Mafia e Calabria




Aldo Bello



Tredici capitoli, un'appendice (una tavola rotonda sul tema "Mafia, Calabria e Mezzogiorno"), un'intervista preliminare ad Abdon Alinovi: Francesco Arcà, giornalista, già collaboratore del "Mondo" di Pannunzio, curatore dei servizi speciali del Giornale Radio, calabrese per nascita ed origine, ci presenta uno spaccato della "'ndrangheta" in un volume della Newton Compton, collana paperbacks ("Mafia potere, malgoverno -Dieci anni di clientelismo e di violenza sulla pelle della Calabria). Un libro, dichiara subito l'Autore, che nasce dal profondo amore per "la terra che mi sono portato dentro durante la mia vita". ma anche un libro che rivela "l'ansia di giustizia per una popolazione vessata e tormentata da secoli da nemici esterni e mali interni".
Per sommi capì, gli argomenti sviluppati da Arcà. A Gioia Tauro, seimila "amici" al funerale di don Mommo Piromalli, "morto ... non per lupara o coltello, ma di malattia". Il boss era stato condannato a undici anni per associazione per delinquere: ultima beffa del capo-bastone, morto "nemmeno da galeotto", ma da vigilato in ospedale, praticamente libero. Piromalli era stato condannato al processo di Reggio Calabria, insieme con altri ventisette boss della 'ndrangheta. Poi, vecchia e nuova mafia a confronto, e i rapporti tra la malavita organizzata, i poteri pubblici e la politica: dalle cosche al contrabbando, in una spirale che coinvolge la vita socio-economica dell'intera regione. Sbocco drammatico dell'escalation mafiosa, i sequestri di persona, nuova tipica "industria" mafiosa che rende miliardi. Arcà inserisce a questo punto gli avvenimenti di Reggio Calabria: la rivolta per il riconoscimento di Reggio capoluogo; e sviluppa il discorso sulla situazione economica della regione, sui "pacchetti" governativi, vuote crisalidi con le quali si è giocato sulla pelle dei calabresi: esempio classico delle contraddizioni politico-economiche centrali, la vicenda del Quinto Centro Siderurgico di Gioia Tauro, immagine onirica di una soluzione sia pure parziale della diffusa disoccupazione calabrese: un Centro svanito nel nulla, dopo che nella Piana di Gioia erano state predisposte alcune infrastrutture portanti, soprattutto dopo che le cosche mafiose si erano accanitamente battute, le une contro le altre, per ottenere appalti e distribuire subappalti dei lavori preliminari.
Il "no" all'impianto del Quinto Centro, potremmo aggiungere, reso ancora più drammatico dalla mancata installazione delle aziende di trasformazione di Rovelli e della Sir, previste da un piano di sviluppo per il quale la Cassa per il Mezzogiorno aveva predisposto le infrastrutture di base: un capitolo, questo, ancora tutto da chiarire, nel quadro dei "comportamenti" e delle "non-scelte" di una classe imprenditoriale che ha succhiato miliardi dallo Stato, e ha fatto della filibustering un sistema al quale è stato consentito di funzionare a lungo.
Poi, le prime manifestazioni di ribellione alla mafia, avviate nella Piana di Gioia e nella Locride, e la vicenda del conflitto a fuoco tra carabinieri e mafiosi a Razzà ("Chi si voleva nascondere? Molte ipotesi, nessuna certezza"). E non poteva mancare, in un volume che indaga sui maggiori avvenimenti degli ultimi dieci anni, un capitolo dedicato a "un'altra tempesta" che "si abbatte nel '78 sulla Calabria ... : le indagini sulla presenza di terroristi all'Università di Arcavacata e la violenta polemica sulle dimensioni e la natura del fenomeno eversivo", ("Dal dissenso al terrorismo, scontro polemico tra i partiti. La mafia aiuta i terroristi?").
E' un bilancio finale di questa terra dimenticata per scelte precise di politica e di politica economica, importatrice e non produttrice; di questa regione impoverita dalla mancanza di risorse e dalle massicce emigrazioni; delle sue aree dominate dalle famiglie mafiose ("In Aspromonte cartelli di pericolo per conflitti a fuoco"). E tutto questo in uno stile asciutto, con i fatti in primo piano, con i collegamenti tra vicende nitidi nel loro svolgersi, con le ipotesi formulate con estrema chiarezza: un testo-saggio ad ampio spettro d'indagine, documentato con verifiche puntuali, com'è nella più seria tradizione giornalistica; una serie dì tranches de vie, vita pubblica, che coinvolge una regione emblematica dell'arretratezza meridionale; e con una serie di analisi accurate dei comportamenti - anche antropologici - che hanno proiettato quell'arretratezza ai nostri giorni, ne hanno fatto un "caso europeo". Il libro colma una lacuna nel contesto delle "storie locali" contemporanee, che Salvemini e Gramsci ritenevano concorrenti alla formazione della storia nazionale. Un gran tassello sì è aggiunto, rivelatore sotto molti aspetti, al mosaico delle vicende calabresi di questo secolo, assai lontano dall'approssimazione e dalle esercitazioni retoriche che hanno contraddistinto molte pagine di frettolosi "indagatori" della realtà calabrese. Rigore nella ricerca, coerenza del discorso politico, rifiuto del dato aneddotico o folkloristico, fatti e analisi dei fatti, documenti e "ricerca delle radici", fanno del volume di Arcà un prezioso strumento di conoscenza, e soprattutto un punto di riferimento per un'azione risanatrice, di recupero e di decollo, per quello che l'Autore - che ha sulla pelle l'amore per questa terra - definisce "un progetto di civile progresso".

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