Nell'arco di tempo
che segna il passaggio dall'età del bronzo a quella del ferro
(e dunque siamo intorno al 1500-1000 avanti Cristo), un nuovo popolo
giunse nell'estrema penisola orientale italiana: gli Illiri. Provenienti
con tutta probabilità da quella che è l'attuale Albania,
risalendo su per le coste balcaniche, essi si stanziarono nel Veneto
e nella Puglia. Ovvio che, con il loro stanziamento, furono introdotti
usi, costumi, comportamenti che ben presto furono recepiti dagli autoctoni.
Nella sua "Storia di Roma ", il Pareti, riferendo sulle ipotesi
di vari studiosi intorno alla "illiricità " di queste
aree, dà notizia che, mentre diventano complesse le ricostruzioni
degli itinerari immigratori, vi è un tacito accordo sulla comune
origine illirica dei Messapi, dei Salentini, dei Peuceti e dei Dauni,
vale a dire di tutta quanta quella regione che era nota con il nome
di Japygia: la Puglia.
Le discordanze riguardano due ipotesi: secondo alcuni studiosi, gli
Illiri salirono dall'Albania verso l'Istria, e si stanziarono in una
vasta arca del Veneto. Una parte di essi, proseguirono verso sud, giungendo
nella penisola salentina. Altri studiosi (in maggior numero, rispetto
ai precedenti) sostengono invece che gli Illiri giunsero in Puglia via
mare: occorre tener conto che, nelle mattine chiare, le coste pugliesi
e quelle albanesi sono a vista. Pensiamo di non sbagliare di molto se
affermiamo che, nel tratto minimo, le due sponde opposte sono separate
da poco più di 95 chilometri: una distanza che poteva coprirsi
anche allora, con le rudimentali imbarcazioni di cui disponevano abili
popoli migratori e navigatori. E' da credere che l'ipotesi " via
terra " sia valida per gli Illiri del Veneto, mentre quella "via
mare " valga per le coste pugliesi. La diversità nelle modalità
delle due emigrazioni è sottolineata dalla differenza che gli
studiosi riscontrano tra le iscrizioni venete e quelle japygie, mentre
le comuni origini si evincono, come ha sostenuto il Corvaglia, dalla
constatazione della "omogeneità della civiltà del
periodo villanoviano fra i Veneti-Illiri ed i Salentini-japygi-Illiri,
e col confronto della fase terramaricola comune nei due luoghi ".
La presenza-fusione degli Illiri influì direttamente anche sulle
attività degli indigeni. E' di questo periodo, infatti, lo sviluppo
impetuoso della navigazione; e a questo stesso periodo risale la creazione
degli approdi marittimi, Gli storici romani affermano che Aletini, Veretini
e Uxentini erano popoli prevalentemente marinari, e, fra l'altro, fornitori
di navi a Roma. Rileva Corvaglia: "Circa il posto di Aletium è
da ritenere fosse l'attuale porto di Gallipoli, per Veretum quello conosciuto
attualmente col nome di Cala di Capo San Gregorio in comune di Patù
, quello Uxentino sito nella vicina Torre San Giovanni, dai Romani appunto
detto portus Uxentinus ". Lo studioso afferma poi che, secondo
Tucidide, " i Messapi organizzarono la loro vita politico-amministrativa
sulla falsariga della organizzazione politica dei Siculi, per cui le
città messapiche ebbero l'impronta di città-stato libere,
ora rette da re, ora rette a repubblica, ma sempre indipendenti l'una
dall'altra ".
Ciò consentì lo sviluppo di una civiltà originale,
che difficilmente si lasciava contaminare da comportamenti esterni.
Si dovette giungere al quinto secolo, quando più fitta si fece
l'infiltrazione dei coloni di Grecia, per registrare la sovrapposizione
prima, e il predominio in seguito, del greco come lingua letteraria.
" Se infatti l'immigrazione illirica risale intorno al 1400 avanti
Cristo - ipotizza Corvaglia - ossia prima della colonizzazione di Taranto,
che risale all'800 avanti Cristo, l'influsso greco fu recepito dalle
genti messapiche molto dopo, stante anche la incomunicabilità
fra i due popoli, divisi da gelosie di civiltà e di potenza.
Solo più tardi, per esempio, si cominciarono ad adorare le divinità
greche, affini però a quelle messapiche, quali Hera, Afrodite,
Demetra, Artemis e lo stesso Juppiter, che per i Messapi si identificava
con il loro dio Manzana ".
Dagli studi condotti per lungo tempo, risulta che i Messapi furono un
popolo bellicoso (temibilissimo l'urto della loro cavalleria: gli uomini
cavalcavano senza sella cavalli accoppiati, cambiando groppa per non
stancarli e utilizzando l'animale più fresco al momento della
carica), marinaro, coltivatore dei terreni costieri e interni, anche
sulle alture, allevatore di cavalli, costruttore di veloci navi da carico
e da battaglia, costruttore di città. Fonti attendibili sostengono
che quella che poteva considerarsi la capitale della Messapia, Uxentum,
nell'area sud-occidentale, contasse all'epoca centomila abitanti; e
che questa città fosse difesa da magnifiche, poderose mura lo
si può vedere ancora oggi.
Alle spalle, i Messapi avevano il mare. Di fronte, la potenza di Taranto,
città circondata, a sua volta, da popoli irrequieti. Il rapporto
potenza-territorio della città bimare era squilibrato. Non potendo
allargare la sua area d'influenza a occidente, Taranto rivolse perciò
le sue attenzioni a sud. Alleatasi con Rhegium (l'attuale Reggio Calabria)
ove era al potere il tiranno Micito, attaccò la Messapia. Tarantini
e reggini, come ricorda Erodoto, subirono una sconfitta così
pesante, che Micito dovette riparare in esilio, e a Taranto si ebbe
la fine del dominio aristocratico-monarchico. Comandava la federazione
messapica Artas, re ugentino. Seconda fase di guerra: Taranto si allea
con Sparta, che manda un esercito comandato da Archidamo, figlio del
celebre Agesilao. A Manduria (secondo la cronologia greca nel 338, secondo
quella romana nel 341), seconda sconfitta dei tarantini; lo stesso Archidamo
resta ucciso sul campo. Sparta rifiutò l'invio di altri contingenti
militari. Venne allora (terza fase) Alessandro di Epiro che, prima di
restare ucciso, liberò Eraclea e Metaponto, restituendole a Taranto.
E nell'orbita tarantina, mai vinti, ma stanchi delle lunghe guerre,
entrarono a far parte i Messapi. Così, la storia di questa terra
si confuse con quella della massima polis greca in Puglia. La venuta
di Pirro, le guerre con Roma, la caduta di Taranto, la rivolta con la
venuta dei Cartaginesi, la resa finale alle coorti di Roma. Ridotte
in municipii, le città messapiche, Ugento in testa, seguirono
la sorte di tutte le città meridionali, finite nell'area di influenza
prima, e di conquista poi, in seguito alla sconfitta del popolo che
più d'ogni altro aveva fatto soffrire i condottieri e i politici
dei sette colli: i Sanniti. Assoggettato il Sannio, sconfitti ,gli Irpini,
domati Campani, Bruzi e Lucani, passati in Sicilia, i Romani ebbero
in pugno la Magna Grecia. Ma fu l'anello sannita il più difficile
da spezzare: dopo di che, le porte del sud erano praticamente aperte.
La Messapia cedette le terre di frontiera tra Brindisi e Taranto intorno
al 267 avanti Cristo; la parte meridionale, dov'erano situati i maggiori
centri, fu conquistata un anno dopo, nel 266, quando Salentini e Messapi
firmarono l'atto di resa. Da quel momento, la penisola salentina fu
un ponte verso l'Africa e l'Oriente: entrava a far parte, cioè,
dei disegni espansionistici di Roma.
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