§ Mondo oggi

Contadini e cittadini




Francesco Compagna



C'è un film di cui si dice che è molto bello. Io non voglio avventurarmi in giudizi estetici, riconosco che " L'albero degli zoccoli " è un film suggestivo, ammetto che il regista sa il fatto suo, ma non posso non rilevare che la sua ideologia è tipica di certi ambienti della cultura cattolica di più antico ceppo: nostalgica della vecchia Italia contadina e carica di malumore quando guarda all'industria che preferirebbe non vedere. Ma non solo; in generale, c'è, nel film, l'avversione ai comportamenti imprenditoriali; c'è anche, in particolare, un idoleggiamento del buon contadino contrapposto al cattivo cittadino. E in questo senso sembrerebbe quasi che il film sia stato concepito come una specie di supporto alla riforma dei patti agrari, in attesa del voto alla Camera, dopo aver già ottenuto quello del Senato.
Questa riforma, infatti, premia l'imprenditorialità contadina (ed è il suo aspetto positivo), ma lo fa presupponendo che sempre il contadino è imprenditore, e comunque il migliore imprenditore: di conseguenza, punisce, espropriandola, l'imprenditorialità cittadina, poca o molta che ne sia rimasta a contribuire per l'" edificazione " di un'agricoltura che si vuole più moderna, ma tale non può diventare se i suoi operatori non si danno comportamenti imprenditoriali più agguerriti, di tipo industriale e non di tipo contadino.
In Italia si constatano molti progressi dell'agricoltura dovuti alla promozione dell'imprenditorialità contadina: merito della cooperazione più ancora che di pur benemeriti coltivatori diretti. Ma è la imprenditorialità cittadina, quando e dove ha potuto farsi valere, che ha creato le aziende più agguerrite: per esempio, quelle dei figli dei proprietari redditieri espropriati dalla riforma agraria. I padri erano, appunto, grandi redditieri; i figli sono diventati medi imprenditori. Ed è stato forse proprio questo, indiretto, il più positivo dei risultati acquisiti nel Mezzogiorno con la riforma agraria degli anni ' 50.
Ora, se è vero che si deve continuare a promuovere l'imprenditorialità di origine contadina, è anche più vero che si dovrebbe favorire la trasfusione di imprenditorialità cittadina nell'invecchiato e impoverito tessuto sociale delle nostre campagne. Alla ideologia di Olmi, cioè, si dovrebbe contrapporre quella di Carlo Cattaneo, che parlava, appunto, dell'agricoltura " che esce dalla città ", e che aveva studiato e capito il contributo del risparmio e dello spirito imprenditoriale, usciti dalle città, all'" edificazione " dell'agricoltura padana.
Ma, se questo è vero, e credo che lo sia, la riforma dei patti agrari avrebbe dovuto avere, come sua prima e fondamentale preoccupazione, quella di garantire un grado di mobilità fondiaria più soddisfacente di quanto oggi non lo sia. E giustamente a questa esigenza si è richiamato Roberto Mazzotta quando, nel convegno Dc di Pescara sulle prospettive di sviluppo del Mezzogiorno, ha detto che tali prospettive si allargherebbero se si potesse contare su una riforma dei patti agrari che sulla mobilità fondiaria riconosca la convinzione per richiamare all'esercizio dell'attività agricola nuove e fresche energie imprenditoriali. Ma la riforma all'esame della Camera dei Deputati, in seconda lettura, risente assai più della ideologia di Olmi che non di quella che in pochi abbiamo ereditato da Carlo Cattaneo.

I contratti agrari

Non è solo una riforma che non incoraggia la trasfusione nell'agricoltura di imprenditorialità cittadina, ma è anche una riforma che espropria l'imprenditorialità cittadina che ancora bene o male si dedica all'esercizio dell'agricoltura. Si dice che la mezzadria e altri contratti di compartecipazione sono diventati anacronistici e non si addicono Più come una volta a realtà che si sono socialmente trasformate. Benissimo: ma, dove la mezzadria si rinsecchisce, se ne cade da sola. Dove invece assicura, come altri contratti di compartecipazione, una funzione imprenditoriale al conceduto (che è tanto più utile quanto meno può essere sostituita da quella di concessionari non adeguatamente preparati ad assolverla, o in grado di assolverla solo con il concorso di quella assolta dal concedente) perché mai si ritiene giusto e necessario convertirla in affitto con un procedimento che, come è stato argutamente detto, fa pensare ad una espropriazione per " privata utilità "? Si pensa veramente che, espropriando la funzione imprenditoriale del concedente, si assicureranno all'agricoltura italiana, comunque e dovunque, comportamenti imprenditoriali più agguerriti?

Compressione dei ceti medi

L'ansia di schiacciare i ceti medi si fa sentire anche nell'enfasi con la quale si è sollecitata dalla Camera l'approvazione di questa riforma. Eppure, occorreva riflettere. Occorreva riflettere soprattutto sull'impatto che poteva avere la riforma rispetto alla mobilità fondiaria ed ai comportamenti imprenditoriali. Un ulteriore irrigidimento della prima ed un ulteriore infiacchimento dei secondi sarebbero esiziali per l'agricoltura italiana, ai cui progressi si dice di voler dare nuovo impulso. A me sembra che i due pericoli si annidino nel testo della riforma. Nessuno si lasci contagiare, quindi, dalla rugiadosa nostalgia di Olmi per la civiltà contadina e dalla sua antipatia per la civiltà industriale! La storia d'Italia, tra l'altro, è ricca di esempi che inducono a rattristarsi per alberi che sono stati divelti più che non per le sorti individuali di chi li ha divelti. E detto questo, posso anche dire, e lo dico con il senso delle distinzioni crociane, che Olmi è un artista!


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