Stele daunie




Romana Turchini



Due manifestazioni hanno portato alla ribalta l'eccezionale materiale archeologico, facendolo riemergere dalle segrete del Castello Svevo di Manfredonia: la prima, nel 1978, organizzata dall'Azienda di soggiorno e turismo, intitolata "Agricoltori preistorici del Tavoliere"; la seconda, alla fine del 1979, una mostra fotografica di estremo interesse, intitolata "Vita, culti e miti nella Puglia protostorica". Due occasioni eccellenti anche per proporre un tipo di turismo culturale che sia "di scoperta" della civiltà locale. Nei due casi considerati: le stele di Siponto, monumenti rinvenuti nella piana sipontina. Scrive Vincenzo d'Onofrio: "si tratta di oltre millecinquecento esemplari (tra integri e frammentari) di stele in pietra locale calcarea che costituiscono un vero e proprio "unicum" per la protostoria italiana. Il materiale (che copre un arco di tempo dal VII al VI sec. a. C.) è eccezionale per almeno due buoni motivi: in primo luogo non esistono reperti simili per ricchezza di temi decorativi e per omogeneità strutturale nelle culture coeve della nostra Penisola; in secondo luogo, le stele sipontine recano una complessa iconografìa che si rifà a miti e a situazioni che si ricollegano strettamente sia all'ambiente del Mediterraneo orientale che a quello dell'Europa centrale".
Appassionato studioso di queste manifestazioni della nostra protostoria, e generoso divulgatore della cultura che esprimono, oltre che sostenitore di iniziative volte alla loro valorizzazione e fruizione, attraverso la costruzione di un Museo che tutte le raccolga, D'Onofrio afferma che i soggetti delle scene figurali, se da un lato ci rappresentano episodi riferibili alla guerra di Troia, vista dalla parte troiana, ci mostrano anche eventi mitici in cui compaiono animali tipici di regioni centroeuropee (tra questi, ad esempio, l'alce, che fu presente sul Gargano solo in epoca paleolitica, quando quest'area era interessata dal clima freddo). Inoltre, prosegue l'Autore, sulle stele compaiono scene di combattimento di guerrieri che indossano un particolare elmo, il bucranio tricorne, in forma di testa bovina munita di tre corna: è questo un altro particolare che ci riporta ad un ambiente tipicamente centro-europeo. Tori a tre corna, infatti, sono conosciuti presso i popoli Celtici: i quali, com'è noto, erano stanziati prevalentemente a nord delle Alpi, nel corso del secondo millennio prima di Cristo, e attraverso le Alpi costituirono il gruppo etnico dei Liguri, e in seguito degli Umbri, connessi con gli Oschi.
E' fuori discussione, pertanto, il fatto che ci si trovi di fronte a reperti che testimoniano "la convergenza di elementi peculiari di culture diverse e geograficamente lontane tra loro"; culture che, incontrandosi attraverso avventurose migrazioni e fondendosi proprio nell'area pugliese del Gargano, ci rivelano "tutta una serie di nuovi rapporti delle genti italiche con le altre civiltà protostoriche".
L'epopea troiana, infatti, ci si manifesta non attraverso canoni codificati dalla tradizione mitografìca greca, quale ci è nota attraverso i poemi omerici: le stele sipontine ci offrono, e per la prima volta in assoluto, almeno fino a questo momento, un'Iliade nella quale non ci sono vinci tori, e nella quale il re troiano Priamo si presenta ad Achille non come vinto, ma appunto come un re in tutto il suo magnifico splendore.
La novità e l'importanza del materiale sipontino non si limitano a questi aspetti più appariscenti, sostiene D'Onofrio: infatti, questi splendidi monumenti ci restituiscono un patrimonio completamente perduto, salvo che in casi eccezionali: quello dell'"arte deperibile", della decorazione delle vesti e delle stoffe. Le stele sipontine (sembra ormai definitivamente accertato di destinazione funeraria e votiva) rappresentano il defunto nella sua veste ricamata, arricchita dagli ornamenti e - nel caso che si tratti di guerrieri
dalle armi. Dall'osservazione di queste "vesti" scolpite ci è quindi possibile risalire a tutta quella documentazione perduta, relativa all'arte della tessitura e del ricamo, alla lavorazione del cuoio, oltre che alle diverse fogge di vestimenti e di armi, quali neanche le pitture su vasi ci avevano tramandato.

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