Il Porto di Gallipoli




Emilio Picciolo



Si è ritenuto da alcuni che il porto di Gallipoli fosse stato nei tempi antichissimi in altro posto, precisamente verso il Mezzogiorno della città. Il Ravenna afferma che non esistono sicuri ricordi, ma il fatto che l'ingresso più frequentato della città, e che era detto di mare, fosse a scirocco, potrebbe far credere che probabilmente il porto fosse stato fatto verso Mezzogiorno. Attualmente, e già molto prima del '700, il porto è situato verso tramontana. Comunque, prima del 1804, più che porto poteva definirsi rada, dove solo uno scoglio chiamato "Scoglio del Porto" poteva dare ad essa il nome più importante di "Porto".
Conquistata Gallipoli dai Veneziani nel 1484, costoro pensarono anzitutto di munire la rada della città di un sicuro porto per i loro commerci. Infatti, il Doge Giovanni Mocenigo inviò il 20 maggio 1484 al governatore veneto in Gallipoli Marco Trevisan un primo fondo di 2.500 ducati per le opere suddette ed assicurò subito l'invio delle maestranze occorrenti. L'opera di costruzione del porto ebbe l'avvio con il taglio della roccia dorsale del perimetro della città per aprire il canale tra scirocco e tramontana ed isolare la città. Ma l'opera, appena iniziata, venne abbandonata per l'incalzare degli avvenimenti. I Veneziani, a quattro mesi dall'occupazione di Gallipoli, furono costretti a restituire la città agli Aragonesi che tornavano al possesso del Regno di Napoli. L'opera del porto venne così proseguita da questi ultimi, ma non fu mai portata a termine.
Intanto, col passar del tempo, Gallipoli diventa polo di attrazione dei traffici commerciali, in particolare del commercio dell'olio e del vino, pur non disponendo di un sicuro porto. Per questo motivo, nel 1507 Gallipoli presentò alla corte di re Ferdinando il Cattolico un'istanza per avere finalmente un porto sicuro e che fosse rispondente alle esigenze del tempo. Tale istanza ebbe esito felice, poiché il 23 ottobre 1507 Re Ferdinando fece proseguire i lavori progettati dai Veneziani, lavori che erano stati ripresi e interrotti dagli Aragonesi. Nel sec. XVII il traffico commerciale del porto, o meglio della rada di Gallipoli, fu fiorentissimo, raggiungendo però il suo apice nel sec. XVIII.
Cadrebbe in errore chi credesse che questa rada fosse veramente degna di tale nome e fosse in grado di dar sicuro approdo al naviglio commerciale dell'epoca: i naufragi nonché le perdite di vascelli ancorati in attesa di caricare le merci erano continui. Molti decantavano lo splendore di questo porto, ma nessuno pensava a costruirlo in modo da dare veramente piena sicurezza, nonostante che una parte dei tributi doganali venisse registrata sotto il capitolo "Opera del Porto di Gallipoli". Possiamo ad ogni modo citare alcune testimonianze di scrittori del '600 e '700, che sottolineano l'importanza commerciale del porto di Gallipoli, pur non nascondendo i limiti della costruzione e delle attrezzature. Così il Cuti scriveva: "... Gallipoli è emporio massimo di tutto l'Occidente e dei popoli del settentrione, poiché in essa navi italiane, inglesi, fiamminghe, ed altre settentrionali, portano a vendere le loro merci". E il Micetti: " ... il porto Gallipolitano l'hanno sperimentato tutte le Nazioni amiche, e se anco capriccioso e senza protezione è, nella stagione, buonissimo per caricare essendo, Gallipoli, caricatore e ricetto dell'oglio di quasi tutta la Provincia". E il Pacichelli, a sua volta, scriveva: "La Provincia di Terra d'Otranto è pregna sempre di molto oglio, esso si smaltisce nel porto di Gallipoli ove si caricano legni, massimamente d'Inghilterra e d'Olanda". E infine il Galanti: "A Gallipoli, città di terra d'Otranto, suol farsene buon commercio di oglio presso le forestiere Nazioni che quivi approdano i loro navigli per caricare ogli, vini e vettovaglie, essendo come il gran magazzino di tutta la Provincia".
Sul fine del '600 la città di Gallipoli, comunque, aveva ancora solo una rada a malapena protetta dai bastioni "San Giorgio" e "San Francesco". Tali bastioni furono accomodati nel 1663, a spese della città che, aggravando il tributo di carico e d'ancoraggio, volle risarcirsi della spesa sopportata per l'accomodamento dei suddetti bastioni d'entrata nel porto, secondo quanto risulta dai fascicoli dell'Archivio di Stato di Lecce. Nel 1700, ad ogni modo, il porto toccò l'apice del suo movimento commerciale. Nel 1709 il numero dei vascelli sostanti al carico raggiunse il massimo di trenta in un solo giorno (2 gennaio), e rimase notevole per il resto dell'anno. Dai registri di "Protomedicato del porto", il De Rossi riporta in particolare che nel succitato giorno su trenta bastimenti arrivati, uno solo, proveniente da Trieste, fu soggetto alla quarantena.
Abbiamo detto che il principale movimento del porto era costituito dall'esportazione dell'olio, derrata questa che procurava una cospicua entrata di moneta in Gallipoli e per le reali finanze borboniche.
Queste ultime, pur incamerando le ricchezze provenienti dall'attività commerciale del porto di Gallipoli, sostiene Filippo Briganti, non si impegnavano però a far sì che la città avesse finalmente un vero porto, e non già una rada per giunta malsicura. La via carrabile, dal limite della terraferma al ponte e alla "Cala di caricamento", era incomoda e impraticabile e non si riusciva a recuperare fondi per renderla transitabile, mentre dal porto sia l'erario che i privati ottenevano denaro in grandi quantità. Nonostante la necessità di adeguare le strutture ai bisogni del commercio, di costruire un vero e proprio porto non se ne parlava; e così le navi ed i bastimenti, attraccati alla meglio nella rada, " ... ad ogni alitar di vento naufragavano o andavano alla deriva". Comunque, dopo ripetuti interventi municipali, il Governo prese in esame la sistemazione della via di accesso al porto e alla "Cala di caricamento". Tali lavori vennero eseguiti nel 1795 e terminarono l'anno successivo, con una spesa complessiva di ducati 87 e carlini 25.
In verità, fin dal febbraio 1769 il sindaco di Gallipoli, Bonaventura Balsamo, aveva esposto a Re Ferdinando IV lo stato florido del commercio, dell'olio in Gallipoli.
Egli, dopo aver descritto il sito inaccessibile della costa inferiore di Terra d'Otranto, dimostrò con evidenza che tutto l'olio del Capo salentino e terre adiacenti, non potendosi trasportare per l'imbarco nel porto di Taranto, data la lunghezza e la difficoltà delle strade, doveva necessariamente imbarcarsi nel porto di Gallipoli, o meglio nella rada, che sola in tutta la provincia offriva un abbordo facile alle imbarcazioni che provenivano da Ponente. Lo stesso sindaco estrasse dai registri doganali come in sei anni giunsero a Gallipoli 514 navi che imbarcarono 1.617.250 salme di olio, con una media per anno di circa 86 navi che imbarcarono olio per 269.541 salme. Egli fece quindi notare il vantaggio di un così ricco traffico, da cui derivava la ricchezza della nazione, ma nello stesso tempo gli incessanti pericoli cui soggiacevano i bastimenti, esposti in una rada soggetta all'inclemenza di un mare aperto e burrascoso. Per tali motivi egli implorò il Sovrano di intrevenire per la costruzione di un porto.
Re Ferdinando IV, ricevuta la supplica, la rimise al "Capitano Generale" perché esaminasse la pratica, e questi chiese allo stesso sindaco Balsamo di indicare i mezzi più idonei a reperire i fondi necessari per la costruzione del porto. La risposta fu che i pesi di tale opera dovevano essere sopportati da coloro che ne avrebbero goduto i vantaggi e quindi innanzitutto dai noleggiatori e, per essi, dai commercianti, dato che diminuendo il pericolo del porto diminuiva anche il prezzo del nolo. Inoltre, essendo la sicurezza del porto un richiamo per gli operatori economici, e in specie per quelli che commerciavano in olio, dall'affluenza maggiore di questi sarebbe derivata una maggiore domanda e quindi, necessariamente, un prezzo maggiore di questa derrata. In altri termini, poiché la sicurezza del porto, richiamando un gran numero di avventori, avrebbe assicurato un vantaggio ai produttori di olio, egli riteneva giusto che anche questi ultimi dovessero sopportare la loro parte di spesa per la realizzazione dell'opera, non già addossando sugli stessi un aggravio "insolito, difficile ed odioso", ma aumentando di un carlino a salma il prezzo dell'olio.
Dopo la supplica, Re Ferdinando aveva inviato a Gallipoli, nel 1773, l'ingegnere idraulico Barone d'Argemont perché studiasse il progetto e compilasse la pianta per la costruzione del porto. L'Argemont, dopo aver sostato un anno in città per osservare la direzione e la variabilità dei venti, assistito anche dal generale Acton, Direttore generale delle Opere Marittime Reali, compilò una pianta nella quale condensò in brevi linee quella che doveva essere l'opera del futuro porto della città di Gallipoli. L'Argemont andò via e le suppliche dei gallipolini lo seguirono, ma il disegno con la relazione sul progetto giacque nei polverosi scaffali del Reale Ministero delle Acque e Strade di Napoli e della Intendenza di Lecce.
Intanto, tragici naufragi collettivi continuavano a registrarsi a pochi anni di distanza l'uno dall'altro. R22 dicembre 1792 otto vascelli, in poche ore, furono distrutti mentre erano ancorati nel porto in attesa di caricare. Il naufragio di questi vascelli offrì al Briganti l'occasione per una sua accorata richiesta al Sovrano. Muovendo da tale fatto, egli avrebbe scritto che: "... dalle perdite incompensabili di questi naufragi, è risultato il discredito che per tale evento ha sofferto il porto di questa città di Gallipoli nelle piazze straniere, e gli effetti lagrimevoli della sua poca sicurezza formeranno un'epoca desolante al commercio di detta piccola, ma ricca città, se la paterna cura e la Real Clemenza dell'Augustissimo nostro Monarca, non si benignerà di apporci il dovuto riparo, siccome tutta questa fedelissima popolazione a mani giunte lo supplica".
La città di Gallipoli chiese perciò, di nuovo e disperatamente, l'intervento reale, e Ferdinando IV si recò di persona a Gallipoli il 29 aprile 1797 per rendersi conto delle ripetute richieste della città. Il Re vi giunse sulla fregata "Trinacria" e " ... sbarcato dalla nave prese posto in una scialuppa di bordo che lo condusse in su la riva, e per scendere a terra, un facchino venne onorato portare a cavalcioni i e su e spalle". Il Re constatò, dopo un'ampia relazione delle autorità locali, la necessità impellente dell'opera e promise di dar corso immediato al progetto dell'ingegnere d'Argemont. Ma, ancora una volta, dopo la sua partenza, le promesse svanirono. Le suppliche ed i progetti rimasero a sonnecchiare negli Archivi Regi per molti altri anni, precisamente fino al 16 agosto 1850, data in cui fu assegnato l'appalto per la realizzazione dell'opera al signor Francesco Pinto.
Oggi, il porto ha una superficie di circa 80 mila metriquadri, ed è compreso da un lato dalla "banchina Lido", e dall'altro dal "molo foraneo" che si protende al largo con l'esile molo di tramontana. La "banchina Lido" si estende per 310 metti, con una profondità dal ciglio di attracco che va da 8 ai 10 metti. La banchina del "molo foraneo" ha una lunghezza di 286 metti, con una profondità dal ciglio di attracco che va dagli Il metri circa ai 12 metri. Il porto è classificato nella seconda categoria, seconda classe, ed è in grado di ospitare, anche se con qualche difficoltà, natanti sino a 10 mila tonnellate.

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000