Viaggiatori di Puglia




Luciano Milo



Dal poeta Orazio a Cesare Brandi, in tutto un succedersi di suggestivi itinerari, la " scoperta " della nostra regione: scoperta mai agevole, e per di più contrastata dalla naturale diffidenza per la pianura.

Il primo di cui si abbia testimonianza fu poeta, potente, e lucano, ma d'una Lucania assai vicina alla Puglia: Orazio. Lo accompagnavano due grandi spiriti dell'epoca, Mecenate e Virgilio. Fu una specie di ritorno in patria: l'autore delle " Epistole " conosceva molto bene questa terra e la sua storia (che non fu storia di viaggi, ma di invasioni, la più grandiosa delle quali resta pur sempre quella di Annibale). Giunse fino a Brindisi, testa di ponte per la Grecia. E, se ne parlò poco durante l'itinerario, non ne parlò più in seguito. D'altri viaggiatori di grosso calibro non si ha sicura notizia: si ebbero rare scorribande, descrizioni approssimate, e molte, moltissime cose locali. Il primo gran viaggio (come definirlo diversamente?) fu quello del Galateo, umanista, medico e cosmografo Antonio De Ferrariis, amico del Valla, del Pontano, del Summonte, orgoglioso della sua " grecità ". Galateo, dunque, diede conto del Salento " secondo un itinerario geografico che cerca di non trascurare nulla di interessante ", com'è stato scritto: memorie storiche, citazioni rare di autori poco noti e che hanno riferimento alla penisola salentina, notizie dello stato delle città, dei paesi, delle campagne, rarità linguistiche, nozioni fonetiche. Quando parla della sua patria, Galatone, si intenerisce. Sette cose - dice - Galatone vantava d'avere del colore del croco: il croco stesso, il miele, il cacio, il vino, l'olio, i fichi secchi e le uve passe. Con Galatone, primeggiano nella sua memoria Nardò (con la tradizione degli studi) e Gallipoli (che sarebbe " città bella", e non città dei Galli Senoni): di questi, e di motti altri " siti japigi " Galateo riferisce con l'amore del figlio, con la tenerezza, e a volte con la forza dell'invettiva di chi già vede cominciare a disperdersi, intorno a sé, un patrimonio d'arte, di cultura, di paesaggio unico al mondo.
Corazzato di storia e di classici, Swinburne, di ritorno dalla Spagna, venne nel Regno delle due Sicilie, percorse mezza Puglia da Foggia a Bari, a Taranto, si diresse a Reggio Calabria, e per mare tornò a Gallipoli, visitò Lecce e un po' di Salento, prima di risalire a nord, verso Benevento e Napoli. Parlò delle donne che danzavano sfrenatamente a Brindisi, in prosecuzione delle danze bacchiche, e che si dicevano punte dalla tarantola; si irritò di fronte al barocco fastoso di Lecce, del quale disse ogni male possibile; raccontò dei muri a secco delle campagne salentine e pugliesi; ma non scorse i trulli. Se ne andò via ad occhi bendati, attraverso la Valle d'Itria, per la quale non spese una parola.
Venne poi, a ricercare tracce e gloria degli Svevi, il Gregorovius, al quale dobbiamo la definizione di Lecce: Firenze del barocco. Seguì a lungo le ombre del secondo Federico e degli Hobenstaufen: e così celebrò Manfredonia (città di Manfredi), disprezzò le città che avevano intitolato le strade agli eroi del Risorgimento, maledisse i delitti dei D'Angiò (ma non ricordò mai quelli, forse assai più numerosi', degli Svevi e di Federico II), ironizzò sul ricordo dei mitici fondatori di Lecce: Idomeneo, Matennio e Dauno. Quel che di romano amò, con ogni probabilità, apparteneva al Sacro Romano Impero, di cui salentini, pugliesi e italiani non vanno fieri. E predilesse il gotico. Pochi anni dopo, alla fine dell'Ottocento, intraprese quasi lo stesso viaggio François Lenormant, cui stavano a cuore antichità classica e pietre scritte: rivisitò lapidi, acquistò qualche statuetta per il Louvre, si lamentò per la cucina; ma neanche lui, come quel " Carducci tedesco " che fu Gregorovius, si accorse di trulli, dolmen, menhir, di tutta la civiltà megalitica salentina e pugliese. Né se ne accorse lo Schubring, che nel 1900 mandò al giornale tedesco " Frankfurter Zeitung " una serie di articoli sulla nostra regione.
Ci volle, dopo Huillard-Breholles, Serradifalco, il duca di Luynes, lo Schulz, il Salazaro, l'Enlart, il poderoso lavoro di Emile Bertaux, " L'Art dans l'Italie méridionale ". E' il 1904: Bertaux " vide " i trulli, scoprì la civiltà neolitica, aprì prospettive di ricerca e di valorizzazione storico-artistica sconosciute nel passato. Puglia e Salento quasi tornarono alla luce del sole. Della quale risplendette, infine, il viaggio di Cesare Brandi (l'unico che non parlò di Canne e delle grotte di Castellana, di cui tutti avevano detto): viaggio che dal Gargano portò al Salento, con gli sconfinamenti in Basilicata: un viaggio che " è tanti viaggi, eppure un solo viaggio, per l'amore che io porto a questa terra ": dal quale è stata superata l'antica diffidenza per la pianura, terra non desolata, ma di scoperta, lungo itinerari che si percorrono come per sciogliere un voto, o un inno a una splendida terra.


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