E i Salentini dissero a Padova




Lucio Tartaro



Si potrebbe definire l'averroismo, in maniera forse incompleta, ma abbastanza vicina alla realtà dei contenuti, come la corrente di pensiero e di filosofia che tentò di ritrovare il bandolo della matassa filosofica di Aristotele: la ricerca della vera dottrina, coperta da secoli di sovrastrutture, di innesti, di interpretazioni e, particolarmente, di "chiavi di lettura" cristiane. Nel tardo Rinascimento, scrive il De Marco, "l'aristotelismo rinnovato dall'apporto umanistico che aveva permesso la riscoperta di molta parte del pensiero antico e che con la ricerca filologica aveva contribuito alla lettura integrale ed originaria delle opere, consentì un'analisi critica e profonda del corpus peripatetico".
Roccaforte dell'averroismo fu l'Università di Padova, il celebre Studio di livello europeo; e a Padova furono chiamati due lettori, o meglio, due commentatori delle opere aristoteliche, "affinché dalla critica e dal confronto si potesse trarre lo spirito genuino del pensiero dell'antico filosofo. Qui si accesero le dispute più feroci, specialmente sulla natura e sulla funzione della logica, mentre il problema dell'anima attirava nella discussione schiere di studenti e di professori, degenerando spesso in contestazioni che sfociavano quasi sempre nelle vie di fatto".
E nello Studio patavino, appunto, diedero il loro contributo di pensiero due grandi salentini, Marcantonio Zimara, di Galatina, e Girolamo Balduino, di Montesardo Salentino.
Giustamente sottolinea De Marco che i due salentini operarono "nel momento culminante dello Studio", e contribuirono ad approfondire il significato del pensiero aristotelico, "a svecchiarlo da tutte le errate interpretazioni, consentendo così al patavino Jacopo Zabarella, ultimo valido sostenitore del peripatetismo di quella Università, di compendiare i risultati delle ricerche e degli approfondimenti che a mano a mano avevano attuato i pensatori fioriti a Padova". Zabarella fu un perfetto compendiatore del pensiero degli aristotelici che lo avevano preceduto. E nella sua opera sono evidenti gli influssi dei due salentini per "l'interpretazione laica e razionalista delle opere di Aristotele", soprattutto per quel che riguardava la natura e la funzione della logica, unico strumento con il quale era possibile conquistare la sapienza. Aria di crisi in giro non mancava: le nuove scoperte rivoluzionavano la fisica, l'eliocentrismo sconvolgeva antiche credenze fisico-filosofico-religiose, Galilei - proprio a Padova - si era schierato apertamente per le tesi di Zabarella: l'averroismo di Zimara e Balduino, dunque, servì a mettere in rilievo "i limiti dell'aristotelismo, l'impossibilità di poter trarre da questo un metodo fecondo per l'acquisto di un sapere certo e inconfutabile, di una scienza fondata sulla realtà dei fatti e non, invece, sui dogmi e sull'autorità di testi filosofici o religiosi". Il Galilei, resosi conto della sterilità del vecchio sapere proprio attraverso le accanite dispute patavine, ebbe modo di costruire il suo metodo fondato sulla matematica e sull'osservazione della natura, sull'esperimento e sulla verifica delle ipotesi. Il mondo cambiava pensiero. E mutava faccia.

Marcantonio Zimara

Forse di famiglia albanese, stabilitasi in Salento verso la metà del secolo XV, fu medico e filosofo, e sindaco della città di Galatina nel 1514. Tra le sue opere, le Solutiones contraddictionum in dictis Averrois, la Tabula dilucidationum in dictis Aristotelis, i Theoremata seu memorabilium propositionum limitationes. Si era laureato proprio nello Studio di Padova, dove aveva seguito il Nifo e il Pomponazzi.
Scrive De Marco: "Zimara fu averroista di stretta osservanza: barbaro averroista, come lo chiamava con disappunto il Bembo; sommo tra gli averroisti, come lo definivano i suoi fautori, "tanto che se Averroé poté considerarsi nell'esporre Aristotele un nuovo Aristotele, Zimara era degno, nel commentare Averroé, di essere chiamato un nuovo Averroé".
dal momento che il Pomponazzi in una serie di lezioni aveva avuto la mano pesante a proposito di talune contraddizioni e debolezze dal pensiero averroista, lo Zimara, facendo ricorso soprattutto alla filologia e ai nuovi testi, si propose di riportare alla genuina autenticità il pensiero di Aristotele e di Averroé. E nacquero così le Solutiones. Secondo De Marco, "la novità della ricerca metodologica dello Zimara consiste ... nella nuova concezione che della logica cominciava a profilarsi nell'iter della speculazione del peripatetismo; la logica che, se rimaneva ancora tenacemente legata allo schema della struttura sillogistica, incominciava a scrollarsi dei residui neoplatonici e tomistici che la legavano a premesse di ordine metafisico, le quali inibivano ogni ricerca i carattere naturalistico con il loro condizionamento infrenante di ogni studio razionale e scientifico".
Tuttavia, l'eccessiva fiducia nella logica aristotelica era destinata a crollare: i princìpi fondati sul testo dell'Autore cedevano il passo alla ricerca, all'esperimento, alla matematica, alla nuova concezione della fisica. Portando alle estreme conseguenze la "distillazione" del pensiero averroista e, dunque, aristotelico, lo Studio patavino ne avviò anche il tramonto. E Zimara fu, in questo senso, un innegabile protagonista.

Girolamo Balduino

Di famiglia baronale e di padre aristotelico, perfezionò a Padova gli studi di filosofia, ascoltando le lezioni dello Zimara, ma anche quelle dei suoi più accaniti avversari. Averroista, ma con uno spirito critico più accentuato che nel galatinese, affermò che il commento averroistico doveva essere ricusato ove si fosse rivelato in contrasto con il testo aristotelico. Ebbe allievo quell'Angelo Thio, conterraneo, da Morciano di Leuca, che, ottenuta la cattedra patavina di logica, pubblicò alcune opere nelle quali chiaramente si intravedeva l'insegnamento del Balduino: di qui, la lunga disputa sui contenuti e sulle precise attribuzioni, e l'accusa, mossa da molti, di plagio. Il Balduino insegnò a Padova solo un anno (dal 1528 al 1529), ed ebbe, allievo prediletto, Vincenzo del Colle, detto il Sarnese, futuro maestro di Giordano Bruno.
Grammatica, retorica, sofistica e dialettica "sono considerate dal Balduino espressioni della facoltà logica; tuttavia egli sottolinea come tutte queste siano parti, aspetti della logica": e sarebbe un grave errore confondere la parte con il tutto. Il pensatore di Montesardo, dunque, approfondisce criticamente il pensiero di Zimara, e in certe sue intuizioni fa scorgere spiragli di modernità, tuttavia soffocati dal suo restare ancorato alla metodologia della conoscenza aristotelica. L'astrattezza del discorso (affinato, senza dubbio, e più che mai dall'ultimo grande "logico", lo Zabarella) portò poi all'esigenza di rivedere l'intera fisica classico-medioevale, l'intero corpus logico costruito sull'Organon aristotelico: fu una vera e propria tabula rasa, sulla quale fiorì la speculazione scientifica, con la quale tramontò definitivamente il Rinascimento. Galilei, la scienza europea, le nuove concezioni aprirono un'altra epoca, e per un secolo prepararono l'età dei lumi.


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