§ Economia e Finanza

Da un vertice all'altro




Francesco Parrillo



Per la quarta volta, a scadenza annuale, i maggiori Paesi industrializzati del mondo si sono riuniti per discutere i più importanti problemi economici internazionali.
Dopo Rambouillet, Portorico e Londra l'incontro dei bigs si è svolto quest'anno a Bonn alla ricerca di una " strategia complementare " che crei una cornice entro la quale l'azione dei diversi partecipanti si articoli sulle questioni relative all'economia in modo che il comportamento di uno sia utilizzabile dagli altri a fini di crescita, stabilità ed occupazione.
Sono stati affrontati, in particolare, i temi del commercio estero e degli squilibri monetari; argomenti di fondo restano, comunque, quelli della lotta alla disoccupazione e all'inflazione a cui tutti debbono contribuire con una politica di integrazione degli sforzi secondo le possibilità e le condizioni effettive di ciascuno per il raggiungimento di un comune obiettivo di sviluppo e di più diffuso ed equilibrato benessere.
Stati Uniti, Francia, Germania, Italia, Gran Bretagna, Giappone, e Canada, con la partecipazione di Roy Jenckins per la Comunità Europea, si sono ritrovati alla verifica annuale con il compito di sensibilizzare l'opinione pubblica su taluni argomenti presentando una facciata di collaborazione e di buona volontà per contrastare l'isolazionismo e il protezionismo che diventano sempre più forti in questa fase di profonda disarmonia delle economie a livello internazionale.
Quasi tutti i paesi sono interessati, nella seconda parte dell'anno, da una graduale decelerazione nel ritmo di sviluppo dopo una maggiore vivacità produttiva registratasi in primavera. Tale andamento riguarda gli Stati Uniti con una previsione di crescita del prodotto nazionale lordo del 4-4,5% a fine anno rispetto all'8-10% del secondo trimestre del 1978; anche la Germania Federale registra un tasso del 4% sul 5% negli stessi periodi di riferimento mentre la Gran Bretagna da una espansione pari al 9% nel secondo trimestre ripiega sul 2,5-3% negli ultimi mesi dell'anno in corso.
Le prospettive più contenute per la seconda metà del 1978 rendono pertanto impossibile raggiungere l'obiettivo di una crescita su base annua del prodotto nazionale del 4,5% per i paesi della Comunità e del 3,5-4% per quelli dell'area OCSE ipotizzata all'inizio dell'anno.
Al fine di contrastare tale tendenza riduttiva l'intensificarsi delle consultazioni a livello internazionale, nei primi mesi dell'estate si propone la ricerca di un'azione concertata e coordinata, anche se appare sempre più chiaro che tali incontri non riusciranno certamente a produrre alcuna decisione di tipo operativo, ma soltanto a chiarire la linea di politica economica che i paesi ad economia liberista intendono adottare nel prossimo futuro.
Il Comunicato congiunto emesso a conclusione del vertice di Bonn tra i sette maggiori paesi industrializzati riveste il consueto significato di scambio di opinioni e di intenzioni; le potenze produttive si fanno coraggio e rinnovano, a scadenze ravvicinate, i contatti per rinsaldare le relazioni pubbliche.
Al di là dell'esteriorità e dei riti della diplomazia occidentale, per ogni paese partecipante, il summit di Bonn ha indicato una ricetta di comportamento che pone in rilievo i problemi particolari delle singole economie.
Gli USA sottolineano l'esigenza di ridurre le importazioni di petrolio attraverso un programma di risparmio di energia che prevede l'approvazione entro l'anno del piano energetico fermo al Congresso, il riallineamento dei prezzi interni del petrolio entro il 1980 e l'impegno a fornire uranio all'Europa e al Giappone per il sostegno allo sviluppo delle fonti alternative.
La Germania proporrà probabilmente nel mese di agosto provvedimenti di stimolo della domanda interna immettendo capitali pari all'1% del PIL per accrescere il tasso di sviluppo senza innescare pressioni inflazionistiche; anche il Giappone, con un avanzo commerciale di più 20 miliardi di dollari, dovrà espandere la domanda interna anche con una azione di spinta alle importazioni e di riduzione delle vendite all'estero. L'Inghilterra proseguirà la lotta all'inflazione per migliorare le prospettive di sviluppo e occupazione, mentre la Francia aumenterà il deficit di bilancio dello 0,5% per stimolare lo sviluppo in linea con la sua situazione né florida né preoccupante.
Come è evidente, in omaggio alla teoria della " crescita concertata ", che ha sostituito definitivamente quelle delle " locomotive " e dei " convogli ", la dichiarazione finale del vertice enuncia principi relativi ai singoli paesi in cui vengono sottolineati i principali problemi che coinvolgono le economie avanzate: risparmi di energia per il 20% circa e disavanzo commerciale per gli Stati Uniti, espansione economica per la Francia ed effetto di traino a favore dei più deboli con la promozione della domanda interna con un programma di rilancio per Germania e Giappone in migliori condizioni economiche. Il discorso si modifica per Gran Bretagna e Italia, in posizione svantaggiosa rispetto agli altri partecipanti al Vertice, alla ricerca del proseguimento della lotta all'inflazione.
L'Italia, in particolare, si è presentata a Bonn con una situazione più stabile in termini di bilancia dei pagamenti e di riserve valutarie in un contesto di moderato recupero produttivo.
Il piano di ripresa senza inflazione dovrà contrastare la mediocre tendenza dell'economia con svantaggi simultanei di crescita del livello dei prezzi e di stagnazione. Il programma di politica economica per il 1979 si inserisce in quello triennale di più ampio respiro prevedendo un aumento del PIL del 3,7% contro il 2,2% del 1978 al fine preminente di ridurre la disoccupazione.
Verso la fine dell'anno in corso, tuttavia, la velocità di incremento del reddito dovrebbe raggiungere il 4,5%. Nell'ambito della azione di sviluppo concertato, lo sforzo italiano sarà concentrato nel riequilibrio della finanza pubblica, riqualificando la spesa in modo da non ridurre lo sviluppo, ma differenziando la struttura della domanda con il rilancio degli investimenti. I capitali reperiti con la cancellazione di spese pubbliche improduttive dovrebbero, pertanto, essere incanalati nel processo produttivo. Altro punto rilevante per l'Italia in questo momento riguarda la partecipazione alla creazione di una zona di stabilità monetaria in Europa. Su questo argomento a Bonn il rappresentante italiano, il ministro del tesoro Pandolfi, ha affermato che l'adesione del nostro Paese a tali progetti deve essere improntata a realismo e saggezza; bisogna tenere conto infatti, della diversa situazione dell'Italia rispetto a quella di economie più forti, esaminando, con la dovuta attenzione, gli elementi tecnici dell'accordo e le relative fasi di attuazione in modo da rendere possibile l'ipotesi di pace monetaria dopo quegli sconvolgimenti che, a partire dal 1971, aggravati dalla crisi energetica, hanno reso il contesto valutario internazionale instabile e soggetto ad ogni tipo di speculazione in relazione ai movimenti incontrollati dei capitali vaganti.
Proprio sul tema della pace monetaria Luigi Luzzatti si era espresso, da antesignano, con estremo favore.
Sulle questioni monetarie, al Vertice di Bonn sono state riferite ai tre paesi non CEE (USA, Giappone e Canada) le indicazioni emesse nella riunione di Brema tra i paesi aderenti alla Comunità, che ha preceduto soltanto di pochi giorni l'incontro tra i sette paesi più industrializzati del mondo.
La proposta per la costituzione di un sistema monetario europeo, che consiste, sostanzialmente, in un impegno a mantenere le fluttuazioni delle monete entro limiti ristretti, in attesa dell'unificazione monetaria europea, nasce dalle preoccupazioni che derivano dalla svalutazione del dollaro e dalla forte rivalutazione del marco; le oscillazioni della moneta americana provocano invero effetti negativi sulle altre economie occidentali a motivo del ruolo di valuta chiave ricoperto dal dollaro; la Germania in particolare, teme il rafforzamento delle pressioni speculative al rialzo sul marco per la fuga di capitali dal dollaro.
La maggiore stabilità dei cambi è in realtà una condizione necessaria ad una buona evoluzione dell'economia internazionale anche se l'adesione italiana, doverosa da un punto di vista politico, deve essere opportunamente strutturata in modo da non pregiudicare la timida ripresa economica in atto con l'introduzione di troppo severe misure di stabilizzazione monetaria. Ripresa produttiva ed occupazione restano gli obiettivi fondamentali di politica economica che l'attività concertata a livello internazionale deve garantire.
La ricostituzione del serpente monetario europeo cerca un nuovo assetto dei cambi che riveda il sistema delle parità fluttuanti, che non ha risolto le difficoltà connesse ai meccanismi di riequilibrio dei pagamenti internazionali. La discrezionalità delle politiche valutarie può, infatti, rappresentare una continua e pericolosa fonte di abusi, rafforzando quelle tendenze protezionistiche che, negli intenti, si vogliono combattere.
Sulla validità dei risultati, modesti in relazione alle aspettative pre-vertice di Brema, i governatori delle banche centrali riuniti a Basilea come ogni mese nella sede della BRI (Banca dei regolamenti internazionali), hanno espresso un motivato scetticismo.
Il piano comunitario di stabilizzazione monetaria appare vago e persino pericoloso nei confronti del dollaro e delle possibilità di sviluppo dei paesi deficitari senza imporre alcun vincolo delle economie eccedentarie.
Gli interventi di Baffi per l'Italia e di Richardson per la Gran Bretagna hanno contribuito, con obiezioni di natura tecnica, ad aumentare le perplessità sulla ipotesi di costituzione di una realistica zona europea di stabilità monetaria. La soluzione soltanto europea alla crisi dei cambi non tiene conto dell'esigenza di raccordo operativo con il dollaro, evitando la creazione di blocchi valutari rigidamente contrapposti. Il costo della stabilizzazione per i paesi deboli sarebbe eccessivo in termini di riduzione del prodotto lordo dell'intera comunità (2-2,5%) rappresentando un fattore di deflazione; non esistono garanzie, inoltre, sul trasferimento reale di risorse dai paesi ricchi a favore di quelli più poveri non essendo prevista, nell'accordo di Brema, una apertura automatica di linee di credito reciproche tra i paesi partecipanti.
L'adesione italiana al sistema monetario europeo d'oscillazione congiunta, che dovrebbe cominciare a funzionare dal 1979, mentre la costituzione del Fondo monetario europeo si avrà nel 1980, appare problematica in relazione alla situazione di fragilità economica e di inflazione del 12-13% su base annua; le forti riserve valutarie, quasi 9 miliardi di dollari, raccolte con operazioni di prestito all'estero e con acquisti di dollari per adeguare il corso della lira alla moneta statunitense in discesa, rendono l'orizzonte valutario più tranquillo anche se il coordinamento delle politiche economiche, finanziarie e monetarie deve essere simultaneo senza istituire limitazioni rigide che potrebbero introdurre meccanismi di stabilizzazione dei cambi non sostenibili se non per brevi periodi e con effetti incerti sullo sviluppo economico di lungo termine.
L'Europa rischia di essere spaccata in un blocco più forte comprendente la Francia, la Germania e il Benelux mentre la Gran Bretagna è interessata all'interno da spinte ad una politica di maggiore autonomia e in Italia permane una situazione precaria ed incerta.
Il tema della pace monetaria è strettamente legato a quello del risorgere di spinte al protezionismo. Si generalizzano pratiche di manipolazione dei flussi commerciali, nonostante le assicurazioni di fede ai principi liberisti espresse in sede OCSE e GATT. Nella prassi tali affermazioni vengono disattese con il proliferare di manovre volte alla protezione degli scambi, riducendo le importazioni e stimolando le esportazioni attraverso la tutela di aree geografiche e settori di attività. L'adozione della salvaguardia è una diretta conseguenza della disoccupazione e degli squilibri delle bilance dei pagamenti; fino a quando non saranno rimosse queste cause fondamentali di instabilità i proclami sulla fiducia liberoscambista non avranno alcun valore pratico.
Fini precipui di politica economica restano quelli dello sviluppo senza inflazione con il completo assorbimento della disoccupazione, che nei paesi industrializzati dell'occidente raggiunge oggi 16 milioni di unità.
Sulla reale possibilità che gli impegni delineati nel vertice di Bonn producano risultati concreti, realizzando la " strategia complementare " di politica economica che interessa una serie di temi quali la crescita del PIL, l'occupazione, l'inflazione, il sistema monetario internazionale, l'energia, il commercio estero e gli interessi dei paesi emergenti, restano fondati dubbi. I commenti finali appaiono pertanto prudenti, al di là del trionfalismo diplomatico di facciata, proprio in relazione alle delusioni sulle aspettative create dai precedenti vertici che non hanno raggiunto conclusioni positive nella soluzione delle difficoltà in cui da anni si dibatte l'economia mondiale... Resta il dissenso tra i Sette sul problema delle monete e sulla liberalizzazione degli scambi commerciali; gli USA, infatti, nonostante le dichiarazioni di intervento contro le fluttuazioni erratiche, appaiono alquanto disimpegnati nei confronti del dollaro e diffidenti sull'accordo valutario comunitario, che potrebbe destabilizzare la moneta americana particolarmente in relazione alla nascita del FME (Fondo monetario europeo) in contrapposizione potenziale al Fondo monetario internazionale (FMI). Sul commercio internazionale gli Stati Uniti accusano la CEE di eccessivo protezionismo specialmente in campo agricolo, chiudendo i mercati ai prodotti statunitensi. Avari e vaghi, se si esclude la promessa giapponese di maggiori aiuti, gli impegni a favore del Terzo mondo.
Al prossimo vertice, fissato a Tokyo nel 1979, si verificherà se le decisioni di Bonn - con il vincolo nuovo che gli obblighi assunti siano approvati da governi e parlamenti nazionali - sono servite realmente da orientamento di politica economica o sono rimaste, com'è avvenuto in passato, soltanto una sorta d'incontro per farsi coraggio e per smussare gli attriti, nel tentativo di restituire un ruolo di leadership sicura al mondo industrializzato.
Occorre uscire dall'ecomunismo universalismo e creare realmente un operante clima di fiducia e solidarietà se si vogliono risolvere i drammatici problemi che sono sul tappeto.

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