Ritorno dei Borbone




Tonino Caputo



Il celebre giudizio di Gladstone, le delusioni dei "Piemontesi" dopo la "liberazione" o - secondo altri - la "conquista" delle aree meridionali , le condizioni obiettive del Regno, che ai primati nella scienza e nelle lettere univa quelli di una diffusa miseria , soprattutto nelle campagne e nelle città periferiche , alla base di una tenace immagine negativa di una famiglia che fu realmente cosmopolita: immagine che occorre ormai ricomporre alla luce di più sereni elementi di giudizio storico.


La "riabilitazione" è un "vento del Nord": viene dall'Università statale di Milano (chi l'avrebbe detto?) per bocca del professor Giorgio Rumi. Il nome stesso dei Borbone, ha detto Rumi, è gravato da una tenace immagine di chiusa arretratezza, di reazione spietata e crudele, di inimicizia con il progresso, con la libertà e con l'intero spirito del mondo moderno. Eppure, già Benedetto Croce aveva parlato, a proposito del Settecento borbonico partenopeo e meridionale, di " risoluto progresso ": e non era, Croce, uomo di parte, né studioso pronto a trinciare giudizi superficiali. E oggi stesso, ben lontano da qualsiasi suggestione nostalgica, uno storico del calibro di Rosario Romeo riconosce Vittorio Emanuele secondo, il Padre della Patria ricordato in ogni piazza, municipio o libro scolastico italiano, " probabilmente inferiore, in fatto di ingegno, di cultura e di maniere ", al detestatissimo "Re bomba ", vale a dire Ferdinando secondo delle Due Sicilie, del quale aveva già tentato la riabilitazione (anche sulla base di documenti in possesso del suo archivio personale) lo scrittore Carlo Alianello, nel libro " La conquista del Sud ".
" Negazione di Dio ": il giudizio di Gladstone colpì non solo un sistema di governo e un equilibrio di potere, ma l'avventura di una famiglia che da secoli era stata (e resta ancora oggi) alla ribalta della storia. E' fuor di dubbio: il 1848 a Parigi e a Napoli segna una rottura insanabile fra le spinte di rinnovamento politico e sociale, e due rami (gli Orleans e i Due Sicilie) dell'antica dinastia borbonica. Ma, domanda Rumi, può bastare questo episodio con le scelte che sottende a far dimenticare o a stravolgere un'intera vicenda, giuocata in Francia, in Spagna e in Italia; l'unica, dunque, con quella degli Asburgo, veramente internazionale, che ha conosciuto, fra errori ed ombre, anche momenti di luce e opere di effettivo slancio civile?
La grande storia dei Borbone comincia nel 1272, quando l'ultima di questa famiglia, Beatrice, sposa Roberto, sesto figlio di Luigi IX il Santo, re di Francia. Dieci generazioni dopo, alla fine del 1500, tutti gli altri rami della famiglia reale sono estinti, e sale al trono Enrico di Borbone, quarto di questo nome, il gran re che da protestante si fa cattolico, e dalla materna Navarra muove alla conquista di Parigi e procede alla vera e propria ricostruzione della Francia, dilaniata dalle controversie religiose e frantumata dai conflitti fra corona, corpi locali e grandi feudatari. Dopo di lui, salgono al trono i grandi e i grandissimi Luigi della storia europea: Luigi XIII, con il Cardinal Richelieu; Luigi XIV, che da Versailles mirerà alla egemonia europea; Luigi XV, galante e " beneamato ", che lasciò fiorire l'Enciclopedia; Luigi XVI, che non seppe guidare dal trono l'opera di riforma delle storture della società francese e pagò di persona sulla ghigliottina; Luigi XVII, come poi i legittimisti chiamarono il piccolo delfino, misteriosamente scomparso nella tempesta rivoluzionaria, con un lungo strascico di leggende e congetture, tant'è, che ogni tanto compare un suo presunto discendente, che accusa il Vaticano (che trasse immensi benefici economici dalla caduta dei Borbone) di non voler tirare fuori dagli archivi le prove della sua identità.
Rumi traccia un bilancio di due secoli: la costruzione di uno Stato moderno, fortemente centralizzato per reggere alle necessità di una politica di conquista; il contenimento della grande nobiltà e lo stimolo ad una borghesia operosa e intelligente; la progressiva laicizzazione dello Stato; la lotta alle autonomie baronali e alle sopraffazioni che comportavano; la " mano dura " con i ceti proletari delle città e delle campagne. E poi, l'accorta " politica matrimoniale ": nella prima metà del Settecento, i Borbone occupano anche i troni di Madrid, Parma, Napoli. Ovunque, nei limiti obiettivi, il medesimo progetto di efficientismo e modernizzazione, il potenziamento dello Stato, l'interscambio degli uomini; ed esperienze che i nazionalismi dell'Ottocento e del Novecento ci hanno fatto scordare; e, infine, il segno lasciato nell'urbanistica, nell'architettura, nelle lettere, nelle scienze, nelle arti.
Di Ferdinando II scrive Salvatore di Giacomo: " Questo uomo che dicono avaro fino alla spilorceria, era economo delle cose dello Stato, del suo faceva risparmio per non usar l'altrui. A sue spese ha rifatto la Reggia ... ; del suo, con liberalità regale, ha speso per i palazzi di Palermo, di Caserta, di Capodimonte, di Quisisana... E' frugale, sollecito, laborioso: non cacce, non feste, non corse, ma costruzioni di strade, di edifici comunali, di lazzaretti, di case per bagni minerali, di prigioni con novello sistema penitenziario, di scuole per sordomuti, di ospizi e asili per indigenti ed orfani o folli o reietti , e istituzioni di nuove accademie, nuove cattedre, nuovi collegi e licei; e bonifica di terre paludose, coltura di terre boscose, edificazioni di ponti di ferro e di fabbrica, fanali a gas, fari alla Fresnel, compagnie di pompieri, stipulazione di trattati di commercio, guardia civica e guardia d'onore... ".
Certo, rileva Rumi, la solidarietà di famiglia è pari alla volontà di potenza, la ricerca di grandezza ha un costo drammatico di sangue e di energie. Ma, ad eccezione di due Asburgo, Maria Teresa e Giuseppe II, che peraltro strinsero nuovi rapporti di parentela con i Borbone, nessun'altra dinastia europea seppe dare un pari impulso alla società civile, naturalmente nel quadro e come conseguenza di una esclusiva ragion di Stato. Così, se si devono ricordare le imperdonabili chiusure e gli errori fatali che portarono allo scontro con le forze della liberazione nazionale e dell'ascesa borghese, è giusto rammentare la dignità con cui i rami spagnolo, francese e napoletano hanno sopportato l'esilio. Usciti dalla storia Asburgo, Romanov, Savoia e Hohenzollern, tocca ora a un Borbone il compito di contribuire alla guida della nuova Spagna verso la democrazia e il ritorno all'Europa.


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