Lettere pugliesi del giacobino agrario




Anita Chemin Palma



Le sei lettere pugliesi di Tommaso Fiore nascono e si esauriscono nell'arco del biennio 1925 1 26. Dopo l'esperienza del fronte, quindi, con quanto di palingenetico e di rivoluzionario la guerra sembrò significare per una generazione di interventisti democratici. Dopo, anche e soprattutto l'esaltante esperienza del combattentismo, che almeno nelle sue frange più democratiche ereditò l'impulso innovatore e la volontà di partecipazione alla vita politica che si erano in qualche modo espresse nell'interventismo, e che per Fiore in particolare costituì un grosso impegno politico nella realtà locale che più gli era nota e vicina, Altamura. Ambedue questi momenti non furono secondari nel determinare in Fiore il superamento di un approccio "di denuncia" al problema del l'arretratezza meridionale per una definizione più precisa degli assi portanti del cambiamento che il Mezzogiorno esigeva e delle forze sociali sulle quali tale progetto avrebbe potuto reggersi. L'urgenza di uno sforzo per uscire da "schemi ( ... ) in cui il Mezzogiorno entra come quadro in una bella cornice" nei quali però "la figura è un pò di traverso", fossero tali cornici le proposte poco articolate di socializzazione della terra che provenivano da parte socialista o l'attenzione per il concreto possibile di stampo riformistico-liberale a cui finiva per sfuggire la dimensione complessiva, nazionale si dirà poi, della questione meridionale, si poneva a tutto lo schieramento democratico e a tutta la sinistra, a fronte della ormai evidente inadeguatezza della politica per il Sud vista sino allora. E' da una tale impostazione che nascono gli esiti più validi e, con le dovute mediazioni storiche, più attuali di "Un popolo di formiche". Non esaustive di tutte le zone geografiche della regione, piuttosto esaurienti, invece, rispetto alle diverse configurazioni e stratificazioni sociali, le lettere di Fiore sono l'ingrandimento fotografico di una realtà complessa di cui emergono la diversificazione in ceti sociali e soprattutto gli atteggiamenti mentali, le visioni politiche, i modi di vita variegati all'interno di quegli stessi ceti. I lavoratori dei cantieri di Taranto, la cui coscienza politica riverbera i sogni di una rivoluzione lontana, sono tanto diversi dai contadini murgiani, consci solo del l'inevitabilità del loro stenti, quanto la raffinata, intellettuale, laica nella sua cattolicità, borghesia leccese è diversa da quella borghesia "voltacasacca", diffusa un pò ovunque, in cui il fascismo ha trovato i suoi sostenitori. Per quanto vivacemente articolati, tuttavia, i ceti contadini e i ceti medi produttivi e intellettuali sono pure attualmente o potenzialmente disponibili per un'azione politica che sappia saldare queste forze, le forze più vive e progressive della regione, in un programma di riforma civile ed economica e di gestione autonoma della vita politica del Mezzogiorno. La valorizzazione delle capacità di autonomia delle realtà locali contro il soffocante centralismo statale e la trasformazione degli aspetti arretrati e reazionari della conduzione delle campagne da parte dei redditieri assenteisti sono le linee dell'azione di Fiore, nell'ipotesi politica che se della contrapposizione agrari/contadini il primo resta termine antagonistico, quello che un qualsiasi progetto innovatore non può non combattere perché "sede naturale della servitù economica e politica è la campagna, è la grande proprietà", il secondo, "contadini" sic et simpliciter, è inadeguato e deve ampliarsi ad esprimere l'ambito di tutte le forze sociali che per condizione economica e per scelta ideale possono costituire il nerbo di una politica di trasformazione del Mezzogiorno.
Fin qui l'analisi e la proposta; ma attraverso le maglie dell'elaborazione immediatamente politico-operativa emerge un'altra faccia di questa Puglia e dei primi anni di buio fascista, una Puglia dal viso scavato dal sole e dalla fatica, una Puglia contadina. Aspetto meno immediatamente politico, forse più ampiamente politico nello sforzo di penetrazione della mentalità, delle spinte vitali, delle disillusioni dei contadini di Puglia. La modernità di queste lettere sta nel loro andare al di là non solo dell'incomprensione delle condizioni di vita reali del Sud che per molto tempo segnò la politica della sinistra, ma anche del colorismo della mitica staticità e impenetrabilità della civiltà contadina, diversa forma della medesima incomprensione, quale si proponeva e si sarebbe proposto ancora per molti anni. Tutto questo non è casuale né gratuito, ma deriva dalla grande importanza che Fiore annetteva all'operare politico a contatto delle masse, dei cafoni, direttamente; non è semplice fratellanza politica, magari sincera e generosa, ma è base intellettuale e ideologica, è solidarietà umana, costruita su esperienze comuni: dalla guerra, combattuta sapendo che non si poteva "abbandonare i cafoni ad una prova cui non erano preparati", all'intensa attività politica in Puglia nel dopoguerra, al fascismo, nuova, violenta maschera del vecchio potere ancora una volta contro quei contadini che lavorano, stentano, sperano, esplodono come bocche di vulcano in rivolte improvvise e inutili per poi tornare sconfitti ad aspettare, che vivono, sullo sfondo della presenza non evidente ma continua dei grandi proprietari assenteisti e del loro "senso feticistico della proprietà, della proprietà a qualunque costo, della maggior proprietà possibile, nel quale si esaurisce ogni loro senso giuridico, pel quale ogni vessazione più sbalorditiva contro il contadino è legale e legittima".
Contadini di Puglia, dunque, in tre situazioni scelte nel vasto panorama economico della regione: Alberobello, Ginosa, la Murgia settentrionale.
I piccoli proprietari della zona dei trulli, il "popolo di formiche" testardo e paziente che ha scavato e raccolto in terrazze quasi grano a grano una terra "all'asciutto come il resto della Puglia e anche di più", che delle avversità naturali e storiche ha saputo fare le basi del suo progresso economico e civile: probabilmente è a questa laboriosità che Fiore pensava quando, poco ascoltato all'interno della sua stessa parte politica, ribadiva l'importanza per il contadino del Sud della terra, arida, magra, nemica, ma propria, da lavorare e veder migliorare giorno per giorno. Ma se qui una certa, sofferta armonia tra uomo e ambiente si è stabilita, così diversa è la situazione dove lavorare, e lavorare la terra, è una maledizione prima che un diritto: nel Metapontino, che sembra disfarsi in sabbia e palude, e nell'alta Murgia, desolata fin nei suoi colori selvatici e spenti, abbandonata dai proprietari allo sfruttamento maldestro degli affittuari e alla fame degli armenti, terre di braccianti e di piccolissimi proprietari, emarginati da qualsiasi tipo di vita moderna e civile non meno che da un paesaggio meno ostile, fissi nella speranza di possedere un pezzo di quella terra così disperante nella sua sterilità, fissi nel rancore verso il potere lontano, inattaccabile, secolare dei grandi possidenti.
La proiezione è dinamica da quello che i contadini sono in queste terre irrigate solo dal sole e dalla fatica, "muli riottosi, inconsci, mai pasciuti", schiacciati nella diffidenza dal contrasto stridente tra "la messianica fede nella giustizia, ben nascosta ma ben radicata nelle anfrattuosità più cupe delle loro anime", il massimo di idea politica a cui sappiano arrivare, parola così rozza e povera eppure così importante, e l'iniquità storica della loro situazione; a quello che sono in un contesto solo un pò diverso, la terra del' trulli, dove la lotta sfibrante per strappare una spanna di terra al seccume si è trasformata in laboriosità positiva, la miseria che unisce chi ne è afflitto in dignità civile, la disperazione della propria condizione in un'embrionale coscienza di sé; a quello, infine, appena immaginato e suggerito, che potrebbero dimostrare in fatto di coscienza politica, di capacità di autonomia, di possibilità di contare, finalmente, nella storia, se la loro forza vitale non fosse interamente assorbita dalla lotta quotidiana per spremere i frutti di una terra quanto mai ingrata.
Se analisi sociale e proposta politica possono essere stati superati dal mutare delle cose,. ciò che rende attuale la lettura di questo Fiore è la prospettiva, il saper immaginare il salto di qualità da una realtà ad un'altra più avanzata senza divaricazioni profonde, ma anzi recuperando il positivo, quanto a legami sociali e umani, a modi di vita, a cultura in senso lato, che pure vi era nella condizione precedente. Un metodo politico da riconsiderare soprattutto dopo che mezzo secolo di crescita economica, se ha visto la necessaria e imprescindibile industrializzazione del Sud, ha visto anche il determinarsi di strappi e lesioni nel tessuto sociale, in termini di abbandono delle campagne, di urbanizzazione selvaggia, di emigrazione, che proprio uno sviluppo incapace o non disposto a fare i conti con la realtà del Sud ha determinato.

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