Da Sud a Sud




Luigi C. Belli



Dovrebbero metterla tutta in vetrina. Roca è emblematica dell'abbandono non tanto per l'incuria delle genti salentine, quanto per le negligenza e neghittosità dello Stato. li mare ha sapore egeo, e il cielo si staglia - nitido, quando spira il grecale - con contorni precisi. Abbiamo visto un altro cielo come questo: a Sibari, sopra i ruderi che di anno in anno vengono riportati alla luce; a Crotone, malgrado le terribili ciminiere che, poi, formano l'unica vera area industriale calabrese: e qui, forse, la perfidia del progresso è in qualche modo giustificata; e. a Metaponto, sopra le splendide Tavole Palatine che già preannunciano, risalendo tra le calanche interne, verso i laghi di Monticchio e verso la piana che va oltre Maratea, l'altra pianura, bionda di messi, quella di Capaccio, con gli intatti templi di Paestum. Un cielo così è solo del Sud, giustifica il legame onfalico uomo-sole di cui hanno parlato narratori e poeti. Il cielo, ma anche la terra. Roca è - finora - un breve recinto archeologico. Ma d'una ricchezza e d'un fascino che sconvolgono. Le poderose mura messapiche, le tombe (accanto alle stesse mura); e poco discoste, le grotte e le classiche "strutture" calogeriane, ricordo vivente di indimenticate repressioni e persecuzioni; e ancora, nello stesso giro d'occhio, il castello di Maria d'Enghien, o meglio, le rovine di quello che fu un castello, che un giorno sembrava galleggiare sul mare e che oggi affonda nel mare, con il suo cumulo di interramenti e di macerie.
C'è, nel Salento, un meraviglioso itinerario: è il percorso delle pietre (la nostra è una civiltà che - è stato scritto - si esprime ancora, come in passato, nei termini di una splendida arte neolitica) che va dai dolmen ai menhir, dalle specchie (ove esistano ancora) alle grotte basiliane, alle chiese rurali, alle cattedrali, ai castelli e alle masserie fortificate, alle torri di vedetta, fino a giungere ai centri storici dei paesi che, frutto dell'architettura spontanea, sono ormai patrimonio dell'arte, del l'architettura e dell'urbanistica universali. Ebbene: registriamo lo scempio delle nostre periferie, ma non intravediamo un recupero, in tempi brevi o medi, dei nostro patrimonio artistico e paesaggistico. Spiriti e ingegni locali si battono per salvare il salvabile, ma lo Stato è lontano, (e la Regione anche). Cosa c'è nel sottosuolo di Cavallino? Chi scava nell'area di Ugento? Chi prosegue le ricerche nel territorio di Manduria? Chi salva Roca? Quella messapica fu una civiltà grande per lo meno quanto quella etrusca. Ha pagato due colpe: la lontananza da Roma, e dunque dal centro del mondo classico (quando il mondo era quasi esclusivamente l'Europa), e la "linea piemontese", o comunque settentrionale della storia, quale è stata sostenuta da uomini e Università per un lungo periodo di tempo. Come quella etrusca, enigmatica resta ancora la lingua messapica, che ha avuto nel francavillese Francesco Ribezzo lo studioso più attento. Più dell'etrusca, l'arte messapica ha dato esempi emblematici di una civiltà che ebbe contatti con popoli mediterranei. Vinti i Sanniti, Roma ebbe aperte le porte di Magna Grecia, e cancellò popoli e civiltà che -riscoperti - fanno parte dello "specchio autoctono". Oggi, i nuovi invasori sono gli speculatori edilizi. I tempi portano vari tradimenti, è legge antica. Ma che anche la coscienza dell'uomo rinunci ad alcuni dei suoi valori, e tra questi è senza dubbio la "lettura" delle proprie origini, è abnorme. Roca è lì, sotto il suo cielo smaltato, con una parte della sua storia affiorata, e sembra occhieggiare, voler emergere, per raccontare storie e miti.

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000