EPIGRAMMI (2)




di Leonida da Taranto
tradotti da Giovanni francesco Romano



LI
(A.P. VI, 129 = 24 G.P.)

Otto scudi convessi ed oblunghi,
otto elmi, otto corazze ben tessute
e tante ancora spade insanguinate,
queste armi, strappate via ai Lucani,
o Atena Coryfasia,
ti dedicò - guerriero coraggioso -
Agnon, figlio di Euante.

LII
(A.P. VI, 131 = 25 G.P.)

Questi scudi quadrangolari oblunghi,
via tolti ai Lucani,
e questi freni in ordinata fila,
ti appartengono, o Pallade,
con lance a doppia punta, risplendenti,
di cavalli bramose e di guerrieri:
ma, questi, nera, li ingoiò la morte.

LIII
(A.P. VII, 283 = 63 G.P.)

O mare burrascoso,
perché, dopo che tanto ebbi a soffrire,
non mi sputasti
lontano dalla spiaggia desolata,
che più non fossi toccato da te,
io Fileo, figlio di Anfimene,
oppresso dalle tenebre dell'Ade?

LIV
(A.P. VII 266 = 61 G.P.)

Tomba sono del naufrago Diòcle,
ma ahi salpano essi, come audaci!,
da me, funesta, snodano le gomene.

LV
(A.P. VII, 503)

Peso a forma di stele,
qui sulla spiaggia argiva,
dimmi: chi opprimi? e figlio di chi? e donde?
Finton, figlio di Bàticle, da Ermìone:
in viaggio sotto Arturo tempestoso
lo inghiottirono, altissime, le ondate.

LVI
(A.P. VII, 163 = 70 G.P.)

- Di chi sei figlia, donna, chi sei tu che giaci sotto la stele di Paro?
- Io sono Prexo, figlia di Callìtele.
- E di dove? - Di Samo.
- E chi mai ti diede sepoltura?
- Teocrito: a lui mi donarono sposa babbo e mamma.
- E sei morta? - Di parto.
- Ad anni? - Ventidue.
- Senza figlioli, certo ...
- No: io lasciai Callìtele a tre anni.
- Che ti viva, e diventi vecchio assai.
- Anche a te, forestiero, dia la sorte tutte le cose belle.

LVII
(A.P. VII, 656 = 18 G.P.)

Saluta, o viandante,
la poca terra e il tumolo deserto
di Alcimène infelice. Anche celato
da rovi folti e ginepri pungenti,
il tumolo io ero di Alcimène.

LVIII
(A.P. VII, 655 = 17 G.P.)

Poca terra mi basta;
pesi stele maestosa
su altri già sepolto in grande sfarzo;
la stele! il peso che opprime i cadaveri.
Riconoscermi morto? Ma che importa
questo ad Alcandro, figlio di Callitele?

LIX
(A.P. VII, 740 = 75 G.P.)

Io pietra qui di Crèton dico il nome,
ma Crèton è già cenere sotterra.
Gareggiava in fortuna anche con Gige
un tempo, e possedeva molti buoi,
senza numero branchi anche di pecore;
e un tempo già ... Che più dico di lui?
Felice in tutto, ma di tanta terra,
ahi, quanto poco egli ha!

LX
(A.P. V, 188 = 92 G.P.)

Non sono ingiusto verso Amore, cara,
mi è testimone Cipride.
Colpito dal suo arco ingannatore,
sono già tutto cenere.
Scocca frecce su frecce arroventate,
nè si riposa un po' dallo scoccare.
Ma io, il mortale, tengo il malandrino
e, se il dio è mortale,
è. mi vendicherò:
sarò, me difendendo, accusatore.

LXI
(A.P. 307 = 90 G.P.)

Guarda il vecchio Anacreonte è inciampato
per l'ubriachezza e si tira il mantello
giù fino alle ginocchia; dei calzari,
uno lo tiene al piè, l'altro è perduto;
e canticchia grattando la testuggine:
- o Batillo o il bel Magisteo. -
Bada tu, Bacco, al vecchio, che non caschi!

LXII
(A.P. VII, 478 = 73 G.P.)

Chi mai sei tu? Di chi sono queste ossa,
misere, nella cassa mezzo aperta
a un lato della via? Contro la stele
raschia l'asse dei carri senza tregua
e già la ruota affonda nella fossa,
e ti frantumerà presto le costole:
mai più nessuno piangerà per te!

LXIII
(A.P. VI, 293 = 54 G.P.)

Questo bastone, o veneranda Cypris,
questi sandali, in voto,
preda al cinico Sòcari, e così
la bottiglia unta d'olio e quel che resta
d'una bisaccia tutta buchi, gonfia
della sapienza antica: ecco, il bel Rodon,
agguantato quel vecchio ultrasapiente,
nel vestibolo, a te,
adornato di fiori, li depose.

LXIV
(A.P. VII, 422 = 22 G.P.)

Che mai si può da noi congetturare
vedendo sulla tua tomba, o Pisistrato,
di Chio un dado che scolpito sta?
Che tu eri di Chio?
Può darsi; o che tu fosti un giocatore,
- e, bello mio, non guadagnasti troppo - ?
O questo non è vero, ma che tu
- ecco, ci siamo - in Chio puro annegasti?

LXV
(A.P. VII, 448 = 12 G.P.)

E' questo il monumento di Pratàlida,
il figlio di Licasto, che le cime
in amore conobbe ed in battaglia,
le cime anche nel tendere le reti
e nel batter danzando i piedi, in coro.
Sotterranei ... Cretesi, accanto a voi
ponete ad abitare questo cretese.

LXVI
(A. P. VVI, 449 = 13 G.P.)

A Pratàlida Eros
diè grazia di fanciullo, Artemis caccia,
danza la Musa, Ares battaglia.
Come non fortunato il figlio di Licasto,
che tanto in amore dominava
e in danza e nell'asta e in tender le reti?

LXVII
(A.P. VI, 281 = 44 G.P.)

Tu che proteggi il Dìndimo ed i colli
dell'arsa Frigia, Madre veneranda,
all'imeneo alleva e alle nozze
- limiti ansiosi della giovinezza -
Aristòdice, figlia di Silene.
Ecco, per te, più volte
davanti al tempio, vicino all'altare,
i bei capelli scosse di fanciulla.

LXVIII
(A.P. VII, 316 = 100 G.P.

Passa oltre la stele, che mi opprime,
non dirmi addio, non chiedermi chi sono,

nè di chi mai fui figlio,
o i( cammino non compiere che fai;
ma, anche se in silenzio oltre tu vai,
pure così, che tu non possa compierlo.

LXIX
(A.P. VII, 211 = 2 G.P.)

L'Eros d'argento e l'orlo che si modula
al malleolo d'intorno, e il nastro rosso
dei capelli acconciati come a Lesbo,
le stecche del seno cristalline
lo specchio di bronzo
il pettine di bosso
che i capelli irretisce, esaudita,
a te, Cypris di Cnosso,
negli altri tuoi consacra Callicleia.

LXX
(A.P. IX, 25 = 101 G.P.)

L'opera qui di Arato,
il dotto che le stelle senza tempo
descrisse - e le fisse e le vaganti -
con acuto intelletto, e pure i giri
per dove volge il cielo scintillante.
A lui lode, che svolse opera grande,
secondo dopo Giove,
egli, per cui più chiari ardono gli astri.

LXXI
(A P. VI, 200 = 38 G.P.)

O Ilizia, a te, vicino ai piedi santi,
disciolta ormai dalle doglie del parto,
Ambrosia pose i nastri dei capelli
e il peplo dentro cui sentì il suo ventre,
già nel decimo mese, liberare
frutto doppio di figli.

LXXII
(A.P. 190 = 81 G.P.)

Qui Mòrico, il pastore, ha collocato
me, Ermes, protettore delle capre,
rinomato custode delle greggi:
voi che sui monti vi saziate d'erba,
brucate il verde in pace: io, vi proteggo,
dimenticate il lupo violento.

LXXIII
(A.P. Lanudea 261)

Qui io, Priapo, sto custode, al bivio,
con ritta clava e dura fra le cosce:
così il fido Teocrito mi ha eretto;
via, lontano, briccone, se non vuoi
la durezza sentire del mio nerbo!

LXXIV
(A.P. 236 = 83 G.P.)

Qui sulla siepe di spini
collocò Dinomene me, Priamo,
per custodire agile i suoi cavoli.
Guarda, furfante, come sto ben saldo.
Tanta spesa, dirai per pochi cavoli?
Ma, sì, per pochi cavoli!

LXXV
(A.P. Vl, 334 = 3 G.P.)

O grotte, o colle sacro delle Ninfe,
e voi sotto la roccia, acque sorgive,
o pino presso le acque, e tu, Ermes,
figlio di Maia, su pietra quadrata,
guardiano delle pecore, e tu, Pane,
che il verde scoglio nutri per le capre,
accettate benigni le focacce
e il bicchiere colmo di vino,
doni di Neottòlemo Eacìde.

LXXVI
(A.P. IX, 329 = 6 G.P.)

Voi, Ninfe d'acqua, figlie di Doro,
irrigate con cura, premurose,
questo giardino di Timocle, ché
Timocle, il giardiniere,
dei frutti di stagione da questi orti,
fresche vergini, sempre vi fa dono.

LXXVII
(A.P. IX, 316 = 27 G.P.)

Voi che passate per questo sentiero,
o che moviate dal paese ai campi,
o che dai campi torniate al paese,
eccoci qui, custodi dei confini,
io Ermes, Eracle quello, servizievoli;
ma tra di noi ... Se offri mele crude,
sparite, prima ancora che tu le offra;
così pure col grappoli
- sia grappoli maturi, sia mischiati -
già belli e sistemati nel suo stomaco.
Beh, tale comunanza io la detesto!
Che piacere ne provo?
Chi offre alcunché, divida, e dica: Tieni
tu, Eracle, to' Ermes:
sciolga così ogni lite fra noi due.

LXXVIII
(A.P. VII, 657 = 19 G.P.)

Pastori che vivete solitari
sul dorso al monte pascolando capre
e pecorelle dalla bella lana,
per la Terra, accordate a me, Clitagora,
un favore gradito, pur se piccolo
- o amore di Persefone profonda! - :
le pecore mi belino e il pastore
suoni alle pascolanti la zampogna
con dolcezza sull'erba della roccia;
e, quando poi ritorni primavera,
colga fiori nei prati il campagnolo
e li intrecci a corona alla mia tomba.
Altri si bagni col latte di pecora
dagli agnelli graziosi,
poi, sollevando la mammella gonfia,
munga e mi irrori il tumolo alla base.
Sì, ci sono dei morti, anche dai morti
ricambiare si possono le grazie.

LXXIX
(A.P. IX, 744 = 82 G.P.)

Soson
e Simalo, caprai di molte capre,
sopra colli foltissimi di giunchi,
o forestiero, a Hermes
che dà formaggio e benedice il latte,
dedicarono qui,
scolpito in bronzo, un caprone barbuto,
il capo delle capre.

LXXX
(A.P. IX, 563 = 102 G.P.)

Se ti riesca mai di incontrare
Democrito, l'amico dei frutti,
digli, o viandante, le parole brevi:
"che, ormai maturo, io dai bianchi frutti
ho dei fichi per lui,
dolci bocconi che non cuoce il fuoco:
venga presto, perché non duro a lungo,
se desidera coglierli succosi".

LXXXI
(A.P. VI, 110 = 96 G.P.)

Teso l'agguato appiè delle alture,
stese Cleolao la cerva
presso l'acqua flessuosa del Meandro
con il calce dell'asta, aguzzo, e il chiodo
fissò sul duro pino le alte corna
dalle folte radici della fronte.

LXXXII
(A.P. Vl, 263 = 49 G.P.)

Questa pelle, bovaro dei suoi buoi,
ebbe Soso, scuoiato un leone fulvo,
che trafisse con l'asta,
mentre azzannava il vitello di latte;
e dalla mandra non tornò alla macchia
la belva che, prostrata,
pagò col sangue il sangue dei vitello.
Come funesta le tornò la strage!

LXXXIII
(A.P. VI, 262 = 48 G.P.)

Mentre affamato devastava il gregge
e le stalle dei buoi con i pastori
senza temere i cani che latravano,
Eualce cretese
di notte lo uccise con la clava
sul pascolo e lo appese a questo pino.

LXXXIV
(A.P. IX, 355 = 26 G.P.)

La statua - un Ermes - dei raccattalegna
Micalion, o viandante: ma davvero
bravo quel boscaiolo che ha saputo
da lavoro meschino trarre doni!
Buono rimane, l'uomo buono, sempre.

LXXXV
(A.P. Vl, 355 = 39 G.P.)

Offre
la madre, a Bacco, Mìcito dipinto:
un quadretto da nulla, perché povera;
Bacco, tu innalza Mìcito:
meschino il dono, è povertà che l'offre.

LXXXVI
(A.P. Vl, 226 = 87 G.P.)

Oh, il podere di Clèiton, grazioso!,
col breve solco aperto per la semina
e la vigna piccina che gli è a lato;
c'è un boschetto per legna. E qui che Clèiton
ha varcato gli ottanta.

LXXXVII
(A P. Vl 188 = 4 G.P.)

Terimaco cretese
questo bastone appese, da pastore,
agli scogli d'arcadia
in onore di Pan che uccide lupi;
tu, in grazia del dono, o dio campestre,
a Terimaco guida nella guerra
la mano con la quale curva l'arco,
stagli alla destra tu presso i burroni,
i primi doni dàgli nella caccia,
per te superi anche gli avversari.

LXXXVIII
(A.P. Vl, 154 = 97 G.P.)

A Pane che ama i campi,
a Lieo, lampo di gioia, e alle Ninfe
ha offerto il vecchio arcade Biton:
a Pane il caprettino appena nato,
che scherza con la madre; un ramo d'edera,
che in giri larghi si apprende, a Bromio;
un narciso alle Ninfe, colorito,
e rosse foglie di rose dischiuse.
Ninfe, in ricambio, voi fate che prosperi
qui la casa del vecchio: datele acqua;
tu, Pane, latte in abbondanza; e tu
rendi fertile, o Bacco, la sua vigna.

LXXXIX
(A.P. Vl 285 = 41 G.P.)

Noi tanto innamorate del lavoro,
Ateno, Meliteia e Finto e Glenis,
figlie di Licomede, i cari arnesi,
con un decimo avuti del guadagno:
e il fuso e la spola
garrula che spartisce l'orditura,
e i cannelli volubili,
queste pietre che tendono col peso,
e le pesanti spatole,
questi, noi poverelle, dedichiamo,
- piccola parte di guadagno piccolo, -
a te, ricca d'argento. E tu, Atena,
colma le nostre mani di monete,
sempre e ugualmente; noi con madia povera
rendi tu alfine dalla madia piena.

XC
(A.P. Vl, 289 = 42 G.P.)

Autonoma, Meliteia, Boiskion,
le tre cretesi, figlie
di Filolaide e Nico, o forestiero:
l'una il fuso che ronza e rende il filo,
l'altra il cestino che notturno ammassa
la molle lana, e la terza la spola,
l'operaia che tesse pepli fini
- già custode del letto di Penelope - ,
dedicarono a te in questo tempio
lasciando i tuoi lavori, o Panitìde.

XCI
(A. P. Vl, 309 = 45 G.P.)

O Ermes, per te, Filocle appese
la sua palla di cuoio ben cucita
e il guinzaglio di bosso molto garrulo
e i dadi che amò fino alla pazzia
e la volgente trottola:
i giocattoli della fanciullezza.

XCII
(A.P. Vl, 35 = 47 G.P.)

Questa pelle Teleson distese
sul platano selvatico
a Pane dagli zoccoli di capro,
e la clava nodosa
dalla testa ricurva che già uccise
lupi dall'occhio venato di sangue;
appese anche le conche per il cacio,
per i cani di rapido fiuto
il collare e il guinzaglio.

XCIII
(A.P. VI, 296 = 50 G.P.)

La tagliola che scatta e addenta zampe,
e le canne che tengono col vischio,
e le reti e il turcasso per le frecce
- a cacciare le lepri -
il flauto forato per le quaglie,
questa rete a maglia per i pesci
offrì Sosippo a Ermes,
ormai lontano dalla giovinezza,
nella memore inerzia di vecchiaia.

XCIV
(A P. VI, 300 = 36 G.P.)

Segreta, da Leonida, il randagio,
dal poverello dalla madia piccola,
accetta questa offerta:
grasse focacce e oliva conservata
e questo fico verde,
colto appena dal ramo, e anche un chicco,
con cinque grani, di succoso grappolo,
o veneranda, e infine questa, a terra,
libazione; ma, se tu mi sottrai
alla miseria odiosa, come allora
che da pena d'amore mi guaristi,
ricevi anche d'un capro il sacrificio.

XCV
(A.P. Vl, 736 = 33 G.P.)

Non logorarti, uomo, ramingando
d'uno in altro paese, non sfinirti!
Ti accolga, anche vuota, una capanna
cui breve fiamma scoppiettando scaldi;
anche se poco pane hai nella madia
- pane nero, non di farina bianca,
da te stesso impastato -, non ti manchi
menta e serpillo oppure sale, amaro,
ma -mescolato - dolce companatico.

XCVI
(A. P. VII, 67 = 59 G.P.)

O tu, funesto, che su nera barca
sotto l'Ade traghetti l'Acheronte,
anche se la tua barca spaventosa
è oppressa dal carico del morti,
accogli pure me, Diogene il cane:
la bottiglia dell'olio e la bisaccia
e il vestito consunto, il mio bagaglio;
e anche l'obolo per pagarmi il viaggio
sopra il fiume dei morti.
Questo che avevo in vita porto all'Ade,
proprio nulla io lascio sotto il sole.

XCVII
(A.P. VI, 472 = 76 G.P.)

Oltre la vita tempestosa, al porto,
come feci pure io,
Feidon, figlio di Crito: cerca l'Ade.

XCVIII
(P. Ox. 662 = 51 G.P.)

A Pane di Acroria e alle ninfe
il limitrofo Glenis dedicò,
quale preda di caccia, questa faccia
di animale e la pelle di questi piedi
rapidi: o Pane, o Ninfe, e voi fate
che per cacce, abbondanti sempre, prosperi
Glenis, si valente cacciatore.

SPURI O DUBBI

XCIX
(A.P. VI, 44 = 94 G.P.)

Ai Satiri cui piace bere il sidro,
e a Bacco, piantatore della vite,
manipoli di prima piantagione
Heronax consacrò
colmando queste tre brocche di vino,
da tre vigne, versato di recente;
e qui, libato, come è rito, a Bacco
che ha il colore del vino, e pure ai Satiri,
noi ecco più dei Satiri berremo.

C
(A.P. VII, 173)

Sole a sera tornarono le vacche
al bovile dal monte, con le groppe
dure di neve; ahi ahi giace Terìmaco
nel grande sonno là presso la quercia,
addormentato da un celeste fuoco.

CI
(A.P. VII, 662)

Ahi che anzi tempo, nel suo settimo anno,
questa fanciulla se n'è andata all'Ade,
con quel cuore più grande dell'età!
O infelice, morta dal dolore
per il suo fratellino: a venti mesi,
sì piccino, provò morte spietata.
Ahi Peristera chiusa nel tuo strazio!
Come crudo sugli uomini
con dolori, i più atroci, piomba il fato!


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