§ Partecipazioni Statali e Mezzogiorno

Occasioni ritrovate Occasioni perdute




U. B.



Il discorso sull'intervento nelle regioni meridionali è estremamente complesso e articolato. Le Partecipazioni sono state protagoniste massime di quel tanto che si è fatto, ma anche responsabili di molti errori compiuti strada facendo. Qual è dunque il bilancio che si può presentare, nel momento in cui il problema meridionale si acuisce al limite della rottura; ma anche nel momento in cui proprio il pubblico denaro (cioè i quattrini di tutti i cittadini) è stato utilizzato in larga misura per tamponare le falle, i debiti, le perdite della mano pubblica? Cerchiamo di tracciare questo bilancio per sommi capi.

IRI: risanamento nel breve periodo

Fra il 1958 e il 1972, il gruppo ha investito nel Sud 4.400 miliardi di lire a prezzi '72, iniziando quell'azione di rottura sul fronte dell'industrializzazione che le forze politiche avevano assegnato all'Istituto. E questo impegno meridionale è stato condotto con un trend crescente: dai 502 miliardi del quinquennio '58-62 ai 1.488 del '63-67, ai 2.423 del '68-72. Parallelamente, è salita la quota del totale degli investimenti Iri nelle aree meridionali: dal 26 per cento del primo quinquennio al 40 del secondo e al 51 del terzo. I risultati di questi investimenti sul piano dell'occupazione non possono essere certo negati. Ben diverso è, invece, il discorso del loro impatto sulla nascita di un tessuto industriale locale.
Nel '58 l'occupazione meridionale Iri sfiorava le 31 mila unità; nel '77 aveva superato le 150 mila unità, con una incidenza pari al 30 per cento di tutti gli addetti del gruppo. E in questo senso, l'ottimismo è giustificato. Meno esaltanti, invece, i risultati della gestione negli ultimi anni. Dopo aver raggiunto la cifra massima di investimento nel '72 (quasi 2.200 miliardi), quando eravamo alla vigilia della crisi, il flusso nel Sud è sceso nel '77 a 800 miliardi di lire. Perché? Non solo per colpa della crisi energetica, che pure ha avuto una sua diretta influenza su tutta l'economia, sia pubblica che privata, in Italia; ma anche per il ridimensionamento degli obiettivi che l'Iri si proponeva di raggiungere, dovuto alla netta percezione della iniziale saturazione del mercato, saturazione che presto o tardi avrebbe portato alla sovrapproduzione, come nel campo della siderurgia e della cantieristica. Anche il calo nel settore meccanico è dovuto al completamento dell'Alfa Sud, alla quale non ha fatto seguito l'avvio di altri importanti progetti, quali quello di collaborazione fra Boeing e Aeritalia in campo aeronautico, che solo da poco è stata definita nei dettagli. Meglio è andata nell'elettronica per la crescita della domanda e per la necessità del rinnovamento tecnologico.

ENI: il momento del gas algerino

Con una struttura basata su attività " capital intensive " e con un ruolo che non è mai stato quello prevalente di creare occasioni di lavoro nel Sud, anche se nelle regioni meridionali ha concentrato alcune importanti iniziative nel settore chimico e in quello tessile, l'Eni appare meno impegnato dell'Iri. Ciò accadrà anche nel futuro, e comunque fino a quando l'Ente Idrocarburi non avrà risolto i problemi pesantissimi che ha all'interno, soprattutto dopo il rilevamento dei resti di quello che era l'Egam. Gli investimenti, dunque, saranno finalizzati al risanamento: nell'82 i dipendenti dovrebbero passare a 102.000 (1.500 in meno degli attuali). Il Sud godrà di benefici indiretti: molto potrà derivare dalla costruzione del metanodotto che dall'Algeria raggiungerà la Sicilia, per passare poi lo Stretto di Messina e collegarsi alla rete nazionale. In altri termini, la crisi della chimica e del tessile si riflette negativamente proprio per il Sud. Ciò significa che i 24.600 occupati dall'Eni nel Sud resteranno per un bel po' di tempo tanti, e non di più. Tuttavia, dei 2.000 miliardi di investimenti programmati nel Mezzogiorno per il quinquennio '78-82, circa 1.600 riguardano il settore energetico, anche se di questi, circa la metà sarà spesa per realizzare il gasdotto che porterà in Italia il metano algerino. E proprio nella realizzazione di questa struttura l'Eni individua un importante momento di svolta dell'intervento nel Mezzogiorno: secondo il management dell'ente petrolifero, la grande occasione offerta dal gas non va perduta, come non andò perduta nei primi anni del '50 in Val Padana. Il gruppo conosce perfettamente gli usi tecnologicamente privilegiati del metano, ed è in grado di fornire molti elementi per un programma di sviluppo industriale al quale chiamare a collaborare l'intera industria italiana, grande e piccola, di mano pubblica e privata.

EFIM: puntare sull'occupazione

Migliori prospettive per questo gruppo, articolato su un gran numero di aziende " labour intensive ", che con un minore impiego di capitale hanno consentito, e ancor di più consentiranno nei prossimi anni, un'ottima proiezione nel campo dell'occupazione nelle regioni meridionali. Ciò, anche se in alcuni settori Efim si sono verificati casi di dissesto, dovuti, dicono al gruppo, ai ritardi dei rifinanziamenti.
Concentrato prevalentemente nel settore meccanico (75%), il gruppo ha 47 mila unità, di cui circa 18 mila nel Sud. Una cifra, cui occorre aggiungere 6.000 occupati in iniziative create e successivamente cedute a terzi, e circa 1.000 unità impiegate nella gestione dei villaggi turistici gestiti da terzi. Più, ovviamente, l'occupazione indotta. Tutto questo è il frutto di 1.400 miliardi investiti nel '76 (su 2000 per l'intero territorio nazionale). In altri termini, proprio il più piccolo dei gruppi delle Partecipazioni statali è quello che dà migliori garanzie per il futuro. Le cifre del futuro sono queste: 2.400 miliardi di investimenti nel quinquennio '78-82, con la creazione, nelle regioni meridionali, di altri 16 mila posti di lavoro.


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