§ Isole linguistiche

Parlavano in "sì " minore




Enrico Surdo



Ma un poco alla volta la loro identità culturale si sta perdendo; e per altri è sparita, sopraffatta dall'italiano, dai mass media, dai nuovi comportamenti. Emarginazione, dapprima; poi emigrazione e sottoccupazione hanno fatto il resto.

I Catalani arrivarono nel 1354, al seguito di Pietro IV d'Aragona, che aveva occupato Alghero. Oggi ce ne sono quindicimila in Sardegna, parlano tutti catalano puro, si tramandano tradizioni e costumi immutati da secoli. Ma, come per altri gruppi allogeni, un poco alla volta la loro identità culturale si sta perdendo, sta scomparendo la loro lingua, sopraffatta dall'italiano.
La situazione è più o meno la stessa per centomila albanesi (sparsi in diversi paesini tra il Molise, la Campania, a Calabria e la Puglia); per ventimila greci o grecanici (gli ultimi vivono in Calabria e nella penisola salentina); per ottantamila 589 ladini e per duecentomila occitanici che vivono nelle Alpi occidentali e parlano ancora l'antica, nobilissima lingua d'Oc; per la piccolissima comunità dei serbo-croati (tremila e cinquecento in tre comuni del Molise); per centomila sloveni di Trieste; per i tedeschi (non per i 275 mila in Tirolo, ma per i quindicimila nell'arco alpino) e per i novantamila franco-provenzali del Piemonte e della Valle d'Aosta.
In tutto, quasi un milione di persone, senza contare un milione e duecentomila sardi , anche loro comunità, con una lingua e con tradizioni proprie: minoranze che stanno sparendo, perché si è imposto l'uso della lingua italiana, in aperta violazione dell'articolo 6 della Costituzione, che prevede la tutela delle minoranze etniche, religiose e razziali. Qualcuno ha parlato di "genocidio culturale " , e crediamo che non abbia esagerato. Basti pensare a quel che è accaduto alle popolazioni di lingua grecanica nella penisola salentina (e sta accadendo alle isole grecaniche calabresi): dapprima la scuola ha escluso l'insegnamento delle " lingue minori ", imponendo il solo italiano; poi l'avvento della televisione ha fatto il resto. Le leggi dei Savoia hanno colpito come Mike Bongiorno. Oggi, i giovani della " Grecìa salentina "non parlano più la lingua della loro terra, o ne conoscono un glossario estremamente limitato: e si va perdendo, in questo modo, una tradizione (usi, riti e costumi, poesia e canti e racconti: tutto un mondo creato nel corso di secoli) che pure ha avuto pagine e momenti di indimenticabile splendore, se è vero, come è vero, che la stele ateniese donata a quella che può essere considerata la "capitale " del mondo grecanico salentino, Calimera, afferma, nelle parole incise, che un greco non è straniero in quella città. E c'è voluto il grande amore di un calimerese, il professor Aprile, perché non andasse del tutto perduto un patrimonio (in massima parte orale) di inestimabile valore.
Più vivo l'interesse in questi mesi, per gli albanesi e per i greci di Calabria. In questa terra, il turismo in pieno sviluppo non ha escluso riti e tradizioni locali: li ha anzi proposti direi con determinazione, imponendoli - com'era ovvio - con facilità, al punto che ora sono una componente creativa del richiamo turistico. E non è che si sia ridotto tutto al folclore, all'agevole consumismo estivo: cori, balletti, recitazioni, in una parola il ricchissimo revival grecanico e albanese della Calabria hanno fondamenti scientifici, sono stati riportati con fedeltà agli antichi splendori. E non si è che agli inizi. Tutto intorno , un rinascere di iniziative culturali, dibattiti, ricerche, registrazioni, raccolte di materiali, in misura e con organizzazione sconosciute altrove.
Quasi lo stesso lavoro che si vuol fare in Sardegna: qui è l'intera isola ad esserne coinvolta, con i suoi codici di comportamento, con la lingua e con le énclaves costiere e interne, con l'arte, con riti e tradizioni: un lavoro sterminato, ma anche un lavoro che può dare non solo una storia, ma una letteratura, una poesia un teatro, una favolistica originali, inedite.
Non sono, questi della Calabria e della Sardegna, che due esempi di quel che si potrebbe fare per tutte le minoranze linguistiche italiane; le quali, del resto, e forse per una imperscrutabile nemesi storica, sono oggetto di studio e di ricerca da parte degli stranieri, più che degli italiani. E l'opera monumentale, le pazienti ricostruzioni idiomatiche, le ricerche e le comparazioni territoriali di un Rohlfs insegnino per tutti.
Colpiti dall'emarginazione, dapprima, e poi dall'emigrazione e dalla malattia epidemica della sottoccupazione, quelli che parlano le lingue " minori ", negli arcipelaghi assediati dall'italiano, invasi dai mass media, sono sempre meno. Vanno scomparendo nobili, antichissime civiltà locali, proprio nel momento in cui ciascuna regione cerca di ricreare la propria identità storica e culturale. Annegano nel mare di un italiano addirittura approssimato (e non per evoluzione, ma per degradazione della lingua) tipici linguaggi che proprio alla formazione della "lingua del sì ", dell'italiano classico hanno dato inestimabili contributi. Come svuotate da una lunga resistenza, colpite da un morbo inguaribile, le aree allogene della penisola hanno visto cadere la tensione spirituale, in un primo tempo; poi hanno assistito, senza poter opporre nulla, all'impoverimento progressivo e alle crescenti contaminazioni della lingua; infine, ed è storia dei nostri anni, hanno visto morire, o stanno per vedere moribondo, intero il mondo che la ha formate, intere le radici su cui sono cresciute: radici lontane, remote, di civiltà autenticamente autoctone. Il progresso è fatto anche di puntuali perfidie e di qualche tradimento. Occorre dire di più?


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