Rivederla d'inverno:
nella sua scarna essenzialità, nella sua semplice bellezza, senza
il sapore estenuante della stagione estiva. E il mare di fronte, poco
più in là delle flottiglie dei pescatori, sotto lo sperone
roccioso dal quale si affacciano le case multicolori.
Il tratto di costa
va da Santa Cesarea a Santa Maria di Leuca: una perfetta falcatura,
al centro della quale, altissimo e raccolto, sta Castrum. Castrum è
tutto ciò che resta dell'antico borgo. Castro è il borgo
più la parte nuova, recente, che ha quasi stretto d'assedio,
con le sue costruzioni " mediterranee " (eclettiche, qualche
volta senza senso, mai spontanee) l'antica struttura urbanistica. Castrum,
dicevo: circondata da una campagna tutta pietre, da muri di pietre alzati
da contadini di pazienza millenaria, da trulli a capo mozzato, le "
pagliare " di pietra nuda; da masserie che biancheggiano in lontananza,
dietro lo sperone segnato dalla falcatura; da una vegetazione bassa,
interrotta da boschi di olivi, da alberi di fico sempre più rari,
da sparsi ciuffi di fichidindia: interrotti, qua e là, da lecci
neri, gli unici esistenti nella penisola salentina, anzi nell'intera
Puglia, e forse anche in tutto il Sud.
Vedere Castro d'inverno: essenziale nei colori (case bianche in gran
numero; poi gialle, azzurre, verdi: con accostamenti di colori che altrove
probabilmente sarebbero impossibili); lontana dal sapore oleoso dell'estate,
quando corre il rischio di trasformarsi in un qualunque, affollato centro
balneare, come ce ne sono a migliaia in Italia e fuori d'Italia; semplice
e quasi dimessa, cioè vera: affacciata sul suo nero ciglio, a
picco su un mare che poco più lontano, a punta Ristola, dove
Jonio e Adriatico sembrano unirsi e fondersi, mentre in realtà
quasi si confrontano in una lunga cicatrice che è d'un azzurro
particolare, qui più chiaro, là più marezzato,
più in là cupo; e, proprio sotto lo sperone, anche queste
multicolori, come le case che pencolano sul parapetto, le sottili flottiglie
dei pescatori, raccolte dentro la cala d'acque limpide. La bellezza,
ha scritto un " Pellegrino di Puglia ", è terra terra,
è concreta in tutto, e il panorama si vede perché il paese
sta in alto, e non perché sia stato costruito il belvedere con
le panchine. E l'acqua ha dei riflessi verdi come i bronzi delle piazze
toscane (si pensa, naturalmente, a quelli di Piazza della Signoria).
Poi, la Zinzulusa, " un boccaporto immenso, altissimo sul mare,
tutto sgocciolato di stalattiti, come una volta araba: andando dentro
ci sono altre meraviglie, ma' quella davvero inusitata resta l'ingresso,
perché così aperto, accogliente, innocuo e terrificante,
non ha paragoni ". Oltre ancora, le stazioni paleolitiche, la Grotta
Romanelli, quella delle Streghe, e via dicendo. Se allora si mette tutto
questo in conto al mare, si può immaginare di che tono, di che
profondità è quell'azzurro su fondo rossastro: il mare
d'Ulisse.
E' da queste parti, infatti, Porto Badisco, con gli olivi che scendono
in mare attraverso le ripide scogliere, con le radici infilate tra le
fessure degli scogli bruni: e qui avvistò l'Italia un altro popolo
nomade per forza di cose e seminaufrago, quello troiano di Enea. E come
allora, il paesaggio è pressoché illibato, intatto: vi
si può immaginare l'intera mitologia, percorrendo la grande pianura
liquida che è un ponte verso la Grecia Madre; vi si può
ricostruire tutta la storia, fuggendo per la foresta di sassi della
campagna rossa e nera, in cerca di scampo per le incursioni dei legni
saraceni. Agevole il ponte, e più agevole la fuga: per terra
e per mare, nel Salento e in tutta la Puglia, chi comanda è sempre
la pianura: appena appena corrugata, in alcuni tratti, da microscopiche
creste, le Serre, e coronata, in cima - ma sembrano distanze enormi,
quasi impercorribili - dalla Murgia, in cima alla quale, regale, anzi
imperiale, svetta il gioiello dei manieri meridionali: Casteldelmonte,
sigillo svevo. .
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