PITTORI




Aldo Bello



Antonietta Lande

Lande viene dal Salento, per i sogni molteplici, che ricostruisce come un miraggio senza fine in una morfologia di recuperi rimasti dentro i nodi strutturali della sua emotività. Perciò questa pittrice, forse come pochi altri, sa ascoltare voci equivalenti e segrete degli echi che spaziano da serra a serra, (e da paese a paese, grumi di case abbaglianti, segni della più autentica civiltà salentina e pugliese, quella eneolitica), ne sente il metro tragico: e un brivido di leggenda dolorosa permea l'intelligenza dei confini della tela.

La sua pittura di paesaggio non disseppellisce templi, non svela alcuna archeologia, non canta epopee agiografiche. Il vento che muta tutte le cose scompare dalla traccia evolutiva della storia, e della terra d'origine, ferma nel tempo e incolpevole, Lande racconta piante terribili e sitibonde (gli emblematici olivi e fichidindia) e rituali millenari (le raccoglitrici d'olive, donne senza volto piegate da un peso senza nome, il loro grembo proteso verso il grembo della terra madre: come se un vitale legame onfalico legasse madre a madre). Densissimi e pastosi i colori. Ma non c'è - né potrebbe esserci - l'allegria fauvista; né cede, l'artista, alle passioni del fasto barocco. Le strutture sfumano i contorni di un segno che realizza una chiusa atmosfera esistenziale.
Dov'è, allora, il segreto dell'attualità? Lande incide di poeticità sia l'effusione fantastica (che c'è ed è resa ad alto livello), sia l'originale sapienza espressiva.

In questo modo il suo paesaggio (paesaggio-albero, paesaggio-donna, paesaggio-scalinata, e via dicendo) risale dalla brulla terra solare con un vibrante messaggio di realtà aspra e vivente; e si fa arte, con la sua solitudine ancestrale, ricca di gesti e di memorie.

Gaetano Zampogna

Nella ricerca di una primaria architettura di volumi e di superfici luminose, entro l'accordo fra toni delicati e fasce pastose; oppure nella scansione fra zone Più ovattate e scacchiere più accese, Zampogna la sua passione di contemplatore attento, la sua esigenza di un assoluto, che si rispecchia nell'ordine strutturale dei suoi vescovi allineati, delle sue giraffe emblematiche, dei suoi rarissimi quanto preziosi paesaggi.


Nel percorso di una luce che emerge dalle forme sbozzate, nelle distese cromatiche, sobrie eppure profonde, in un chiarore che si staglia in successive falde cristalline, a volte anche decise nel loro timbro (e appena tenute a freno da un congegno più percepibile: una linea retta; un cono d'ombra; o, infine, una larga grata in presumibile ferro battuto, memoria immanente di contadini-artigiani-artisti del profondo Sud) è il percorso del suo occhio creativo e critico, del suo universo etico.


L'artista svolge in questo modo un discorso coerente, e la chiave non è certo delle più semplici: Zampogna resta sospeso tra simbolo e ritratto, tra l'ideogramma penetrante e la sintesi dell'immagine, sempre presenti nella sua splendida materia pittorica. Ed è qui, almeno ci sembra, il segreto della sua arte e della sua passione.


Antonio Toma

Toma dipinge (a volte come se ricostruisse) allo stesso modo in cui " sente " l'immagine, respingendo qualsiasi seduzione esteriore, espediente cromatico, speculativo o formale. Nulla nelle sue tele è superfluo, oleografico o spettacolare. La dialettica del suo segno è precisa ed essenziale: la resa dell'ambiente è racchiusa nella " verità umana " che ne costituisce l'essenza genuina. Per logica conseguenza, l'impiego del colore è calcolato con equilibrio e con verosimiglianza nell'insieme corale della composizione.

Paesaggio e figura sono colti nella loro età e sostanza.
Emblematica, in questo pittore, la tendenza a chiudere nelle tele il mondo dell'architettura spontanea, senza mistificazioni retoriche, con (intatti) disegni di una condizione umana e sociale attualissima. Di qui, un'arte di impegno civile e documentario, e un artista che non è disposto a venir meno alla sua vocazione intellettuate. Né - almeno per ora - alla sua " salentinità ": case di tufo ossidato (dal basso, proprio dalle radici) dal gottoso salnitro, vichi lastricati, muri di cinta, distese di campi interrotte dalle prepotenti chiome dei pini laricii; il bianco dominante, sopra il quale svetta, implacabile, il sole: ed è lo stesso bianco dei tuareg, in una terra in cui minareti sono i menhir e oasi di paesi (d'un bianco che stupì Lenormant) che si guardano a vista. Un puntiglioso realismo scandisce le tele di Toma: un realismo quasi fotografico, alle cui origini si scoprono la sicurezza del segno e la padronanza del disegno, arte e tecnica oggettivamente equilibrate.

Marcello Peschiulli

Chiave di volta per una " lettura " corretta di questo pittore è una premeditata adesione al suo mondo creativo e alla sua singolare sintassi espressiva. La scoperta dell'antimateria e dell'antisegno (Peschiulli sa fare a meno delle pennellate implacabili) lo porta dentro le matrici di una duttilità coloristica, che è proposta nuova proprio perché l'artista in essa non mortifica l'idea d'immagine.


Nelle sue tele c'è una legittima inquietudine; e la progettazione astratta fissa un modo assai personale di rappresentarla con un discorso appropriato: tratteggi essenziali, ideogrammi scanditi, intrichi di simboli lineari o interconnessi. Discorso riportato nelle proiezioni il meno viziate possibile da situazioni figurali, per supporre l'ipotesi di riesplorazione intuitiva, da cui poi estrapolare un'immagine esemplare del proprio universo interno. Indizio di insoddisfazione? O raffinatezza di sensibilità?
Se si legge la " striscia " di un elaboratore elettronico che ha tracciato all'output i movimenti di un canneto - poniamo - sotto il tiro del libeccio dal tramonto all'alba verrà fuori una linea orizzontale piatta. L'elaboratore non ha cuore. Non risolve i problemi, non li pone. I segni problematici appartengono all'uomo. Peschiulli, dunque, con questa sua coerenza inusuale nella pittura del Sud, si propone un modo integrativo di lettura; è lui stesso ad indicarcelo attraverso modulazioni a volte ermetiche, più spesso duttili nel loro ritmo astratto-concreto. L'informale è il suo migliore momento creativo; una vibrazione dinamica. E poiché è propria all'uomo, profondamente emotiva.


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