§ Narrativa popolare del Salento

Storie vernolesi




Luciano Graziuso



L'aneddotica si rivela come una caratteristica costante dell'animo popolare; si può affermare che essa ne sottolinei e confermi la sua vitalità e vivacità.
Ogni paese possiede un patrimonio, già cospicuo, di storielle, che, tramandate per lo più oralmente, si è andato però sempre più assottigliando, specie ora che una così detta " civiltà di massa " tende ad uniformare ogni prodotto di cultura.
Da quando nel secolo scorso il Romanticismo rivalutò le tradizioni popolari, non si è mancato di pubblicare, sia pur attraverso periodi di alterna fortuna, varie sillogi di racconti popolari; di recente, per dare un esempio, Il Breviario di Papa Galeazzo (1973) ci ha riproposto, attraverso la prosa forbita e precisa di Michele Paone, le esilaranti battute del Curato di Lucugnano, il personaggio forse più illustre (anzi certamente il più illustre) dell'aneddotica salentina.
Si è trattato però di opere riguardanti o un solo personaggio o una sola regione. La discoteca di Stato, invece, sotto l'egida del Ministero dei beni culturali e ambientali, ha dato alle stampe nel 1975 un grosso volume dal titolo Tradizioni orali non cantate, che, contiene, come può leggersi nel sottotitolo, il " Primo inventario nazionale per tipi, motivi e argomenti di fiabe, leggende, storie e aneddoti, indovinelli, proverbi, notizie sui modi tradizionali di espressione e di vita... di cui alle registrazioni sul campo promosse dalla Discoteca di Stato in tutte le regioni italiane negli anni 1968/69 e 1972 ".
A dare un'idea della eccezionale vastità dell'opera va subito notato che le 700 pagine raccolgono solo i titoli dei testi con la classificazione e i relativi rimandi, ma non il testo vero e proprio, depositato su nastri presso la Discoteca di Stato di Roma.
Per la provincia salentina le inchieste sono state condotte a Galatone da Vittorio Zacchino, a Novoli da Fernando Sebaste e a Vernole da chi scrive quest'articolo, per un totale, rispettivamente, di 62, 66 e 62 brani; responsabile della Regione era il compianto prof. Oronzo Parlangeli, che non poté vedere il compimento né di quest'opera, né dell'altra, la Carta dei dialetti italiani, cui aveva generosamente dedicato le sue migliori energie.
Da tutto, o anche da una parte soltanto del materiale raccolto a Vernole, come di quello degli altri centri del Salento, potrebbe venir fuori un volume ricco, aggiornato, genuino e suggestivo (o un nastro o un disco - uno o più) sol che qualcuno se ne volesse assumere l'iniziativa.
Riferisco in questa sede solo di alcune storielle abbastanza recenti, collegate ad un avvenimento di straordinaria risonanza, quale la seconda guerra mondiale:
I) Un soldato di Acquarica di Lecce (frazione del Comune di Vernole), che, per la presenza di vicine paludi e acquitrini (da cui probabilmente il nome) si distingueva per la fabbricazione di corde e altri prodotti a base di giunchi, per far sapere ai propri familiari che le vicende belliche procedevano in modo ben diverso da come la propaganda volesse far credere, scrisse in una lettera dal fronte che essi "andavano avanti come gli zzucàri ". Lo sprovveduto lettore addetto alla censura militare lasciò passare la frase, perché evidentemente non ne intese il significato, che invece risultò ben chiaro ai compaesani cui era diretta, i quali per provata esperienza sapevano che in tale lavoro si procede marciando all'indietro (1).
II) Un altro soldato si mise d'accordo con i suoi che, se le cose al fronte fossero andate bene, avrebbe usato inchiostro nero, in caso contrario inchiostro di color rosso. Dopo un po' scrisse con il nero, avvisando che tutto andava a gonfie vele, ma infine aggiunse, come post scriptum: "non ho trovato inchiostro rosso ".
Balza evidente in questi due brevi aneddoti la scaltrezza di chi, pur in condizione subalterna, riesce a far sapere ai suoi, quasi in codice, la realtà della situazione.
A queste due furbesche... scappatoie si fa cenno nell'inchiesta citata (Vernole, nastro VIII, nn. 345-430) durante la presentazione e la spiegazione di 28 wellerismi (2).
Questi altri due raccontini non fanno parte invece della raccolta e, tranne che per Vernole, conservano il sapore dell'inedito:
III) Durante la guerra, come molti di noi ancora ricordano, l'attività dei forni era controllata dalle autorità militari, perché il grano doveva esser consegnato all'ammasso ed il pane veniva distribuito -giorno per giorno - mediante stacco del tagliando della tessera personale.
Molte però erano le vie attraverso le quali ci si arrangiava per non morire - o quasi - di fame. Le autorità preposte chiudevano un occhio e poi ne ricevevano una o più o meno pattuita - ma sempre gradita - ricompensa.
Di fronte a una bella " cotta " di pane fresco e friselle, un maresciallo del tempo, come per mostrarsi scandalizzato, ponendosi la mano tra fronte e naso, ebbe ad esclamare: " Ma qui dobbiamo chiuderci proprio tutti e due gli occhi! ", a cui, pronta, la fornaia ribatté: " Si, maresciallo mio, chiudiamoci gli occhi, ma apriamo questa! ", indicando la bocca e facendo con la mano il segno relativo all'atto del mangiare.
IV) Per dare ferro alla Patria si procedé, sempre durante la seconda guerra, alla rimozione, spesso dissennata, di cancellate ed altre opere utili e valide; campane, perfino.
Ora a Vernole, mentre si procedeva ad uno di tali lavori, una donna del popolo, che intuiva l'inutilità di simili imprese e non aveva peli sulla lingua, sbottò: "Ma guarda un po' quante ne sta combinando quel figlio di fabbro! ".
L'allusione fu colta subito da una guardia, la quale, per incriminare la donna, chiese di precisare meglio il senso della frase. Ma la donna senza scomporsi, rispose: " E che credi che solo Mussolini è figlio di fabbro? Io mi riferisco a Maestro E.C., perché suo figlio me ne ha fatta più di una! ". E si salvò così da ogni incriminazione.
Vale la pena, a questo punto, riportare dal citato volume Motti e proverbi (pag. 90, s.v. Isso) l'aneddoto raccontato da Francesco Flora: " Durante la seconda guerra mondiale, un giorno a Napoli innanzi ad una panetteria c'era doppia e lunghissima coda; due guardie governavano l'entrata. E una popolana prese ad inveire contro Lui (Mussolini), ISSO: " Ma Isso mangia il pane bianco, ISSO! non fa la fila, il fetente, il gran chiavico! ". A queste parole una delle guardie si fa avanti, minacciosa: " Credete che non l'abbia capito con chi l'avete? ". " Io l'ho con mio marito "rispose la donna. E per il momento la cosa sembra finita. Ma quando dopo un'ora giunge il turno di colei che protestava, la guardia, indicandole la soglia, la invita con queste parole: " Donna Rachele, TRASITE! (entrate!) ".
E' una dimostrazione della vivacità popolare e di come queste storie poi, attraverso una capillare circolazione, riemergano qua e là, in modo per altro assai spesso spontaneo ed autonomo.


NOTE
1) E' illuminante quanto si legge a proposito in Motti e proverbi delle Regioni italiane, ed. Mondadori 1972, p. 12: AE DE RETU A RRETU COMU ALLI ZZUCÁRI: Pugliese di Lecce. " Andare di dietro indietro come i cordai ". Si chiamano ZZUCÁRI i fabbricanti di corde, funi, latte con una specie di giunco detto PILIEDDU. Nel dialetto barese si chiamano propriamente MEST - A - L'ANDRETE (= letter. maestro all'indietro). Mentre gira il meccanismo (una grossa ruota, mossa da una manovella), il funaio, per dare alla fune la lunghezza desiderata, va aggiungendo, di mano in mano che occorre, ai primi altri giunchi; e ciò non può fare che camminando a ritroso. Il motto leccese, dunque, vuol dire " regredire", e si usa specialmente nei riguardi di coloro la cui condizione economica va continuamente peggiorando.
2) WELLER, Samuel: personaggio dei Pickwick Papers (1836) di Dickens. Ingl. wellerism (da cui nell'it. dei folkloristi wellerismo, ecc.) "espressione attribuita a un personaggio più o meno noto con la formula come diceva, come disse " (B. Migliorini: Dal nome proprio al nome comune, Firenze, 1968, s.v.).


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