§ LA RISCOPERTA DEI "PICCOLI"

Imprese, Costi, Dimensioni




Libero Lenti



Ancora qualche anno fa, e diciamo pure negli anni '50 e '60, era di moda magnificare i risultati delle economie di scala. Si diceva, cioé, che quanto più grande era la dimensione di un'impresa, e correlativamente degli investimenti, tanto maggiori erano le economie che si potevano fare, con ovvi riflessi sui costi d'ogni unità di prodotto. Oggi, negli anni'70, questo mito sta tramontando, se non è già tramontato, e non solo nel nostro sistema economico, ma anche nel resto del mondo. In altre parole, s'è constatato e si constata che al di là di un certo limite la dimensione delle imprese non determina una riduzione dei costi per unità di prodotto, ma in taluni casi perfino la aumenta.
Trattasi di un problema che merita qualche annotazione meno occasionale di quelle provocate dalle discussioni sulla cosiddetta "economia sommersa" che secondo taluni è la salvezza e secondo altri la perdizione del nostro sistema economico. Comunque, per discorrerne in modo serio si deve fare intanto una premessa e sia pure una premessa così lapalissiana da essere quasi imbarazzati nel formularla. Ogni impresa risulta dal coordinato funzionamento dei mezzi materiali (risorse naturali e capitale) e dei mezzi personali (imprenditoria e lavoro). Gli apporti di quest'insieme di mezzi danno luogo a un prodotto netto (valore aggiunto meno ammortamenti) distribuito sotto forma di redditi a coloro che hanno fornito i fattori di produzione.
Conviene pure aggiungere, per completare questo modello di produzione e di distribuzione del prodotto netto, che gli apporti dei singoli fattori di produzione sono strettamente legati alla dimensione dell'impresa. Per esempio, è assai probabile, per non dire certo, che in una impresa di modesta dimensione l'apporto delle capacità imprenditoriali, di quelle che con disprezzo taluni definiscono H "padronato", sia superiore a quella che si manifesta in un'impresa di grande dimensione. E' chiaro che la maggiore o minore importanza dell'apporto nell'imprenditoria nella piccola e nella grande impresa a sua volta si riflette in senso opposto su quello di altri fattori di produzione, per esempio del capitale e perfino del lavoro.

Importanza del fattore umano

In concreto, dunque, nella piccola impresa rispetto a quella grande prevale il fattore "uomo". Ciò spiega, sia pure in parte, la corsa verso il piccolo che in alcuni casi spinge verso il privato. S'è perfino detto che la grande crisi economica del 1929 - 33, di natura deflazionistica, è stata affrontata e risolta grazie all'intervento della pubblica amministrazione. Ma si dice pure che quella odierna, di natura inflazionistica, potrà essere risolta solo con un rientro della pubblica amministrazione nei limiti dei suoi compiti istituzionali che sono poi quelli d'offrire in modo efficiente beni e servigi collettivi indivisibili. Non rientrano di certo in questi limiti le attività che in ultima analisi si risolvono in una concorrenza sleale nei confronti di quelle svolte dalle imprese private.
Questa slealtà risulta dal fatto che si tratta di una concorrenza che deforma la logica del mercato, la quale, per chi non lo sa o non lo vuole sapere, significa solo affidare, o meglio, riaffidare, alla responsabilità dell'uomo "privato" decisioni economiche che l'uomo "pubblico" ha dimostrato di non saper prendere. Affidargli queste scelte significa pure fare dell'uomo privato il responsabile dei bene o del male, dei vantaggi o degli svantaggi, ed insomma dei risultati positivi o negativi della sua attività economica. L'uomo pubblico, questa responsabilità non è in grado di assumere, specie se tiene presente che quando se la assume v'è sempre la copertura di una pubblica amministrazione dove la responsabilità è di tutti e quindi di nessuno.

La legge di Parkinson è ancora valida

Questo ritorno verso il piccolo o se si vuole verso il privato si manifesta nel nostro sistema economico in mille modi. Ne cito uno solo: la diffusione del sistema delle commesse che le grandi imprese affidano alle piccole. Questo non vuole affatto dire che nelle piccole imprese, e perfino in quelle artigiane, il lavoro sia sacrificato, diventi per così dire "nero". Il più delle volte accade proprio il contrario. L'assidua presenza degli imprenditori, d'un imprenditore a misura d'impresa, consente d'aumentare la produttività, tallone di Achille del nostro sistema economico, e quindi d'aumentare, a parità di mezzi impiegati, il prodotto netto dell'impresa di cui non beneficia solo l'imprenditore ma anche e soprattutto il lavoro.
Con questo non voglio dire che in un sistema economico modernamente organizzato come il nostro si possa operare solo in base a piccole imprese. Anche quelle grandi sono necessarie. Ma non è senza significato che anche le grandi imprese cerchino in tutti i modi d'operare con un impiego più flessibile dei fattori di produzione in modo d'evitare i molteplici impacci creati da interventi pubblici, che anzichè stimolare la produzione la frenano, quando non la taglieggiano.
E' un dato di fatto, per esempio, che molte grandi imprese si sono per così dire "divisionalizzate", e cioè hanno cercato e cercano di creare nel loro ambito divisioni operative più o meno indipendenti, vale a dire affidando maggiori responsabilità ai dirigenti delle stesse divisioni. Anche questa tendenza, da un certo punto di vista, rappresenta una corsa verso il piccolo, come del resto è quella riguardante la creazione d'imprese finanziarie che rispondono alla necessità di dotare le imprese che ne fanno parte del necessario capitale, ma nel tempo stesso di ristabilire un maggior equilibrio tra l'apporto dei mezzi materiali e di quello dei mezzi personali.
Può darsi che non tutti concordino sulla tesi che il mito delle economie di scala sta tramontando. Dirò allora che se proprio non sta tramontando, almeno si sta trasformando. In altre parole, la correlazione inversa tra la dimensione delle imprese ed il costo per unità di prodotto non risulta così precisa, così incontrastata, come si era soliti affermare qualche anno fa. Del resto, la legge di Parkinson sulla crescita in ragione geometrica dei costi burocratici in parallelo alla crescita in ragione aritmetica della produzione ne è una prova. E' una lezione, questa, di cui non si deve dimenticare l'insegnamento.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000