§ Monete

Lira in bonaccia




B. M.



Mentre il dollaro scende in caduta un po' libera e un po' frenata, la divisa italiana attraversa un periodo di stabilità. Questo, secondo gli esperti, non significa che la nostra economia sia risanata. O, per lo meno, non lo è del tutto. Un fatto è certo: nella tempesta monetaria internazionale, fino a questo momento, nessuno ha giuocato al ribasso della nostra moneta. Fatto il bilancio nella nostra bilancia dei pagamenti, siamo di fronte a un fatto molto positivo.

Letteralmente assediati da telex, telefoni, monitors elettronici, i mille uomini che, come è stato scritto, governano la convivenza delle monete, i cambisti delle trenta maggiori banche del mondo, hanno trascorso la settimana di ferragosto chiusi nei loro bunker, negli uffici di New York, Hong Kong, Londra, Zurigo, Francoforte e Tokyo. Con i classici ordini secchi, fatti di poche sillabe, pronunciate al telefono, hanno svenduto una montagna di dollari, provocando una delle più agitate tempeste sul mercato internazionale dei cambi degli ultimi anni. Fino a due miliardi e mezzo di dollari (oltre 2.100 miliardi di lire) sono passati di mano in un solo giorno nella capitale giapponese, più di un miliardo a Zurigo. A conti fatti , sui più importanti mercati valutari, i dollari svenduti su ordine di sceicchi arabi, multinazionali, grandi imprese, governi asiatici, società petrolifere e società di commercio delle materie prime, sono stati nell'ordine di decine e decine di miliardi.
Per spiegare questo crollo della divisa statunitense (evento culminante di un ribasso accelerato che durava ormai da ben sette mesi: e come conseguenza, la svalutazione nei confronti di monete forti, come il marco tedesco e lo yen giapponese, dal mese di gennaio aveva raggiunto il venti per cento), banchieri ed economisti hanno addotto tre ragioni: hanno ricordato il fortissimo passivo della bilancia commerciale statunitense (circa sedici miliardi e mezzo di dollari dall 'inizio dell'anno, il cinquanta per cento in più rispetto allo stesso periodo del 1977); poi, le difficoltà del governo americano di imporre una riduzione dei consumi petroliferi, per porre un argine alle costosissime importazioni dai paesi produttori di greggio; infine, l'impegno molto scarso delle autorità monetarie degli Stati Uniti a difesa del dollaro.
Queste spiegazioni, però, ha sottolineato il settimanale " Time ",non bastano, tanto è vero che la bilancia commerciale americana, pur restando in deficit, è migliorata, e che le importazioni di petrolio si sono ridotte del tredici per cento per l'accresciuta produzione nazionale, in Alaska. Motivo di fondo della caduta della divisa americana, sostengono gli esperti, sembra essere piuttosto la politica economica espansiva scelta dal governo americano. I guai , insomma, non deriverebbero tanto dall'eccessiva quantità di petrolio importato, quanto dai troppi dollari stampati per offrire agli americani più denaro da spendere, e, di conseguenza, alle fabbriche la possibilità di produrre a pieno ritmo. Paesi come la Germania federale e la Svizzera, proseguono, hanno deciso invece di pagare il prezzo di una maggiore disoccupazione nel breve periodo, pur di non pompare l'economia a livelli pericolosi. Hanno tenuto l'inflazione a pas-so ridotto, e questo ha giuocato a favore delle rispettive monete.
In realtà, marco tedesco e franco svizzero sono saliti a quotazioni mai raggiunte prima. C'è tuttavia da ag-giungere che a pagare il prezzo più alto della disoccupazione in questi due paesi sono stati proprio gli immigrati , ai quali le economie tedesco-federale e svizzera devono una buona parte del loro irrobustimento.
Per la lira non c'è stato alcun trionfo (nei confronti delle valute forti, come il franco svizzero e il marco tedesco, appunto, la moneta italiana ha anzi perduto molti punti).Ma la nostra divisa non ha nemmeno accusato il tracollo del dollaro. Se ne stanno accorgendo i consumatori: come effetto del cambio più favorevole nei confronti della moneta Usa (cambio sceso in pochi giorni da 875 a 830 lire) alcuni prezzi al consumo (di prodotti petroliferi - benzina esclusa - e del caffè, per esempio) sono stati ribassati. Molte aziende, poi, che avevano previsto nei loro conti di dover comprare il dollaro a 900 (ma anche a mille) lire per pagare gli acquisti all'estero, si sono trovate con margini inattesi.
Vantaggi immediati hanno avuto innanzitutto gli armatori e le società di navigazione: hanno ricevuto molte richieste di noleggi dall'estero per il trasporto di materie prime che gli operatori si sono affrettati a comprare, perché meno costose dopo il ribasso del dollaro. Hanno così ritrovato la rotta del mare navi già avviate al disarmo, mentre le quotazioni dei noli a cavallo di ferragosto sono salite fulmineamente.
All'Ufficio Italiano dei cambi c'è stata una certa euforia. Il nostro organo di controllo di commercio delle valute ha ricordato, infatti, che in passato le tempeste valutarie d'agosto hanno sempre avuto effetti gravi per la lira. Quest'anno, no. Stavolta, la tempesta dei cambi ha trovato le casse della Banca d'Italia pingui (oltre che di oro, di circa dieci miliardi di dollari in valute), e la bilancia dei pagamenti italiana in attivo (1.040 miliardi nel mese di luglio; 3.422 miliardi in totale, da gennaio), linee di credito messe a disposizione dell'Italia dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Comunità Economica Europea, e non ancora utilizzate. Eravamo in una specie di botte di ferro. La lira, quindi, era difficilmente appetibile dagli speculatori internazionali per manovre al ribasso. E infatti nessuno ci ha provato. Le uniche società che hanno effettuato operazioni valutarie consistenti sono state le filiali di alcune società multinazionali, che hanno cercato di disfarsi per ordine delle case madri delle disponibilità di dollari il più presto possibile. La stessa politica hanno seguito le hanno acquistato in pochi mesi circa mille miliardi di lire in cambio di dollari.
In questa situazione, i responsabili di Bankitalia hanno deciso di assecondare l'andamento della nostra divisa, cercando di mantenerla in posizione intermedia tra il dollaro in caduta frenata e le più forti monete europee in rialzo. E' una strategia che le nostre autorità monetarie seguono, perché valutano che una quotazione intermedia della lira sia la più vantaggiosa per i rapporti commerciali con l'estero (le importazioni, pagate in maggior parte con dollari, costano di meno; le esportazioni, per le quali le aziende incassano soprattutto valute europee, rendono di più). Fino a questo momento, i risultati sono stati più che positivi: facendo la media dei cambi con le altre divise, quest'anno la lira è stata tra le monete più stabili del mondo. Questo, però - avvertono gli esperti - non significa che la nostra economia sia stata risanata, o per lo meno del tutto risanata. Vuol dire essere sulla strada buona, per ora; e significa soprattutto che questo è il momento di migliorare la gestione del nostro sistema industriale, sia pubblico che privato. Il decollo del nostro sistema economico, dopo le stagnazioni e le crisi a catena degli anni scorsi, può incominciare solo da qui.

Il residuo ? è sempre passivo

Nella logica del contenimento della spesa pubblica, pare oramai quasi d'obbligo per le Regioni preoccuparsi di operare i tagli necessari per Impedire l'aumento fuori misura dei residui passivi. Da una parte, si tratta di accrescere la velocità di utilizzazione dei fondi Impegnati; dall'altra, di decelerare l'assegnazione degli impegni. A che cosa serve, Infatti, assistere ad una corsa pazza all'insù nei residui passivi (qualche cosa come cinquemila miliardi di lire per tutte le Regioni nel 1975; seimila miliardi per il 1976; in previsione, circa settemila miliardi nel 1977), quando le popolazioni interessate reclamano una più larga ed efficiente rete di servizi?
I dati che si possono ricavare dai singoli bilanci regionali dimostrano la drammatica immobilizzazione di consistenti masse finanziarie, pur rappresentando soltanto il fenomeno contabile più evidente di una serie di cause esterne e interne alle amministrazioni regionali.
Basta dare una rapida occhiata ad alcuni di questi bilanci per rendersi conto della situazione.
Basilicata: residui passivi nel 1975 pari a 123 miliardi di lire; nel '76 pari a 124 miliardi, nel '77 intorno a 160 miliardi. Lazio: nel 1975 residui di 268 miliardi, nel '76 di 262, nel '77 di 318 miliardi di lire. Lombardia: 286 miliardi di lire nel 1,975, poi 889 nell'anno successivo, e addirittura 1.056 miliardi lo scorso anno. Marche: 99 miliardi nel 1975, nel 1976 i miliardi erano diventati 123, saliti a 136 l'anno scorso. Piemonte: 309 miliardi nel 1975, passati a 420 nel '76 e a 607 l'anno successivo. Umbria: 21 nel '75, poi 52 nel '76, e 103 nel '77. Unica eccezione, la Toscana, che ha visto un regresso rispetto al 1976, passando da 230 miliardi a 166 nel 1977.
Per le Regioni delle quali non si conosce ancora il bilancio 1977, i dati di raffronto tra il '75 e il '76 sono ugualmente allarmanti. Vediamo la Sicilia: 1.361 miliardi di lire di residui passivi nel 1975, e 1.601 nel '76. La Valle d'Aosta, nei due anni, ha raddoppiato, passando da 37 a 53 miliardi. Il Molise addirittura è passato da 22 a 93 miliardi. I residui passivi del '77 per la Puglia sono stati di 647 miliardi, mentre per la Calabria sono stati, in cifra tonda, di 400 miliardi.


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