Guerra del vino duemila anni fa




Vittorio G. Stagno



Una vecchia ruggine tra Italia e Francia ha coinvolto il settore vinicolo per venti secoli. Oggi, il nostro Paese è al primo posto nel mondo per produzione e consumo, con un prodotto che supera, anche per qualità, ogni concorrenza.

Puntuale, ogni anno, scoppia tra Italia e Francia la " guerra del vino ". Coinvolti, più che i due Paesi, due territori ugualmente agricoli e disastrati: il nostro Mezzogiorno e il Midi transalpino: due Sud, insomma, con tutti i problemi, le arretratezze strutturali, socio-economiche, tipiche delle aree depresse. E' una guerra accanita, che in non poche occasioni è sfociata in manifestazioni di protesta a Parigi, o di violenza nei grandi e piccoli centri agricoli della Francia meridionale. Il fatto è che, ormai, l'Italia è la prima produttrice e consumatrice di vini al mondo,- non solo: dà un prodotto qualitativamente alto, tanto che anche i celebri vini francesi sono passati in seconda linea. I nostri " Doc " hanno oscurato la fama, spesso meritata, ma altrettanto spesso usurpata, dei " sacri mostri " francesi. E tanto più che si è ormai scoperto che i vini di Francia in non poche occasioni sono " tagliati ", cioè rinvigoriti con vini meridionali italiani, più pastosi e meno costosi. Da qui, la " guerra ". Che, ripetiamo, non è un fatto nuovo del nostro tempo, ma affonda le sue radici nel lontano passato. Più di duemila anni fa, infatti, i vini italiani venivano imbottigliati in migliaia di anfore, e trasportati per mezzo di navi da carico nella Francia meridionale. Proprio qui era possibile venderli a caro prezzo, e, soprattutto, senza alcuna concorrenza: questo è l'ultimo risultato di una serie di scoperte e di studi degli archeologi subacquei dell'Istituto Francese di Archeologia mediterranea. Le indagini, da tempo in atto sotto la direzione di André Tchernia e di Patrice Pomey nella località di Mondrague de Giens, presso Tolone, hanno consentito di individuare i resti di una nave da carico romana naufragata con tutto quel che trasportava intorno agli anni 70-'60 avanti Cristo. Questa data è resa abbastanza certa dalle monete che sono state rinvenute a bordo della nave, che si riferiscono proprio a quest'epoca. Un ampio rapporto sugli scavi sarà pubblicato nelle prossime settimane; ma intanto possiamo registrare le più cospicue rivelazioni di questa scoperta e delle ricerche che comporta, e che viene considerata come la più importante ed emblematica tra quelle attualmente in corso nel settore dell'archeologia subacquea.
Le strutture dello scafo di legno della nave, riferisce Sabatino Moscati, dopo che è stata rimossa con le pompe aspiranti la coltre di fango e di sabbia da cui erano coperte, si sono rivelate pressoché complete, sicché costituiscono la testimonianza forse migliore oggi disponibile sull'architettura navale antica, dopo l'incendio appiccato dai tedeschi in fuga al museo del lago di Nemi, dove andarono distrutti gli esempi di nave romane più celebri, e certamente più splendidi, in possesso dell'uomo moderno. Tra gli aspetti caratteristici di Mondrague de Giens sono da mettere in evidenza in particolare le cabine per i passeggeri con pareti di legno e con coperture di tegole. Il carico era costituito da lingotti di piombo, che provenivano dalla penisola iberica, e servivano soprattutto per le tubature dell'acqua; da un abbondante vasellame, tra cui servizi completi di piatti, di scodelle, ci; vassoi e di bicchieri; infine, e soprattutto, da varie migliaia di anfore contenenti vino.
Qui s'inserisce l'ultima scoperta, recentemente avanzata da Antoinette Hesnard, che fa parte della missione di scavo e di studio. Le anfore rinvenute recano impressi dei " bolli " con i nomi dei " produttori ": in particolare, spiccano i bolli " Sabina " e " P. Veveius Papus ": ebbene, gli stessi nomi sono stati scoperti in altre anfore, in fondo al mare, in località " Canneto ", immediatamente a sud della città di Terracina, dove si trovava evidentemente la fornace nella quale erano prodotte le anfore vinarie. Quanto al contenuto, è verosimile che si trattasse di " Cécubo ", il vino assai rinomato, che veniva prodotto in quella zona.
La guerra del vino, dunque, secondo un'ipotesi tutt'altro che peregrina, doveva svolgersi in questo modo. I Romani avevano severamente proibito, con un'apposita legge, agli abitanti delle Gallie, già dalla fine del secondo secolo avanti Cristo, di coltivare la ,vite, e dunque di produrre il vino. Premunitisi in questo modo contro la concorrenza, esportavano il loro prodotto, caricandolo in grande quantità a bordo delle navi, Che effettuavano il percorso marittimo dalle coste tirreniche fino a quelle della Provenza e della penisola iberica. Una volta sbarcato il vino in Provenza, ne accrescevano il prezzo mediante dazi e balzelli, e lo inoltravano per via fluviale verso l'interno del paese.

 

Come si difendevano i " francesi ", allora, di fronte a questa specie di " imperialismo commerciale "? In mancanza di altri mezzi o strumenti efficaci, ricorrevano con ogni probabilità all'eterno machiavello dell'autarchia, accontentandosi della " birra " di quel tempi, ben più nota, esattamente, con il nome di " cervogia ".
Niente di nuovo sotto il sole, dunque. I vini meridionali che giungono in terra francese dopo avere attraversato tutta la penisola, o che vengono sbarcati nei porti di Tolone e (molto più frequentemente) di Marsiglia, non hanno mai dato pace ai nostri contadini e ai " vignarons " del Midi francese. Per gli uni e per gli altri, (e questo è un fatto che non va sottovalutato), il prodotto rappresenta l'insieme delle risorse di un'intera stagione: lo è forse di più per i francesi, i quali non possono gettare sulla bilancia dei loro redditi la produzione di olio, spesso - nel Sud - compensativa di una cattiva annata vitivinicola. D'altro canto, meridionali italiani e meridionali francesi si sentono direttamente minacciati, in questi ultimi mesi, dal probabile ingresso nella Comunità, a vario titolo, di Paesi del bacino mediterraneo (la Grecia, in modo particolare): e sono Paesi produttori di vini di scarsissima qualità, ma anche di infimo prezzo, che possono rappresentare, soprattutto per i consumatori non preparati adeguatamente, degli accaniti concorrenti, per di più privilegiati dal basso costo della manodopera agricola, e dalla pressoché totale inesistenza di tributi e contributi agrari, previdenziali e dominicali, che gravano invece, in maniera spesso insopportabile, sull'attività imprenditoriale diretta e indiretta degli italiani. In altre parole: fra non molto, rischiamo di trovarci a confronto con un prodotto scadente, ma accettato ben volentieri per l'infimo costo sui mercati internazionali. Parliamo di vini greci, ma anche spagnoli e portoghesi, proprio mentre diversi mercati europei sono invasi dalle sottospecie vinicole provenienti da Cipro, dalla Tunisia e dall'Algeria. Tutto questo, unito ai danni prodotti dalla " guerra " italo-francese, finirà con il danneggiare soprattutto le due economie europee continentali, la nostra, appunto, e quella transalpina, a tutto beneficio di paesi neofiti e dei loro prodotti che si distinguono, senza tema di smentita, solo per la loro inconsistenza.


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