§ Il corsivo

Ricominciamo a parlare, ragazzi




Sergio Zavoli



Sto per citarmi, e chiedo subito scusa. Del resto, Saul Steinberg ha detto che se non ce la scriviamo da soli, il rischio che la storia ci ignori è molto forte.
Sta dunque per uscire un mio libro. Un capitolo, dedicato alla parola, s'intitola: " Torna a casa, lessico ". Non sarà una lettura solo divertente, a giudicare dal fatto che, in quelle pagine, mi occupo della morte della parola.
Ho pensato di parlarne qui, dopo aver letto che la nuova commedia di Giuseppe Patroni Griffi ha per titolo " Prima del silenzio ": una parabola per dire che, uccisa la parola, non resterà più niente da immaginare e da trasfigurare, e perfino la realtà non sarà più la stessa.
La fine della parola a chi va addebitata? E chi ne patirà di più se non i giovani, i fautori e gli eredi di questo incipiente silenzio?
L'ultimo inno della parola - dice Patroni Griffi - sembravano averlo cantato, nel '68, i protagonisti della contestazione; e oggi, sconfitti, la rifiutano".
L'immaginazione non è andata al potere; e un amore violentato, si sa, ti si rivolta contro. Così, per un tragico dispetto, i giovani non amano più immaginare e rifiutano ciò che li ha traditi, a cominciare, appunto, dalle parole. Hanno iniziato a sfigurarle, trasformandole in gergo, in suoni, in gesti; se ne sono liberati come di una pelle invecchiata insieme coi loro desideri, ne hanno perduta lentamente la cognizione, abbandonandola alle loro, spalle senza sapere di aver dato inizio al silenzio.
Hanno salvato le parole che servono a dire solo il reale e l'indispensabile, il concreto e l'intraducibile. Invitati a esprimere, di fronte al mare, ciò che suscita in loro, dicono soltanto " sporco ", "inquinato ", " morto ": mentre un cinquantenne è assalito dalle immagini di Omero, di Conrad, di Salgari, di Hemingway.
Dove li porterà questo progressivo velarsi della fantasia, questo rifiuto di sentire e di vedere col proprio animo e coi propri occhi? Potrà mai diventare una normalità nuova questa assenza di gioia, se è vero, come è vero, che siamo nati per " fare nuove tutte le cose "? Come risveglieremo il mondo se accettiamo che sia com'è, senza aggiungervi nulla?
Se in principio era il verbo, che ne sarà del mondo dopo il silenzio? Un grande acquario colmo di presenze mute, incomunicabili, inerti e stupefatte?
Ricominciamo a parlare, ragazzi. E' ancora la prima e l'ultima identità. Cristo fu ucciso più per quello che disse, che per quello che fece. Continuate a dire chi siete e che cosa Volete, non lasciate messaggi nelle bottiglie.
" E se vedete un'ombra - come diceva Shakespeare - parlatele, perché potrebbe rispondervi ".

Sport e violenza

I " fatti di Perugia ": ci mancava lo sport per eccitare un altro po' questo paese che avrebbe, invece, tanto bisogno di tranquillanti. D'altronde, non vale un bel nulla recriminare su ciò che il mondo sportivo dovrebbe essere e sciaguratamente non è: come si fa a prendere una porzione di società, quindi di vita, e stabilire che è qualcosa di diverso da tutto il resto della società e della vita? Anche lo sport, per assurdo che possa sembrare, risente dunque di ciò che siamo e facciamo tutti, ogni giorno, minuto per minuto, in quel " campo centrale " che ci vede tirar calci come sì può, non di rado più agli stinchi che al pallone, con arbitri scelti da noi ma che non sempre hanno testa, occhi e fiato per far rispettare il regolamento. L'immagine nazionale è più espressa dalla schedina del Totocalcio che dall'atlante dell'Istituto Geografico De Agostini. La Federazione Italiana Gioco Calcio, nell'animo nostro, batte l'Eni da sempre, e non solo di domenica. Ci avventuriamo qua e là per la penisola al seguito di una squadra di calcio e non sospinti da un desiderio di conoscere, ma armati del proposito di farci conoscere, magari per come usiamo una spranga o lanciamo un bullone. L'Italia della pedata ha del resto un triste vizio d'origine, e pochi ne sono immuni, a cominciare da me. Confesso subito, infatti, un'inguaribile e detestabile debolezza: se la mia squadra vale meno di quella avversaria, sono fortemente tentato di volere che " vinca il peggiore ".
Con questi precedenti addosso - e il delirio di trasgressioni che violano, in ogni momento, le regole della convivenza civile - è quasi fisiologico che l'imitazione raggiunga anche le più insospettate periferie del nostro corpo malato. Ma, disattesa la profilassi, una terapia dovrà pur esserci. Non è concepibile che " la domenica della buona gente ", come la chiamarono Pratolini e Giagni, si sia trasformata in un giorno di premeditate canagliaggini, non importa se più istigate dal campo o dalla tribuna. Se il teppismo non riposa neppure nel giorno del Signore, gli va rifatto il catechismo, come propone addirittura il sindacato dei calciatori: e a chi non l'impara, e non lo pratica, dev'essere impedito di mettere in croce l'ultimo giorno di pace che ci era rimasto.
" Sotto le sue mutandine batteva un cuore di italiano ", scrisse di Meazza - sgangherato dall'entusiasmo - un famoso giornalista sportivo. A quei tempi fu una svista sentimentale, e fece sorridere mezza Italia. Oggi non divertirebbe più tanto: il cuore è sceso in basso persino qui, sul cosiddetto terreno di " giuoco ".


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