C'erano oltre
duecentomila ettari di boschi, nel principio del secolo scorso, in Terra
d'Otranto. Oggi ce ne sono poco meno di diecimila. Calve le Serre, battute
dai venti le aree costiere, ridotte a " macchia " - ormai anche
abbandonata dai pascoli - le grandi superfici aride dell'entroterra.
Nel principio del
secolo scorso - così si esprimeva il Marinelli - la superficie
boschiva in Terra d'Otranto era quasi decupla dell'attuale. Nel 1826
era ridotta a ottantottomila ettari, poi a ventunmila. Calcoli abbastanza
precisi confermano che oggi siamo al di sotto dei diecimila ettari:
malgrado gli interventi della Cassa per il Mezzogiorno, che ha "forestato
" (con pini laricii, resistenti alle salsedini, e dunque in prevalenza
in riva al mare), siamo una delle terre più " calve "della
penisola. Con ben maggiore rammarico del Marinelli, possiamo dire oggi:
tronchi maestosi di vallonea, di elce, di lecci, di quercioli, di quercia
coccifera, che tre uomini non potevano abbracciare, attestavano il predominio
della vegetazione arborea nella Penisola Salentina, pur essendo pianeggiante
e situata tra due mari, aperta a tutti i venti e a tutte le più
pericolose varietà del clima.
Sembra che nel Salento cadano seicento millimetri (poco più,
poco meno) di pioggia all'anno. E' una media che va calando, stando
almeno alle osservazioni compiute sul regime pluviometrico dal 1800
ad oggi. Perché? Pur non suffragato dagli esperimenti, Cosimo
De Giorgi scriveva: " Che nel principio del secolo scorso le piogge
fossero più copiose e meglio distribuite nelle diverse stagioni
dell'anno, mi risulta da alcune notizie che ho dovuto raccogliere dalla
bocca dei nostri vecchi. Generalmente suole attribuirsi, questa graduale
diminuzione, alla distribuzione dei boschi di quercia in tutta l'Italia
meridionale ( ... ). A questa distruzione, che ha ridotto la superficie
occupata dai boschi nella Terra d'Otranto da centomila ettari a diecimila
ettari nel corso dell'800, si è aggiunta la trasformazione generale
delle colture, avvenuta nell'ultimo trentennio ( ... ). Sulle colline,
i grandi boschi di quercia, più volte secolari, sono stati trasformati
in carbone. In tal modo è diminuita l'enorme produzione di vapore
acqueo nell'atmosfera per la traspirazione delle piante ".
Così, il deflusso delle acque, in tutto il Salento, si compie
per via sotterranea, attraverso il grande e sconosciuto, sistema carsico
del sottosuolo, senza che fino a questo momento, come notava Raffaele
Congedo, si sia localizzato, in tutte le sue dimensioni, il fenomeno
ipogeo dell'acqua, nel suo percorso attraverso le grandi fauci che la
raccolgono in superficie, vale a dire le " vore " o "
ore ", i "capoventi ", le " gravi ", le "voragini
", che la convogliano poi nelle viscere della terra, attraverso
vasi principali e secondari, e, infine, in vasti e capaci serbatoi,
per restituirla al mare in grandi bocche spalancate, dalle grotte sottomarine
o affioranti. Uno di questi serbatoi, straordinario e forse unico in
Europa, il cosiddetto " Lago Cocito ", in fondo ,alla grotta
Zinzulusa. Il Cocito fu violato, per la prima volta, nel luglio del
1958, dal Congedo e da Carlo Cosma: " Posso affermare - scriveva
con commozione Congedo - che altri antri si addentrano nelle viscere
detta terra, anch'essi sommersi, anch'essi invasi da acque che non vengono
dal mare, che sono al di sopra del livello marino, acque dolci, limpide,
non mosse né turbate da millenni, alimentate dal retroterra ".
Quanti altri fenomeni del genere si verificano (e non sono noti, perché
nessuno, almeno pubblicamente, se ne interessa) nella penisola salentina?
Diceva Congedo: "Sono le acque che un tempo si chiamavano "
Teutra " Samari ", " Badisco ", " Fano ",
Spinose ", ed ora Brunese, Idro, Zinzulusa, l'Ubissu, Borraco,
Acquatina, Idume, ecc.". Il problema dell'equilibrio acqua-bosco
coinvolge i salentini come ha coinvolto interi popoli e grandi civiltà
d'ogni parte della terra. Ed è un problema, dunque che va impostato
su precise basi idraulico-forestati: " Occorre considerare con
maggiore avvedutezza le Serre Salentine, ove i fenomeni carsici si mostrano
più appariscenti. Le dorsali delle Serre private dei boschi corrono
ora brulle da nord a sud, fino al Capo di Santa Maria di Leuca, sino
alle ultime propaggini di queste Murge, degradanti nelle fertili pianure.
Esse accolgono le acque di vasti bacini imbriferi, non più trattenute
ed immagazzinate, come suol dirsi, dalla vegetazione arborea, che nelle
Serre ha subìto un decadimento impressionante. Si propugni il
rimboschimento totale delle Serre Salentine in entrambi i versanti,
da est ad ovest, con massicci interventi forestali, che investano tutti
i terreni poveri, di scarso reddito, e i campi ridotti all'erosione,
all'ultima fase di degradazione ".
C'è una vasta letteratura (fondata sulla ragione e sull'esperienza,
e quest'ultima è ancora sotto i nostri occhi) che documenta la
decadenza di intere regioni e l'arretramento di interi popoli e, di
grandi civiltà per il cattivo uso dei boschi e dell'acqua. Venticinque
secoli fa, Platone scriveva: " Quando l'Attica era ancora intatta,
quelle che oggi sono le sue montagne erano alte colline ricoperte di
fertile suolo; quelle che oggi sono le sue pianure ghiaiose, erano piene
di ricchi terreni; e le sue montagne erano avviluppate da fitti boschi.
Un fatto del quale rimangono ancora tracce visibili: vi sono in Attica
montagne che ora non possono nutrire altro che api, ma che, non molto
tempo fa, erano rivestite di begli alberi, mentre la campagna offriva
illimitati pascoli alle mandrie. L'annuale rifornimento di piogge non
andava perduto come accade ora, che gli si consente di defluire sulla
spoglia superficie della terra fino al mare, ma in tutta la sua abbondanza
veniva dalla campagna ricevuto nel proprio seno: essa lo immagazzinava
nella sua impervia terra da vasaio e in questo modo poteva riversare
il flusso delle cime nelle cavità sotto forma di sorgenti e fiumi
con abbondante portata e vasta distribuzione territoriale ".
E Milton: " E' bene che i moderni, in tutto l'orgoglio e lo splendore
delle loro invenzioni e delle immense opere compiute, ascoltino la saggezza
del passato e prendano in seria considerazione la desolazione causata
dalla loro stoltezza ".
Si veda cosa è accaduto in vaste zone della Cina, dell'India,
delle Americhe, e, più vicino a noi, nel Vicino Oriente. Quello
che è l'attuale deserto siriano e iraqeno, un giorno era un immenso
giardino fiorito. Quattromila anni fa, Hammurabi, re babilonese, scrisse:
" Io portai le acque e feci fiorire il deserto ". Poi, il
suo popolo, attratto da altre attività, abbandonò l'agricoltura
e l'irrigazione. I campi tornarono deserto, e quel popolo divenne nomade.
Scrive King: " Sono rimasti solo i segni archeologici dei grandi
canali di interrimento, alti fino a sei metri "; mentre sono "
scomparsi i canali, gli agricoltori e la stessa Babilonia ". Quegli
uomini non conoscevano il rimboschimento, cioè la possibilità
di alzare barriere arboree protettive: le sabbie del deserto non avrebbero
mai potuto invadere i canali. E' un sistema che noi conosciamo fino
in fondo. Il Salento, che storicamente ricorre ad acque esterne (dal
sistema del Sele a quello dei grandi invasi della Basilicata), ancora
non applica una scienza che, sulla scorta dell'esperienza, ha dato risultati
assolutamente positivi. Intanto, crescono le esigenze della nuova agricoltura
specializzata o pregiata, che è quella che rende di più;
crescono le esigenze della popolazione, che continua a crescere; e aumentano
anche le esigenze dell'industria, che va prendendo piede sempre più
largamente. Solo il problema dell'acqua e dei rimboschimenti resta insoluto,
malgrado le faraoniche condotte di distribuzione che sono state messe
in opera poco fa. Il vero problema è soprattutto quello della
conoscenza del nostro sottosuolo e del rapporto immagazzinamento carsico-consumo
nel Salento. Cioè, come scrisse il Santomauro, la conoscenza
(per l'equilibrio) dell'" avventura di due atomi di idrogeno e
di uno di ossigeno, nel continuo dramma della creazione ".
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