§ UN'INCHIESTA CONGIUNTURALE IASM 1978

Le imprese industriali nel Mezzogiorno




Gigi De Mitri



Tra gli squilibri esistenti nel Sud, la crescita disarmonica dell'apparato produttivo e la mancanza di un consono tessuto connettivo costituiscono uno degli aspetti più vistosi del dualismo italiano, un aspetto che, benché attenuatosi negli anni grazie ad interventi operati in tal senso, rappresenta un vincolo rilevante alle capacità operative delle aziende. Questo quadro di fondo non sembra nel '78 aver presentato modifiche di rilievo. A parere delle aziende interpellate in occasione dell'indagine congiunturale Iasm per il 4° trimestre, l'industria meridionale ha infatti continuato ad operare in un contesto spesso manchevole o comunque non adeguato anche alle esigenze correnti. Si consideri al riguardo che più della metà (52%) delle aziende partecipanti al sondaggio ha espresso giudizio negativo sull'insediamento, con aree di valutazioni in tal senso correlate in ampiezza al crescere delle dimensioni aziendali: una circostanza che confermerebbe come le grandi unità produttive a mercati prevalentemente extrameridionali ed esteri risentano delle carenze di infrastrutture in misura superiore a quelle di piccole dimensioni a mercato prevalentemente locale e solidamente legate a una domanda rigida e scarsamente dinamica.
I principali inconvenienti segnalati dagli operatori, quali conseguenze del non soddisfacente insediamento industriale, hanno messo in luce a loro volta una problematica diversificata in relazione all'assetto dimensionale delle aziende; così, se le grandi imprese hanno indicato nella scarsa circolazione delle conoscenze tecnologiche uno dei maggiori handicap operativi, la limitatezza del mercato e l'isolamento sono stati segnalati quali principali inconvenienti dalle medie e piccole aziende.
Le difficoltà attribuibili all'insediamento avrebbero continuato nel '78 a condizionare i rapporti interindustriali, per i quali gli imprenditori hanno evidenziato un grado di apertura relativamente limitato; in particolare, solo il 41% delle aziende ha dichiarato di intrattenere costantemente rapporti con imprese del proprio settore, e il 14% di intrattenerli in modo discontinuo, contro ben il 45% di aziende che hanno escluso relazioni di tal genere: una percentuale, quest'ultima, che è risultata estesa al 57% per le piccole unità produttive a riflesso dell'isolamento che tende ad investire tale configurazione aziendale. I rapporti tra aziende dello stesso settore trovano i principali elementi di coesione nella compravendita di semilavorati, materiali e prodotti finiti, e nelle forniture di commesse.
In qualche misura meglio orientati sono stati segnalati i rapporti con settori diversi da quello di appartenenza, ove si consideri che il 52% delle aziende ha dichiarato di intrattenerli, e il 22% saltuariamente; anche in questo caso il grado di apertura è risultato correlato al crescere delle dimensioni aziendali. Compravendite di materiali e prodotti e commesse sono risultati anche in tale tipo di rapporto come i principali elementi aggreganti.
Indicazioni emerse con riguardo all'insediamento industriale e alle relazioni intersettoriali hanno evidenziato come il '78, se è stato un anno congiunturalmente positivo che ha consentito una certa tonificazione della situazione industriale meridionale, non ha inciso invece su talune distorsioni strutturali che da. anni frenano un più equilibrato sviluppo economico del Mezzogiorno, a conferma che solo tramite programmate azioni di intervento a lungo termine è possibile attenuare gli squilibri di fondo.


Anno contraddistinto a livello nazionale da una moderata ripresa congiunturale trainata da una domanda interna nuovamente in crescita e da una domanda estera particolarmente vigorosa grazie all'andamento diversificato mostrato dalla lira sul mercato dei cambi, il '78 è stato anche un anno di recupero per l'industria del Meridione; i giudizi delle aziende sul mercato di appartenenza hanno evidenziato, nel complesso, una prevalente stabilità (69%), accompagnata peraltro da delineati sintomi di ripresa (saldo: +7), sintomi tuttavia palesi solo per le medie (+ 12) e le grandi aziende (+ 10), a fronte di segnalazioni di un mercato ancora in recessione da parte delle piccole aziende; una divergenza che si pone in un certo senso in contrasto con quanto si sarebbe verificato nel Centro-Nord, dove il '78 avrebbe fatto assistere ad un mercato particolarmente favorevole alle piccole unità produttive.
Tali valutazioni, confrontate con quelle espresse nell'anno precedente, (con un mercato allora in netta recessione), attesterebbero comunque una volta di più la relativa reattività mostrata nel '78 dall'apparato industriale del Sud alle inversioni cicliche. In presenza di un mercato nazionale in moderata ripresa, le, aziende meridionali avrebbero trovato spazio per migliorare in una certa misura la propria posizione concorrenziale; ciò, ove si consideri che le valutazioni formulate al riguardo dalle aziende hanno dato luogo a un saldo positivo di 9 punti con riguardo ai mercati meridionali, e di 3 punti per quelli dei Centro-Nord. Caratteristica di rilievo è risultata la generalizzazione dei miglioramenti: fatta eccezione di un certo deterioramento - in parte inatteso - accusato dalle piccole industrie sui mercati meridionali, le aziende hanno ovunque aumentato la propria penetrazione. I miglioramenti segnalati appaiono tanto più significativi tenuto conto che in pratica essi hanno riguardato oltre il 70% della produzione complessiva. Ma dove la posizione concorrenziale avrebbe segnalato i più rilevanti progressi sono i mercati esteri, per i quali le valutazioni delle aziende hanno originato i saldi positivi pari a + 18 con riguardo alla Cee, e a + 32 relativamente ai mercati extra-Cee. I miglioramenti della posizione concorrenziale hanno interessato in media tutti e tre i tipi di configurazione aziendale presi in esame dall'indagine, con una escursione dei saldi che è andata dal + 28 (delle piccole aziende sui mercati extra-Cee) al + 4 (delle medie aziende sui mercati Cee).
I dati sulla destinazione delle esportazioni nel '78 hanno evidenziato come ad una maggiore propensione agli investimenti sia corrisposta in media, una maggiore apertura dei mercati di sbocco. Nel complesso, le aziende caratterizzate da una maggiore propensione agli investimenti avrebbero avviato la loro produzione per il 34% sui mercati meridionali, per il 33% su quelli del CentroNord e per il 23% sui mercati esteri. Quest'ultima quota ha sottinteso una escursione che è andata dal 7% delle piccole aziende, al 15% delle medie, al 27% delle grandi, confermando così ancora una volta come al crescere delle dimensioni aziendali - in presenza cioé di più adeguati strumenti di conoscenza e di penetrazione dei mercati - tendano ad allargarsi i confini commerciali delle imprese.


All'opposto, le piccole aziende hanno collocato l'89% della produzione nel mercato nazionale, quello meridionale in particolare ne ha assorbito il 67%, di cui il 48% per quello locale.
Territorialmente, la Campania con il 34% e le Puglie con il 22% sono le regioni con il più allargato circuito commerciale all'estero, mentre sensibilmente al di sotto dei valori medi sono risultate le altre regioni. Settorialmente, i dati hanno messo in luce come in linea di massima le produzioni a più alto valore aggiunto sono state quelle con maggiori requisiti di penetrazione. Tra queste si sono evidenziati i mezzi di trasporto, le produzioni meccaniche, le metallurgiche, le calzaturiere e le alimentari. Le aziende del gruppo caratterizzato da una più debole propensione agli investimenti hanno messo in luce una maggiore vocazione ad avviare la produzione nei circuiti commerciali nazionali: il mercato meridionale ne ha assorbito il 46% (29% quello locale), e quello del Centro-Nord il 30%, contro il 16% di produzione avviata all'estero.
E' interessante notare come anche nell'ambito di tale gruppo di imprese le più aperte ai rapporti commerciali siano risultate le grandi aziende, con un 24% di esportazione contro il 6% delle piccole e medie aziende.
Tra i motivi che le aziende hanno indicato quali fattori di maggior contributo al miglioramento della concorrenza, la politica dei prezzi (61%) e la concorrenza dei mercati (68%) si sono posti di gran lunga in primo piano. Sembra peraltro evidente che la politica dei prezzi, se ha richiesto consistenti sforzi sul mercato interno, dovrebbe essere risultata meno difficoltosa su quelli esteri, considerata la consistente svalutazione accusata dalla lira sulle principali aree di esportazioni. Ciò non toglie peraltro che, in presenza di una domanda interna moderatamente ricettiva, gli sforzi degli imprenditori si siano canalizzati con maggiore insistenza verso sbocchi extranazionali.
Sempre con riguardo ai fattori che hanno agito in senso positivo, è da segnalare la quota relativamente ampia (20%) fatta registrare dai miglioramenti del prodotto. Più diversificati sarebbero risultati, viceversa per le aziende del campione che hanno accusato un peggioramento di concorrenzialità, i fattori che hanno agito negativamente: tra questi, le frequenze dei giudizi hanno messo in rilievo la non competitività dei prezzi (63%), l'obsolescenza del prodotto (30%), la concorrenza (20%), la scarsa azione di promotion (23%), l'obsolescenza degli impianti (20%).
I primi risultati realizzati dalle aziende del campione in termini di mercato sono stati conseguiti avvalendosi di una gamma di prodotti sostanzialmente immutata rispetto a quella degli anni precedenti. In tal senso si è espresso infatti il 67% degli intervistati, contro il 26% che ha dichiarato di aver modificato la produzione e il 7% che l'ha completamente innovata. Ove si interpreti l'ampiezza di quest'ultima percentuale quale indice del grado di adattabilità della produzione all'evoluzione - soprattutto qualitativa - della domanda, è interessante osservare come i valori registrati negli ultimi anni si siano commisurati al 5% nel '76, all'11% nel '77 e al 7% nel '78. Questa serie di valori tende a segnalare i maggiori sforzi messi in atto dalle aziende durante la recessione del '77 al fine di mantenere la propria quota di mercato rispetto ad anni di ripresa, quali sono stati il '78 e soprattutto il '76.
Anche se nell'insieme la posizione concorrenziale delle aziende risulta nell'indagine contraddistinta ancora da una percentuale elevata di imprese che hanno espresso un giudizio sfavorevole (oltre il 60%) sono da sottolineare taluni mutamenti di rilievo per quanto concerne il valore finale nelle sue tre componenti dimensionali, mutamenti che riguardano in particolare:
- le grandi industrie, la cui competitività appare in qualche misura deteriorata fra i due anni in base alla quota di diffusione delle valutazioni "non buone" (dal 40 al 35%). Tale andamento - nonostante gli sviluppi produttivi comunque realizzati da questa classe di aziende in diversi comparti - deve soprattutto attribuirsi alle crescenti difficoltà incontrate dalle aziende operanti nel settore della costruzione dei mezzi di trasporto, la cui situazione non soddisfacente ha fortemente inciso sul dato medio;
- per contro, la posizione concorrenziale delle industrie di minori dimensioni appare, nei confronti dell'anno precedente, nettamente migliorata. Sono le medie aziende ad aver registrato i progressi più marcati (5 1% con opinioni positive, contro il 41% nel '77). L'evoluzione considerata pone nella sostanza in rilievo l'acquisita maggiore competitività dell'industria meridionale che tende ad allinearsi sui livelli medi competitivi del Paese.
I settori in cui si osservano per le piccole e medie aziende - in base alle più consistenti quote di ampiezza - dei miglioramenti più marcati nella loro situazione concorrenziale, sono quello alimentare (medie), del legno e sughero (piccole e medie), cartario (piccole) e meccanico (piccole).
Schematicamente, sulla base delle risultanze dell'indagine lasm, nel '78 la posizione delle aziende nei vari comparti di attività del Sud può essere così descritta:
1) uno sviluppo favorevole è stato segnalato dai settori estrattivo, alimentare, del vestiario, arredamento, abbigliamento, della carta e cartotecnica;
2) un'evoluzione sostanzialmente stabile su buoni livelli si è riscontrata nel settore metallurgico;
3) un andamento in prevalenza negativo si è avuto invece nei comparti dell'industria tessile, delle calzature, delle pelli e cuoio, del legno e sughero, del mobilio e arredamento in legno, meccanico, chimico e derivati del petrolio, della costruzione mezzi di trasporto, dei materiali da costruzione, della gomma, delle poligrafiche ed editoriali, e delle materie plastiche.
Fra le regioni si osserva in particolare che le industrie localizzate nel Lazio, in Abruzzo ed in Puglia hanno segnato le quote più elevate nei confronti di un grado concorrenziale definito come "buono". Un certo deterioramento o comunque delle percentuali non soddisfacenti sono state registrate in Campania ed in Calabria; valori intermedi risultano nel Molise, in Basilicata, in Sicilia e in Sardegna.
In sostanza, gli anni più recenti avrebbero messo in luce una accresciuta reattività dell'apparato industriale del Sud alle inversioni cicliche registrate dall'economia nazionale.
E' interessante osservare come particolarmente dinamica si sia presentata anche nel '78 l'iniziativa pubblica nel suo complesso nel Mezzogiorno. A fronte di un incremento del 5,4% del totale degli investimenti pubblici in lire correnti su tutto il territorio nazionale, gli interventi della Cassa per il Mezzogiorno si sono ampliati del 26,9% (con una quota del 18,3% destinata alle aree industriali a fronte del 15,5% dell'anno precedente); quelli delle Partecipazioni Statali dell'11% (di cui oltre la metà per la sola industria manifatturiera); quelli delle Aziende Municipalizzate del 67,4% variazioni che riflettono una linea di tendenza da anni consolidata, che vede l'iniziativa pubblica comparativamente più intensa nel Sud rispetto al Centro-Nord.
La positiva evoluzione emersa dall'indagine con riguardo agli investimenti dovrebbe riconfermarsi anche nel '79. Per quest'anno, il 69% degli imprenditori ha dichiarato l'intenzione di effettuare spese in capitali fissi, essenzialmente al fine di migliorare la tecnologia degli impianti (70%), per ampliare la capacità produttiva (54%) e per sostituire gli impianti (47%).


Territorialmente hanno denotato una particolare dinamicità ad effettuare investimenti il Lazio (96%), il Molise (89%), le Puglie (90%), la Basilicata e la Sardegna, mentre relativamente debole è risultata - quanto meno al confronto con i valori medi - la propensione degli Abruzzi (40%), della Campania (65%), della Calabria (55%) e della Sicilia (59%). Una suddivisione d'altro canto che ricalca da vicino quella che è stata l'evoluzione congiunturale territoriale in corso di anno: positiva per le regioni del primo gruppo, deludente per quelle del secondo.


Settorialmente, invece, si sono contraddistinti per una buona propensione all'investimento i settori estrattivo (97%), alimentare (92%), tessile (91%), metallurgico (97%), quello della costruzione dei mezzi di trasporto (85%) e il cartario (98%), mentre pesante è apparsa la situazione - a conferma ancora una volta in molti casi di una crisi strutturale che travalica i confini del Meridione -nel settore del vestiario (40%), del mobilio (37%), nelle poligrafiche (24%) e nel calzaturiero (23%). Contrastanti sono risultati i dati per le meccaniche, ove si consideri che la selezione ha dato luogo a valori positivi pari al 57% per le piccole aziende, all'88% per le medie, al 43% per le grandi.
Le risultanze relative alla destinazione degli investimenti hanno confermato come le spese in capitali fissi sono state effettuate primariamente per migliorare tecnologicamente il processo produttivo (66%), e in subordine per ampliare la base produttiva (49%) e per sostituire gli impianti (45%). Questa graduatoria di finalità ha trovato riscontro in tutti e tre i tipi di aziende considerate dall'indagine sotto il profilo dimensionale.
Rispetto ai programmi preventivati per il '78, il 25% delle aziende ha apportato variazioni di stanziamenti in più, il 18% in meno e il 57% non ha modificato i preventivi iniziali. Tra le ragioni che hanno indotto gli imprenditori ad aumentare l'importo degli investimenti è da notare come l'obsolescenza dei macchinari sia risultata, nella media, di gran lunga la più diffusa (60%), forse a testimonianza di come sia stata sentita da parte delle aziende l'esigenza di tener fronte al mercato in termini di qualità e prestazioni del prodotto. Anche l'aumento dei prezzi (45%) e l'ampliamento dei progetti (34%) hanno costituito motivo ricorrente per aggiornare gli stanziamenti in capitali fissi. Tali risultanze medie hanno peraltro sottinteso attribuzioni diversificate sul piano delle dimensioni aziendali. Tra i motivi invece che hanno indotto le imprese a ridimensionare i programmi, le difficoltà finanziarie hanno costituito un handicap ricorrente (86%).
Gli investimenti realizzati dalle aziende del gruppo caratterizzato da una maggiore propensione agli investimenti hanno trovato la loro copertura finanziaria soprattutto nell'autofinanziamento (47%) e nell'intervento degli enti pubblici (61%), canale quest'ultimo particolarmente utilizzato dalle aziende di grandi dimensioni, forse a motivo di una maggiore conoscenza degli apparati e delle procedure particolari che rientrano nell'ambito degli aiuti previsti per il Mezzogiorno.
L'autofinanziamento è risultato a sua volta lo strumento più utilizzato dalle piccole e medie industrie, forse a causa delle maggiori difficoltà ad accedere al sistema creditizio. Quasi del tutto assente il ricorso finanziario al leasing: tale sistema, che a suo tempo era stato introdotto al fine di agevolare quelle aziende più dinamiche in termini di presenza sul mercato, ma dotate di scarsa liquidità, ha finito per risolversi in molti casi in un aggravio finanziario per gli elevati tassi di interessi passivi praticati.
Per le aziende caratterizzate da una più debole propensione agli investimenti, l'autofinanziamento (66%) e il credito bancario (66%) sono le forme primarie cui esse hanno fatto ricorso, mentre un accesso limitato è stato segnalato nei confronti del finanziamento da enti pubblici e per l'aumento di capitali.
Il '78 si è confermato come anno non facile per le aziende ai fini dell'acquisizione dei finanziamenti. Le difficoltà hanno riguardato prevalentemente il credito di esercizio. Ciò comproverebbe fra l'altro quanto sia stata acuta la politica monetaria a sostegno della ripresa congiunturale. Anche l'allungamento dei termini di pagamento ai clienti ha contribuito secondo le aziende ad accentuare gli ostacoli relativi a questi problemi.
Difficoltà - sia pure minori - si sono avute per il reperimento di capitali destinati all'immobilizzo, dovute soprattutto ai ritardi nei confronti dell'erogazione di finanziamenti e contributi, allo scarso accesso al sistema bancario.


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