Da Sud a Sud




Luigi C. Belli



Cassino

C'è tutto un bastione grigio di montagne. Inutile cercarvi una macchia verde, una vibrazione. Anche il giorno fatica a scalare quel grande muro, la nebbia sbuca dai baratri, fa viscido il paesaggio. La lunga strada che porta al centro di Cassino insospettisce. In alto, oltre quelle gramaglie setose, un chiarore lascia trasparire le sagome tozze dei monti Ernici e Lepini. L'Abbazia benedettina sta tra il cielo e la terra. Cielo e terra anonimi. La stessa pianura che si immagina, qui, è impersonale. Case piatte. Ore parallele.
A pochi passi è Montelungo. A Montelungo si aprì un varco alla speranza italiana di cambiare pelle. Dietro le spalle, tra il Gari e il Liri, la guerra aveva lasciato i suoi inconfondibili segni, le macerie fumanti, i morti, il dolore, il rancore. C'erano, passati tutti, su quelle macerie e su quei morti. Tedeschi americani canadesi inglesi polacchi tunisini marocchini. E tutti avevano lasciato la propria impronta. Cassino non fu Varsavia, o Londra, o Praga, o Stalingrado. Non apparteneva ad una terra aggredita. Eppure subì un massacro e avviò un riscatto. Scomparve sotto il tritolo e assistette alla prima riscossa. La sua vicenda dapprima impensierì, poi commosse il mondo.
Molto accadde, nulla mutò. Rinacque una città quadrata e incolore. Dante Troisi dice che era un paese su misura per preti e avvocati. Poi venne la guerra. " Ma l'ombra dell'abbazia era così densa e protettiva che non vi fu allarme... E invece gli eserciti, per confrontarsi, scelsero proprio questo posto: e chissà, insieme alle ragioni strategiche prevalse anche la tentazione di dissacrare e commettere sacrilegio ".Il furore durò otto mesi, dopo di che gli abitanti "emersero, davvero nudi, dalle tane scavate ai margini del cerchio di fuoco, senza più un brandello di quegli ormeggi creduli capaci di assicurare l'incolumità personale e l'integrità del paese... Ed essi, gli scampati, provarono la sensazione di essere come i primi uomini, e però con l'angoscia di tanta desolazione pure l'esaltante ambizione di cominciare daccapo ".
Qui correva il confine tra i Borboni e lo Stato Pontificio. Non c'era stato un pensiero. Non poteva esserci stato nemmeno un contrabbando di idee. Voltaire era all'indice. Messale forca farina: solo questo. A Unità avvenuta, un secolo di cultura a bagnomaria aveva fatto il resto. La stessa cornice geografica era emblematica. Da un lato premeva il duro Abruzzo. Al versante opposto, le montagne e le colline crepate, aride, con vegetazione sterpigna e terre improduttive. Erano le porte occidentali di una Vandea. Come dopo un gigantesco autodafé, poteva rifarsi tutto. Eppure, dice Troisi, nessun segno, " perché nei patimenti non v'era luce, nel dolore non v'era attesa di un futuro diverso, la morte era un inganno... ".
Si costruì di rapina. Prima gli uffici pubblici; subito dopo, lì intorno, due file di case. Cassino perdette la pigrizia d'un tempo, ma non seppe darsi un'anima. Un vuoto verticale.
Due piccoli tanks, sbilenchi, mezzo affossati, puntano le bocche da fuoco al vento del nord, come in difesa dell'abbazia. A un centinaio di metri un rudere recinto. Scenari diacci. Non suscitano risentimento. Non sono in letargo, sono morti. Morto il dolore della morte, morto il dolore delle bare. In cima al bastione, tutt'intorno, i cimiteri militari. Quello tedesco -appartato - è tra i monti gessati di Caira. Il polacco è una conchiglia sotto lo sperone dell'abbazia. L'inglese è il meno alto, anzi, è raso terra, sembra un campo di golf di Liverpool, non fosse per quelle croci bianche allineate (nome cognome due date: età media, vent'anni). Sulla breve scalinata d'ingresso, sopra un piedistallo, una colonna tronca: come se avessero vibrato un maligno colpo di zagaglia. Al centro del prato, un acquario a cielo aperto riccheggia bagliori sanguigni alla luce del tramonto. Sullo sfondo, la grande Croce di Westminster apre braccia marmoree. Al posto del Cristo, la spada degli Stuart.
Se tutti questi morti non sono bastati a dare un'anima a questa città-simbolo, perché si è combattuto? perché in tanti, e così giovani? Essi non erano venuti a conquistare, a saccheggiare, né a togliere la libertà. Perché?
Mi avvicino, supero i gradini di pietra serena, il sole italiano si smorza dietro le vette nevose dell'ovest. Di fronte alla gran Croce, l'altare lineare del rito anglicano. Apro i bronzi del tabernacolo. Avvolti in un velo nero, dei libri: nomi, cognomi, date, indirizzi. Sulla destra di ciascuna pagina, lo spazio per un'annotazione: un pensiero di riconoscenza, una parola di speranza o di pietà. Si può tradurre dall'inglese, dal francese, dallo spagnolo. Molti vengono dalla Polonia e dalle steppe oltre il Don. C'è persino qualche nome tedesco. Tutti gli uomini hanno espresso su queste pagine una testimonianza di dolore, un desiderio di pace, un atto d'amore pieno di fede che non conosce frontiere.
Sfoglio le pagine, cerco i nomi "nostri ", italiani. Quest'area è una delle porte del Sud, la terra degli uomini dalle forti passioni, dal cuore viola, dall'amicizia per la vita e per la morte. Scorro un elenco, un altro e un altro ancora. Ecco, finalmente: fra tante mani straniere, una ha tracciato una firma famigliare, e certo vi è, in fondo, il primo pensiero della dignità riconquistata, della libertà spuntata - seme fecondo e indistruttibile - dai campi della morte. Leggo d'un fiato: -Diciannove settembre 1961 - Anna e Carlo - Napoli - Oggi, fidanzati -.

Gaeta

Qui ebbe fine il Regno di Napoli, qui i napoletani combatterono spavaldamente contro i francesi del generale Rey, qui i romani costruivano - tra il mare e le vigne - ville superbe, qui Enea, che avvistò l'Italia nella salentina Porto Badisco, sbarcò per seppellire la nutrice Cajeta. Il ricordo dell'antichità romana è dovunque: ruderi in opus reticulatum come papaveri in un campo di grano. Nella Gaeta medioevale colonne capitelli fregi cornici incorporati nelle antiche -costruzioni ricordano la vitalità del pensiero e la complessità delle vicende storiche. Gaeta risorse per prima dalla tragedia delle invasioni barbariche, agevolata dalla posizione, dalla passione per i commerci, dall'intraprendenza dei suoi uomini. Si organizzò sotto un duca, che con termine bizantino fu detto " ipata ", ed estese il dominio dal Circeo al Garigliano. Nel centro storico, abbandonato dopo i cannoneggiamenti dal mare dell'ultima guerra, s'incontrano nella penombra delle stradine portalini gotici, logge medievali su archi a mensole, e quel che resta della dimora dell'ipata e del palazzo di re Ladislao di Durazzo, che qui tolse la prima moglie, Costanza di Chiaromonte.
E legata come da un cordone ombelicale, Formia, prediletta anche nella morte da Cicerone e prescelta dai Lamii e dai Mamurra per le loro lussuose residenze estive: cadde nel silenzio dopo il crollo dell'Impero romano. Riemerse dopo cinque secoli, quando papa Giovanni X vi debellò con i volontari della Lega cristiana i saraceni invasori. In quei tempi, la città era la somma di due villaggi, poi cuciti dalla piazzaforte di Castelmola, che vide passare re Giuseppe Bonaparte, l'austriaco generale Lawer, Pio nono, re Ferdinando secondo; fino a che, erroneamente ritenendola colma di truppe borboniche, l'infausto ammiraglio Persano la rase al suolo, colpendola dal mare.
Inseguita, la storia si rifugiò nella vicina Villa Caposele. Qui ebbe sede il quartier generale di Cialdini all'assedio di Gaeta; nella Gran Sala, Cialdini per il Piemonte e Milon per il Regno firmarono la capitolazione borbonica. Qui finì un'epoca. Il Reame partenopeo, ridotto alle persone di re Ferdinando e di Maria Sofia, al loro mesto séguito, ai personali forzieri, prese il largo a bordo del battello francese " La Muette ", in rotta verso gli Stati Pontifici. La real casa emigrò, la storia si fermò. E una volta fermatasi, riuscì anche a fossilizzare. Per millenni non aveva fatto altro.

Taranto

Sarà un'eredità spagnolesca. Una delle tante. A Siviglia, infatti, c'è una Settimana Santa che si svolge in un clima di mistero e di maestosa solennità. Siviglia e Taranto sono a ridosso del quarantesimo parallelo. Sgretolata dal sole e dal vento, l'Andalusia è un Salento spagnolo che ha le serre gonfie e imponenti. La Murgia salentina è una Sierra Nevada in scala ridottissima, con l'acqua che sembra un bene irraggiungibile. E su questo bianco sertao, miracoli di cattedrali, gioielli romanici e barocchi, torri arabe e normanne; e freschi paesi, grumi di calce all'ombra dei fichi maestosi.
Taranto: un'oasi di ferro, possente e ospitale. Assediata da città che sono ancora belle, mentre la nuova edilizia - genialmente omeopatica - corrompe tutto. Anfore di Grottaglie: per i prati, superstiti cavalli bradi. Da Lido Torretta, le dune di sabbia imbrigliate da macchie di sterpi. Il sole d'estate, implacabile, saturnino, accende il profumo di origani e salvie. Paesaggio netto, bianchissime lamìe all'interno. Era di seta, il mare, e le case candide sulle sabbie a mezzaluna. Poi venne l'età dei grattacieli.
Taranto: morta la poesia, Pitagora vestì la tuta blu e reclamò il salario, prese il tram , attraversò i rettifili e intravide - tra i cantieri - il mito dell'acciaio.


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