Messapia




Luciano Milo



Nell'arco di tempo che segna il passaggio dall'età del bronzo a quella del ferro (e dunque siamo intorno al 1500-1000 avanti Cristo), un nuovo popolo giunse nell'estrema penisola orientale italiana: gli Illiri. Provenienti con tutta probabilità da quella che è l'attuale Albania, risalendo su per le coste balcaniche, essi si stanziarono nel Veneto e nella Puglia. Ovvio che, con il loro stanziamento, furono introdotti usi, costumi, comportamenti che ben presto furono recepiti dagli autoctoni. Nella sua "Storia di Roma ", il Pareti, riferendo sulle ipotesi di vari studiosi intorno alla "illiricità " di queste aree, dà notizia che, mentre diventano complesse le ricostruzioni degli itinerari immigratori, vi è un tacito accordo sulla comune origine illirica dei Messapi, dei Salentini, dei Peuceti e dei Dauni, vale a dire di tutta quanta quella regione che era nota con il nome di Japygia: la Puglia.
Le discordanze riguardano due ipotesi: secondo alcuni studiosi, gli Illiri salirono dall'Albania verso l'Istria, e si stanziarono in una vasta arca del Veneto. Una parte di essi, proseguirono verso sud, giungendo nella penisola salentina. Altri studiosi (in maggior numero, rispetto ai precedenti) sostengono invece che gli Illiri giunsero in Puglia via mare: occorre tener conto che, nelle mattine chiare, le coste pugliesi e quelle albanesi sono a vista. Pensiamo di non sbagliare di molto se affermiamo che, nel tratto minimo, le due sponde opposte sono separate da poco più di 95 chilometri: una distanza che poteva coprirsi anche allora, con le rudimentali imbarcazioni di cui disponevano abili popoli migratori e navigatori. E' da credere che l'ipotesi " via terra " sia valida per gli Illiri del Veneto, mentre quella "via mare " valga per le coste pugliesi. La diversità nelle modalità delle due emigrazioni è sottolineata dalla differenza che gli studiosi riscontrano tra le iscrizioni venete e quelle japygie, mentre le comuni origini si evincono, come ha sostenuto il Corvaglia, dalla constatazione della "omogeneità della civiltà del periodo villanoviano fra i Veneti-Illiri ed i Salentini-japygi-Illiri, e col confronto della fase terramaricola comune nei due luoghi ".
La presenza-fusione degli Illiri influì direttamente anche sulle attività degli indigeni. E' di questo periodo, infatti, lo sviluppo impetuoso della navigazione; e a questo stesso periodo risale la creazione degli approdi marittimi, Gli storici romani affermano che Aletini, Veretini e Uxentini erano popoli prevalentemente marinari, e, fra l'altro, fornitori di navi a Roma. Rileva Corvaglia: "Circa il posto di Aletium è da ritenere fosse l'attuale porto di Gallipoli, per Veretum quello conosciuto attualmente col nome di Cala di Capo San Gregorio in comune di Patù , quello Uxentino sito nella vicina Torre San Giovanni, dai Romani appunto detto portus Uxentinus ". Lo studioso afferma poi che, secondo Tucidide, " i Messapi organizzarono la loro vita politico-amministrativa sulla falsariga della organizzazione politica dei Siculi, per cui le città messapiche ebbero l'impronta di città-stato libere, ora rette da re, ora rette a repubblica, ma sempre indipendenti l'una dall'altra ".
Ciò consentì lo sviluppo di una civiltà originale, che difficilmente si lasciava contaminare da comportamenti esterni. Si dovette giungere al quinto secolo, quando più fitta si fece l'infiltrazione dei coloni di Grecia, per registrare la sovrapposizione prima, e il predominio in seguito, del greco come lingua letteraria. " Se infatti l'immigrazione illirica risale intorno al 1400 avanti Cristo - ipotizza Corvaglia - ossia prima della colonizzazione di Taranto, che risale all'800 avanti Cristo, l'influsso greco fu recepito dalle genti messapiche molto dopo, stante anche la incomunicabilità fra i due popoli, divisi da gelosie di civiltà e di potenza. Solo più tardi, per esempio, si cominciarono ad adorare le divinità greche, affini però a quelle messapiche, quali Hera, Afrodite, Demetra, Artemis e lo stesso Juppiter, che per i Messapi si identificava con il loro dio Manzana ".
Dagli studi condotti per lungo tempo, risulta che i Messapi furono un popolo bellicoso (temibilissimo l'urto della loro cavalleria: gli uomini cavalcavano senza sella cavalli accoppiati, cambiando groppa per non stancarli e utilizzando l'animale più fresco al momento della carica), marinaro, coltivatore dei terreni costieri e interni, anche sulle alture, allevatore di cavalli, costruttore di veloci navi da carico e da battaglia, costruttore di città. Fonti attendibili sostengono che quella che poteva considerarsi la capitale della Messapia, Uxentum, nell'area sud-occidentale, contasse all'epoca centomila abitanti; e che questa città fosse difesa da magnifiche, poderose mura lo si può vedere ancora oggi.
Alle spalle, i Messapi avevano il mare. Di fronte, la potenza di Taranto, città circondata, a sua volta, da popoli irrequieti. Il rapporto potenza-territorio della città bimare era squilibrato. Non potendo allargare la sua area d'influenza a occidente, Taranto rivolse perciò le sue attenzioni a sud. Alleatasi con Rhegium (l'attuale Reggio Calabria) ove era al potere il tiranno Micito, attaccò la Messapia. Tarantini e reggini, come ricorda Erodoto, subirono una sconfitta così pesante, che Micito dovette riparare in esilio, e a Taranto si ebbe la fine del dominio aristocratico-monarchico. Comandava la federazione messapica Artas, re ugentino. Seconda fase di guerra: Taranto si allea con Sparta, che manda un esercito comandato da Archidamo, figlio del celebre Agesilao. A Manduria (secondo la cronologia greca nel 338, secondo quella romana nel 341), seconda sconfitta dei tarantini; lo stesso Archidamo resta ucciso sul campo. Sparta rifiutò l'invio di altri contingenti militari. Venne allora (terza fase) Alessandro di Epiro che, prima di restare ucciso, liberò Eraclea e Metaponto, restituendole a Taranto. E nell'orbita tarantina, mai vinti, ma stanchi delle lunghe guerre, entrarono a far parte i Messapi. Così, la storia di questa terra si confuse con quella della massima polis greca in Puglia. La venuta di Pirro, le guerre con Roma, la caduta di Taranto, la rivolta con la venuta dei Cartaginesi, la resa finale alle coorti di Roma. Ridotte in municipii, le città messapiche, Ugento in testa, seguirono la sorte di tutte le città meridionali, finite nell'area di influenza prima, e di conquista poi, in seguito alla sconfitta del popolo che più d'ogni altro aveva fatto soffrire i condottieri e i politici dei sette colli: i Sanniti. Assoggettato il Sannio, sconfitti ,gli Irpini, domati Campani, Bruzi e Lucani, passati in Sicilia, i Romani ebbero in pugno la Magna Grecia. Ma fu l'anello sannita il più difficile da spezzare: dopo di che, le porte del sud erano praticamente aperte. La Messapia cedette le terre di frontiera tra Brindisi e Taranto intorno al 267 avanti Cristo; la parte meridionale, dov'erano situati i maggiori centri, fu conquistata un anno dopo, nel 266, quando Salentini e Messapi firmarono l'atto di resa. Da quel momento, la penisola salentina fu un ponte verso l'Africa e l'Oriente: entrava a far parte, cioè, dei disegni espansionistici di Roma.

 


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