle migrazioni greche non permetteva una conquista militare, ma consentiva la fondazione di stabili basi di appoggio che consentivano il controllo delle rotte marittime, con lo stabilirsi di sicuri approdi di sosta e di rifornimento. Queste città rispettarono la frammentazione statale delle città di origine, alla quale ciascuna restò legata e dalla quale ciascuna si portò dietro, con gli indispensabili riti della fondazione sacra, gli dei, le leggi, le tradizioni artistiche, le amicizie e le rivalità.
Nello stesso periodo appaiono grandi mutamenti anche nella civiltà indigena. cambia la forma delle capanne che da piccole e circolari che erano nell'epoca precedente a Porto Perone, divengono rettangolari, lunghe fino a venti metri, con la copertura sorretta da tre file di pali, divise in più ambienti, con una larga banchina tutto intorno e con due focolari, uno in fondo alla casa e l'altro vicino all'uscita. Tale è la forma di un'abitazione scoperta allo Scoglio del Tonno, forse l'abitazione di un capo, ma comunque una casa già evoluta e rispecchiante una certa differenziazione sociale. Contemporaneamente, gli abitati si circondano di poderose mura a secco con bastioni e fossati, testimoni di un'epoca inquieta ed insicura. In Grecia si sta compiendo l'invasione del Dori. Gli scribi di Pilo, la città di Nestore in Messenia, sull'altra riva dello Jonio, annotano su tavolette di creta le disposizioni tattiche per la difesa. Proprio tali tavolette, cotte dall'incendio della città, ci faranno sapere che gli apprestamenti difensivi furono inutili e ci porteranno la testimonianza di quei lontani tragici avvenimenti. Le tavolette sono scritte in greco arcaico, in una scrittura sillabica chiamata "lineare B" per il modo in cui è tracciata sulla creta con uno stilo sottile, ed in contrapposizione al più antico ed ancora indecifrato "lineare A" di Creta. Furono ritrovate in grande quantità, oltre che a Pilo, anche a Cnosso nell'isola di Creta, a Micene, a Tirinto e altrove nella Grecia dell'epoca degli eroi omerici. La loro decifrazione intorno al 1950 ad opera di un architetto inglese, Michael Ventris, suscitò grande scalpore e innumerevoli contestazioni, ma quasi nessuno ormai rifiuta la geniale intuizione dell'appassionato inglese che scoperse in quei segni strani le prime testimonianze scritte della lingua greca.
Tornando ai villaggi della zona ove sarà Taranto, le ripercussioni di quanto è successo in Grecia non tardano a farsi sentire. In un'epoca che gli stili delle ceramiche ci permettono di datare alla fine del XII secolo, cessano le tracce della frequentazione micenea. I villaggi costieri vengono addirittura abbandonati a favore di un abitato posto più in alto, sulla collina di Saturo, forse per la posizione più munita e sicura o forse perché la cessazione dei traffici marittimi rende inutile e scomodo l'abitare sulla riva del mare. Si assiste in concomitanza ad una significativa variazione dei costumi furierari: al posto delle tombe a camera ad inumazione dell'epoca precedente, compaiono anche in Puglia le olle biconiche con coperchio a ciotola che contengono i resti degli incinerati, caratteristica di quella civiltà che chiamiamo "protovillanoviana". La mancanza di ceramiche di importazione dalla Grecia è subito surrogata da prodotti locali, torniti e dipinti, realizzati si può quasi dire in serie, con argilla depurata e decorati con disegni geometrici. Si stanno ponendo le basi che porteranno al sorgere delle città, il cui processo formativo è in atto in Puglia già durante il X secolo A.C. e si realizzerà pienamente nel corso del IX e VIII secolo con il sorgere di una cultura unitaria nazionale che caratterizzerà il periodo "villanoviano" all'inizio dell'Età del Ferro.
Dopo un lungo intervallo, riprende la frequentazione dello Scoglio del Tonno e di altre località della zona, come è testimoniato da un gruppo di vasi in stile "geometrico japigio" rinvenuti in un pozzo probabilmente votivo, scoperto a Borgo Nuovo di Taranto.
Gli abitati indigeni sono già quindi floridi ed importanti quando le genti laconiche, alla fine dell'VIII secolo, si presentano sulle coste della Puglia e riprendono le abitudini del loro avi. Questa volta però l'approdo non è pacifico e le genti japigie abbandonano precipitosamente lo Scoglio del Tonno, Torre Castelluccia ed anche Saturo per ritirarsi nell'interno, ove conserveranno la loro indipendenza etnica e politica fino alla conquista romana. La fondazione di Taranto da parte dei coloni greci viene fatta risalire da Eusebio al 706 A.C. e l'epoca è confermata dalla datazione delle più antiche tombe laconiche, ma è anche indubbio che la fondazione avvenne nel sito di un importante centro indigeno.
Il fondatore è tradizionalmente considerato Phalantos, condottiero dei Parteni ma, forse per giustificare moralmente l'occupazione, le fonti accennano ad un insediamento prelaconico fondato dall'eroe eponimo Tàras, figlio di Posidone, abitato da japigi e cretesi (Strabone, VI, citando Antioco ed Eforo).
L'arca occupata dai coloni greci è ben determinata dalle necropoli con corredi di vasi esclusivamente greci (Leporano, Pulsano, Carosino, Statte) poste ad arco intorno alla città. Quelle più lontane, invece, (Montemesola, Ginosa, Laterza) sono di carattere indigeno, anche se la presenza di qualche vaso greco è testimone degli scambi con i nuovi venuti.
Tutta la storia di Taranto, così come quella delle altre città della Magna Grecia, è intessuta di rapporti, ora pacifici ora cruenti, fra gli immigrati greci e l'elemento indigeno.
Intensi sono anche i rapporti con le altre colonie greche e con le città della Grecia classica. Una considerevole testimonianza della partecipazione da parte dei Greci Italioti alla vita della Madrepatria ci è data ^dalla tomba di un atleta databile al 500 a.C. scoperta a Taranto. In una camera formata da lastroni di pietra, era contenuto un sarcofago monolitico di pietra contornato da ben quattro anfore panatenaiche, premio ai vincitori delle gare che si svolgevano in Grecia in onore appunto della dea Athena.
Il dominio diretto di Taranto non sembra essersi esteso verso l'interno, nemmeno in epoche posteriori ma la sua influenza artistica e commerciale in tutta la regione pugliese fu notevolissima.
Non abbiamo notizie specifiche su quanto accade a Taranto nei secoli VII e VI a.C.; tuttavia la ricchezza della città è resa evidente dai corredi tombali, che ci hanno restituito vasi ed oggetti provenienti da tutta la Grecia e dalle isole. Ceramiche protocorinzie, corinzie, laconiche, attiche a figure nere, vasi di Samo, Rodi, Chio sono contenuti in tombe a fossa, a camera, a sarcofago disseminate in una vasta area posta all'interno dell'ampia cerchia di mura, ad oriente della penisola che divide il Mar Grande dal Mar Piccolo, ove sorgeva l'Acropoli.
Agli inizi del V secolo entrano in crisi i rapporti con i popoli dell'entroterra, Messapi e Peucezi, come è testimoniato da due donari eretti dai Tarantini a Delfi nei primi anni del secolo, a memoria delle vittorie ottenute su tali popoli. Ma sono vittorie precarie perché, nel 467 a.C., i Tarantini, alleati con Reggio, subiscono una grave sconfitta che provoca nelle due città la caduta del regime aristocratico e l'instaurazione di un regime democratico. La prima metà del IV secolo è dominata da un uomo politico di figura eccezionale: il filosofo pitagorico Archita, scienziato, stratego "autocrator" e capo della confederazione italiota che estendeva la sua influenza sino a Crotone e Napoli. Alla sua morte i tarantini sono costretti a chiedere aiuto ai mercenari greci e così, nella seconda metà del secolo, si succedono nella lotta contro Apuli e Lucani Archidamo di Sparta, Alessandro il Molosso d'Epiro, Cleonimo di Sparta.
All'inizio del III secolo i Lucani si alleano con Roma ed i Tarantini chiamano in aiuto Pirro, re dell'Epiro. Dopo le iniziali sconfitte di Eraclea e di Ascoli nel 279 a.C., che Pirro non seppe sfruttare, i Romani ottengono nel 276 una grande vittoria presso Maleventum e Pirro abbandona l'Italia.
Taranto non può resistere ancora per molto e nel 272 a.C. si arrende al console Sp. Carvilio Massimo. E una resa onorevole e Roma, con la consueta abilità politica di farsi amici i popoli vinti, concede a Taranto lo statuto di città federata e quindi una relativa indipendenza.
La fondazione nel 244 della colonia romana di Brindisi fa però perdere a Taranto, dopo l'influenza politica, anche quella economica; così, quando nel 213 Annibale giunge in Italia meridionale dopo aver percorso vittorioso tutta la Penisola, Taranto cerca la rivincita e si allea con i Cartaginesi.
La guarnigione romana si rifugia sull'Acropoli e resiste per cinque anni, fino a quando il Console Q. Fabio Massimo, sconfitti i Cartaginesi, riconquista Taranto nel 209 a.C.
La città ribelle viene stavolta duramente punita, privata delle sue ricchezze, di una parte del territorio e del diritto di battere moneta; conserva solo il suo carattere greco, lo statuto di città confederata e le, statue dei suoi "dei irati" (T. Livio XXVII, 16).
Termina così, dopo cinque secoli l'influenza politica della colonia spartana. Durerà invece ancora a lungo l'influenza culturale ed artistica, di cui è ancora oggi testimone l'enorme messe di reperti raccolti nel Museo, che è il vanto e l'orgoglio della Taranto moderna.
Le sculture, le ceramiche, la coroplastica, i gioielli, i bronzi contenuti nel più importante museo della Magna Grecia costituiscono per noi l'ultimo ed il più importante "Tesoro di Tàras".

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