E fu tabula rasa




Paolo Coteni



C'erano oltre duecentomila ettari di boschi, nel principio del secolo scorso, in Terra d'Otranto. Oggi ce ne sono poco meno di diecimila. Calve le Serre, battute dai venti le aree costiere, ridotte a " macchia " - ormai anche abbandonata dai pascoli - le grandi superfici aride dell'entroterra.

Nel principio del secolo scorso - così si esprimeva il Marinelli - la superficie boschiva in Terra d'Otranto era quasi decupla dell'attuale. Nel 1826 era ridotta a ottantottomila ettari, poi a ventunmila. Calcoli abbastanza precisi confermano che oggi siamo al di sotto dei diecimila ettari: malgrado gli interventi della Cassa per il Mezzogiorno, che ha "forestato " (con pini laricii, resistenti alle salsedini, e dunque in prevalenza in riva al mare), siamo una delle terre più " calve "della penisola. Con ben maggiore rammarico del Marinelli, possiamo dire oggi: tronchi maestosi di vallonea, di elce, di lecci, di quercioli, di quercia coccifera, che tre uomini non potevano abbracciare, attestavano il predominio della vegetazione arborea nella Penisola Salentina, pur essendo pianeggiante e situata tra due mari, aperta a tutti i venti e a tutte le più pericolose varietà del clima.
Sembra che nel Salento cadano seicento millimetri (poco più, poco meno) di pioggia all'anno. E' una media che va calando, stando almeno alle osservazioni compiute sul regime pluviometrico dal 1800 ad oggi. Perché? Pur non suffragato dagli esperimenti, Cosimo De Giorgi scriveva: " Che nel principio del secolo scorso le piogge fossero più copiose e meglio distribuite nelle diverse stagioni dell'anno, mi risulta da alcune notizie che ho dovuto raccogliere dalla bocca dei nostri vecchi. Generalmente suole attribuirsi, questa graduale diminuzione, alla distribuzione dei boschi di quercia in tutta l'Italia meridionale ( ... ). A questa distruzione, che ha ridotto la superficie occupata dai boschi nella Terra d'Otranto da centomila ettari a diecimila ettari nel corso dell'800, si è aggiunta la trasformazione generale delle colture, avvenuta nell'ultimo trentennio ( ... ). Sulle colline, i grandi boschi di quercia, più volte secolari, sono stati trasformati in carbone. In tal modo è diminuita l'enorme produzione di vapore acqueo nell'atmosfera per la traspirazione delle piante ".
Così, il deflusso delle acque, in tutto il Salento, si compie per via sotterranea, attraverso il grande e sconosciuto, sistema carsico del sottosuolo, senza che fino a questo momento, come notava Raffaele Congedo, si sia localizzato, in tutte le sue dimensioni, il fenomeno ipogeo dell'acqua, nel suo percorso attraverso le grandi fauci che la raccolgono in superficie, vale a dire le " vore " o " ore ", i "capoventi ", le " gravi ", le "voragini ", che la convogliano poi nelle viscere della terra, attraverso vasi principali e secondari, e, infine, in vasti e capaci serbatoi, per restituirla al mare in grandi bocche spalancate, dalle grotte sottomarine o affioranti. Uno di questi serbatoi, straordinario e forse unico in Europa, il cosiddetto " Lago Cocito ", in fondo ,alla grotta Zinzulusa. Il Cocito fu violato, per la prima volta, nel luglio del 1958, dal Congedo e da Carlo Cosma: " Posso affermare - scriveva con commozione Congedo - che altri antri si addentrano nelle viscere detta terra, anch'essi sommersi, anch'essi invasi da acque che non vengono dal mare, che sono al di sopra del livello marino, acque dolci, limpide, non mosse né turbate da millenni, alimentate dal retroterra ". Quanti altri fenomeni del genere si verificano (e non sono noti, perché nessuno, almeno pubblicamente, se ne interessa) nella penisola salentina? Diceva Congedo: "Sono le acque che un tempo si chiamavano " Teutra " Samari ", " Badisco ", " Fano ", Spinose ", ed ora Brunese, Idro, Zinzulusa, l'Ubissu, Borraco, Acquatina, Idume, ecc.". Il problema dell'equilibrio acqua-bosco coinvolge i salentini come ha coinvolto interi popoli e grandi civiltà d'ogni parte della terra. Ed è un problema, dunque che va impostato su precise basi idraulico-forestati: " Occorre considerare con maggiore avvedutezza le Serre Salentine, ove i fenomeni carsici si mostrano più appariscenti. Le dorsali delle Serre private dei boschi corrono ora brulle da nord a sud, fino al Capo di Santa Maria di Leuca, sino alle ultime propaggini di queste Murge, degradanti nelle fertili pianure. Esse accolgono le acque di vasti bacini imbriferi, non più trattenute ed immagazzinate, come suol dirsi, dalla vegetazione arborea, che nelle Serre ha subìto un decadimento impressionante. Si propugni il rimboschimento totale delle Serre Salentine in entrambi i versanti, da est ad ovest, con massicci interventi forestali, che investano tutti i terreni poveri, di scarso reddito, e i campi ridotti all'erosione, all'ultima fase di degradazione ".
C'è una vasta letteratura (fondata sulla ragione e sull'esperienza, e quest'ultima è ancora sotto i nostri occhi) che documenta la decadenza di intere regioni e l'arretramento di interi popoli e, di grandi civiltà per il cattivo uso dei boschi e dell'acqua. Venticinque secoli fa, Platone scriveva: " Quando l'Attica era ancora intatta, quelle che oggi sono le sue montagne erano alte colline ricoperte di fertile suolo; quelle che oggi sono le sue pianure ghiaiose, erano piene di ricchi terreni; e le sue montagne erano avviluppate da fitti boschi. Un fatto del quale rimangono ancora tracce visibili: vi sono in Attica montagne che ora non possono nutrire altro che api, ma che, non molto tempo fa, erano rivestite di begli alberi, mentre la campagna offriva illimitati pascoli alle mandrie. L'annuale rifornimento di piogge non andava perduto come accade ora, che gli si consente di defluire sulla spoglia superficie della terra fino al mare, ma in tutta la sua abbondanza veniva dalla campagna ricevuto nel proprio seno: essa lo immagazzinava nella sua impervia terra da vasaio e in questo modo poteva riversare il flusso delle cime nelle cavità sotto forma di sorgenti e fiumi con abbondante portata e vasta distribuzione territoriale ".
E Milton: " E' bene che i moderni, in tutto l'orgoglio e lo splendore delle loro invenzioni e delle immense opere compiute, ascoltino la saggezza del passato e prendano in seria considerazione la desolazione causata dalla loro stoltezza ".
Si veda cosa è accaduto in vaste zone della Cina, dell'India, delle Americhe, e, più vicino a noi, nel Vicino Oriente. Quello che è l'attuale deserto siriano e iraqeno, un giorno era un immenso giardino fiorito. Quattromila anni fa, Hammurabi, re babilonese, scrisse: " Io portai le acque e feci fiorire il deserto ". Poi, il suo popolo, attratto da altre attività, abbandonò l'agricoltura e l'irrigazione. I campi tornarono deserto, e quel popolo divenne nomade. Scrive King: " Sono rimasti solo i segni archeologici dei grandi canali di interrimento, alti fino a sei metri "; mentre sono " scomparsi i canali, gli agricoltori e la stessa Babilonia ". Quegli uomini non conoscevano il rimboschimento, cioè la possibilità di alzare barriere arboree protettive: le sabbie del deserto non avrebbero mai potuto invadere i canali. E' un sistema che noi conosciamo fino in fondo. Il Salento, che storicamente ricorre ad acque esterne (dal sistema del Sele a quello dei grandi invasi della Basilicata), ancora non applica una scienza che, sulla scorta dell'esperienza, ha dato risultati assolutamente positivi. Intanto, crescono le esigenze della nuova agricoltura specializzata o pregiata, che è quella che rende di più; crescono le esigenze della popolazione, che continua a crescere; e aumentano anche le esigenze dell'industria, che va prendendo piede sempre più largamente. Solo il problema dell'acqua e dei rimboschimenti resta insoluto, malgrado le faraoniche condotte di distribuzione che sono state messe in opera poco fa. Il vero problema è soprattutto quello della conoscenza del nostro sottosuolo e del rapporto immagazzinamento carsico-consumo nel Salento. Cioè, come scrisse il Santomauro, la conoscenza (per l'equilibrio) dell'" avventura di due atomi di idrogeno e di uno di ossigeno, nel continuo dramma della creazione ".


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