§ ANNI '80

Due verità




Paola Salvatori



Bilancia commerciale dal '78 al '79. L'Italia è andata "tredici volte peggio?" Oppure il "buco del commercio con l'estero" non è poi così disastroso? Ci sono due versioni. Le riportiamo nella interezza delle cifre.
La prima versione. L'interscambio dell'Italia con l'estero si è chiuso nel '79 con un deficit di 4.725 miliardi di lire, una cifra che è pari tredici volte a quella (363 miliardi di lire) che segnò il passivo del '78. Dai dati diffusi dall'Istat risulta che il colossale deterioramento del passivo è stato determinato soprattutto dalle notevoli importazioni di alimentari, di prodotti petroliferi, metallurgici e chimici.
Nel '79 l'Italia ha sborsato 64.652 miliardi di lire per le importazioni e ha ricavato invece 59.927 miliardi dalle esportazioni. Nell'anno si è inoltre appesantito il freno alle esportazioni, che sono cresciute soltanto del 26,1%, mentre le importazioni sono aumentate del 35,1%. A dare l'ultima gravosa spinta al peggioramento del deficit finale della bilancia commerciale ha provveduto l'interscambio relativo al mese di dicembre, che si è chiuso con un passivo di 1.718 miliardi di lire (contro - 545 miliardi del dicembre '78). Nello scorso dicembre l'import è costato 8.905 miliardi, l'export ha fruttato 7.187 miliardi. Il saldo passivo di 1.718 miliardi è stato determinato per 1.629 miliardi dai prodotti petroliferi e per 89 miliardi da altre merci; mentre nell'intero 1979 il passivo di 4.725 miliardi è la risultante di un saldo negativo di 9.887 miliardi imputabile ai prodotti petroliferi e di un saldo attivo di 5.162 miliardi relativo ad altre merci.
Solo tre settori, sugli otto comparti di base, hanno chiuso in attivo: quello del tessile-abbigliamento che ha registrato un attivo di 7.399 miliardi (6.044 l'anno precedente), quello meccanico con 6.456 miliardi (5.832 l'anno precedente), quello dei trasporti, con 1.954 miliardi (1.904 miliardi l'anno precedente). Un ribaltamento negativo si è verificato per il settore metallurgico che ha chiuso l'anno con un passivo di 1.355 miliardi, mentre l'anno precedente aveva registrato un piccolo attivo (48,2 miliardi). Per gli altri settori in passivo, queste le cifre: per combustibili e prodotti petroliferi il deficit è stato di 10.634 miliardi (4.568 l'anno precedente); per quello chimico, di 2.299 miliardi (1.282 l'anno precedente).
Fra i rovesci è da segnalare quello sofferto da un settore che abbraccia prodotti disparati, che vanno dai mobili in legno alla carta e cartotecnica, ai materiali da costruzione, ai lavori in vetro e cristallo, ecc. Il deficit globale si è più che quadruplicato: da un passivo di 322 miliardi nel '78 a 1.319 miliardi nel '79. Nel settore alimentare sono sensibilmente aumentate le quantità importate: ortofrutticoli +19% rispetto al '78; semi e frutti oleosi +36%; olii e grassi +37%; suini +37%; bovini +9%; carni macellate +8%; pesce +13%; formaggio +10%; caffè, cacao e spezie varie + 16%. Sono invece calate in quantità le importazioni di frumento e derivati (-18%) e segale, orzo e avena (-14%). Fra le esportazioni alimentari hanno migliorato il settore degli ortofrutticoli, quello dei prodotti dolciari, dei formaggi del frumento e dei vini.
La seconda versione, fornita dal Ministro del Commercio con l'Estero. Il 1979, ha detto, è stato un anno "complessivamente favorevole, l'insieme delle partite correnti della bilancia dei pagamenti chiusa con un saldo attivo intorno a 4.500 miliardi". La polemica con l'Istat è sottile. Il Ministro e l'Istituto prendono a riferimento due cifre diverse. li Ministro dice che in tutti i Paesi, nel disavanzo della bilancia commerciale, le importazioni sono valutate non tenendo conto del costo delle assicurazioni e dei noli: se si facesse così, anche in Italia la bilancia commerciale avrebbe chiuso l'anno con un disavanzo di appena 500 miliardi di lire. Le cifre dell'Istat sono differenti perché noli e assicurazioni sono compresi. La seconda cosa che dice il Ministro del Commercio con l'Estero è che è inutile fare dell'allarmismo perché le partite correnti della bilancia dei pagamenti (cioè la voce merci, più turismo, più le rimesse degli emigrati) hanno chiuso con il più alto attivo di tutto l'Occidente (appunto, 4.500 miliardi di lire).
L'ottimismo, tuttavia, si ferma alla fine dello scorso anno, anche se gli esperti contano di aver tempo fino al prossimo autunno. Perché? Perché tutti i Paesi industrializzati stanno registrando pesanti deficit nei conti con l'estero. La florida Repubblica Federale Tedesca, dopo quattordici anni di attivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti, prevede un saldo negativo, quest'anno, di venti miliardi di marchi (9.000 miliardi di lire). Analoghe previsioni in Francia e in Giappone, dove si sono registrati già nei primi due mesi dell'anno disavanzi consistenti. Dov'è la differenza fra noi e gli altri? Nel tasso annuale d'inflazione, che in Germania, ad esempio, è prevista dell'ordine del 4,5 per cento nel 1980, mentre da noi, se tutto andrà secondo la migliore delle ipotesi, sarà per lo meno tre volte maggiore. Se non più, visto che dall'inizio dell'anno ha cominciato a galoppare a ritmi sconosciuti addirittura nel recentissimo passato, superando il 21 per cento. Quale sarà la conseguenza immediata di questa differenza dei tassi di svalutazione? Questa: tra i Paesi che partecipano al Sistema Monetario Europeo (lo Sme), sarà estremamente difficile un aggiustamento del tipo di quelli previsti alla vigilia della firma dei relativi trattati. Il sistema monetario non potrà reggere, senza una revisione, al di là dell'autunno. E noi siamo nella condizione più debole e, dunque, nella situazione più delicata. In parole chiare: rischiamo di dover uscire dallo Sme. O, peggio ancora, rischiamo di esserne rigettati. Perdendo un aggancio con l'Europa comunitaria.

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